Da luoghi di crescita e ricerca, di sano divertimento e formazione spirituale, molte sedi parrocchiali – com’è noto - si stanno progressivamente trasformando in centri ricreativi e sale giochi, tradendo la loro missione evangelizzatrice: dalla conversione delle anime al loro intrattenimento. E i risultati, ahinoi, si vedono: abbiamo animatori che si improvvisano teologi, sacerdoti che discettano di problemi ambientali e politici ma che vacillano sui valori non negoziabili, che tentennano nella condanna all’aborto, che trovano prioritario leggere e magari studiare le fatiche letterarie dell’intellettuale – non conta quale, l’importante è che si definisca “laico” - piuttosto dare una letta, anche veloce, alle encicliche del Santo Padre.
Sulle origini di questo degrado tutto intestino al mondo cattolico hanno scritto, dando prova di notevole acume, già in molti; ragion per cui mi limito, da fedele qualunque, ad esprimere il malessere e la perplessità di chi ha assistito a troppi appuntamenti, serate e riunioni “cristiane” dove s’è parlato di tutto e di tutti fuorché di Lui, di quel Figlio umile e grandioso che ha scelto la remota periferia romana - per giunta affiancato, nel supplizio, solo da due delinquenti - per dirci che è proprio nel dolore e nello smarrimento, quando tutto sembra finito, che Dio si prende più cura di noi. Che il Suo perdono per i nostri errori arriva anche fuori tempo massimo, se decidiamo di accoglierlo.
Di fronte ad una storia come questa, che non ha nulla di leggendario e che, venti secoli dopo, mantiene intatta la sua attualità, dovrebbe sorgere spontaneo e costante il desiderio di ringraziamento, di preghiera e devozione; dovrebbe innalzarsi luminosa, nelle coscienze, la consapevolezza che, tutto sommato, anche quel pazzo di Nietzsche non aveva tutti i torti quando se la prendeva con quei cristiani che annunciano il Salvatore senza il volto raggiante di chi l’ha incontrato, ma paludandosi dietro timide e moralistiche giustificazioni e lasciandosi contaminare da quel mondo che, invece, dovrebbero riempire d'amore. Da questo punto vista è chiaro che il malessere cristiano, ossia la palese difficoltà di clero e fedeli di annunciare credibilmente Cristo, ha radici lontane, ma è importante che nelle parrocchie, dove i giovanissimi sono chiamati a valutare la proposta cristiana e ad orientarsi di conseguenza, abbiano a che fare con pastori vigili e preparati, capaci di offrire al contempo testimonianza e ragioni della fede.
Troppe volte, davvero troppe volte degli amici mi hanno confessato la loro difficoltà a seguire la Chiesa, Sposa di Cristo, riferendosi a esperienze negative maturate in oratori e dintorni, dove non hanno trovato risposte che, purtroppo, hanno iniziato a cercare altrove. Ovviamente la responsabilità di chi abbandona la Chiesa, magari arrivando ad odiarla, non è dei sacerdoti o dei catechisti, anche se - indubbiamente - chi assimila il Vangelo ad un vademecum pacifista, ad un bignami spirituale solo un po’ più antico degli altri, ha poi poco titolo per chiedersi come mai tanti giovani fatichino a coglierne la Bellezza. Detto questo, vorrei specificare che la mia non è, né vuole essere, una denuncia generalizzata: ho la fortuna di conoscere molti animatori, catechisti e sacerdoti che – grazie a Dio – credono ancora nella formazione dei giovani e si prodigano in questo senso con professionalità e senza riserve. Ed a loro che, concludendo, mi rivolgo: il futuro di molte parrocchie (e di molte anime) è nelle vostre mani: continuate così e non rassegnatevi, perché la vostra - la nostra – non solo è una missione seria, ma è l’unica per la quale valga davvero la pena vivere.