Cari politici, ripartite dall'etica
Di Giuliano Guzzo (del 10/05/2010 @ 13:41:56, in Attualitą, linkato 1093 volte)

La sottile linea rossa che oggi lega l’immorale all’illegale e che accomuna gli insulti di D’Alema alle imbarazzate dimissioni di Scajola, non è la lancetta di un generico malessere, ma di una patologia profonda e fin troppo nota: la perdita dell’etica. Una emorragia valoriale che colpisce l’intera classe politica la quale, faticando a rintracciare in sé stessa il gene della trasparenza, non trova di meglio che giustificarsi in relazione a delle distanze: a sinistra trovano consolante essere lontani e decontaminati dal virus berlusconiano, a destra si rincuorano pensando alla manifesta vicinanza degli elettori. In entrambe le coalizioni, di fatto, manca la capacità di inseguire individualmente una trasparenza autentica e duratura. Ci si accontenta di tiepide dichiarazioni di intenti, di tregue provvisorie, di deboli rilanci puntualmente affondati dagli avvisi di garanzia.

Lo stesso governo di tecnici ed esperti, sovente evocato come l’unico rimedio al degrado di questi giorni, non risponde alle necessità proprie di un sistema che non abbisogna solo di efficienza ma anche di indirizzo: non basta essere celeri nel decidere, è necessario anche sapere bene che cosa decidere. E dato che molte decisioni rimandano ad una più ampia visione del mondo, anche il più titolato dei tecnici non potrà che rivelarsi inadeguato allorquando gli fosse sottoposta, come spesso capita in politica, una questione estranea al calcolo e all’analisi eppure centrale ed urgente. A questo si aggiunga che non c’è ragione per cui un politico provvisto di maggiori competenze dovrebbe essere più protetto dalla corruzione dal momento che questa non si configura come una tentazione di persone più o meno istruite, ma investe chi esercita un ruolo di potere, a prescindere dal suo curriculum.

Se il governo dei tecnici, come abbiamo detto, è un finto rimedio alla politica avvilente di questi giorni, ancor più illusorio sarebbe un processo rivoluzionario. A suffragare questa tesi è quella severa insegnante che risponde al nome di esperienza: ogni rivoluzione, anche se originata da intenti nobili, finisce col generare equilibri ancor più allarmanti di quelli spezzati in precedenza. Pensiamo a Tangentopoli: in pochi mesi sono fioccati migliaia di avvisi di garanzia eppure lo scarsissimo numero di condanne definitive - unitamente alla riscontrata permanenza di molti nelle posizioni di un tempo e all’accresciuta sudditanza della politica al mondo economico - ha avuto un solo effetto: esaurire la speranza in un cambiamento. Senza contare la spaventosa metamorfosi che, da sempre, colpisce i protagonisti delle rivoluzioni: all’inizio appaiono puliti e rassicuranti, ma in breve tempo i loro volti si trasformano fino ad assomigliare perfettamente a quelli che guidavano il regime abbattuto. E’il tradimento politico peggiore e - incredibilmente - anche quello che ricorre più spesso.

Come fare, allora, per ripartire? Di quale miracolosa pozione ha bisogno il nostro sistema politico per riprendersi? Benché possa apparire banale, la sola medicina in grado di rimettere in sesto la politica è l’etica; i politici devono capire che il solo modo per essere vicini alla gente e per raccogliere simultaneamente consensi e stima, voti e sostegno, non è vendere sogni, ma offrire prospettive. A maggior ragione in questo momento di crisi, le bugie tirano poco e - contrariamente alle suggestioni orwelliane agitate da qualche sapientone - non c’è rimbambimento mass mediatico che possa nascondere alla gente la difficoltà di sbarcare il lunario. Ecco perché è importante che i politici capiscano che, nonostante eventuali loro malefatte, hanno oggi più che mai la possibilità di riscattarsi, di riacquistare credibilità e di guadagnare rispetto. E hanno un solo modo per farlo: tornare a preferire il generale al particolare, la crescita al successo, il bene al vantaggio. Devono cioè ripartire dall’etica, ossia dalla consapevolezza che il cittadino non è solo il sovrano originale delle istituzioni, ma anche un fratello.