“I Dialogi” sono l’unica opera agiografica di papa Gregorio I Magno (590-604). Sono stati composti tra il luglio del 593 e il maggio del 594 su richiesta dei suoi confratelli al monastero di S. Andrea sul Celio, da lui fondato alla morte del padre. Il titolo completo dell’opera sarebbe “Dialogi de vita ed miraculis patrum Italicorum et de aeternitate animorum”, appunto perché il testo è volto a dimostrare che anche in Italia - come nel fiorente oriente - ci sono figure di Santi e che l’anima ha una vita dopo la morte, fatto attestato, per esempio, dai miracoli compiuti attraverso le reliquie. L’opera ha una struttura dialogica: il diacono Pietro ha il ruolo importantissimo di incalzare il racconto e di chiedere spiegazioni, qualora vi sia qualcosa che non lo convince: in questo modo Gregorio riesce ad inserire, accanto alla
narratio, anche una parte di
expositio, in cui fornisce insegnamenti morali, dottrinali ed ecclesiastici.
“I Dialogi” constano di quattro libri; il primo e il terzo riportano un insieme di miracoli o di opere virtuose compiute da santi italiani pressoché contemporanei a Gregorio Magno, con l’unica eccezione nel III Libro di Paolino di Nola (355-431). Il secondo libro è interamente dedicato alla figura di S. Benedetto da Norcia (480-547ca): nel Prologo il papa espone brevemente i punti salienti della biografia del Santo, soffermandosi sulla sua conversione e sulla decisione di abbandonare il mondo, le ricchezze paterne e gli studi (fatto, questo, sottolineato con un doppio ossimoro di grande effetto letterario: Benedetto, “soli Deo placere desiderans, […] recessit igitur scienter nescius et sapienter indoctus”
Prologo, 13-15). Nei capitoli successivi, Gregorio Magno narra alcuni miracoli compiuti da Benedetto e che lui ha appreso da fonti certe: si va dai miracoli prettamente pratici (che raggiungono il culmine con la resurrezione del figlio di un contadino, nel capitolo 32) a miracoli spirituali, quali il discernimento delle anime, le profezie storiche e le visioni. Solo nel capitolo 36, vi è un breve accenno alla “Regola” scritta da Benedetto: Gregorio la nomina in maniera funzionale per dire che chi vuole conoscere meglio la vita del Santo basta che legga questo suo unico scritto, perché egli fu perfettamente coerente nel dire e nell’agire.
Il quarto ed ultimo libro esula dall’argomento prettamente agiografico, perché analizza il tema della sopravvivenza dell’anima dopo la morte. Gregorio affronta questo argomento per confortare il popolo, per assicurare che non c’è nulla di cui avere timore: se ci si comporta in modo pio, Dio ha in serbo per tutti la vita eterna.
Riporto qui sotto un estratto del II Libro, in cui Benedetto incontra la sorella Scolastica e pochi giorno dopo vede la sua anima ascendere al cielo.
33. Il miracolo di sua sorella ScolasticaGregorio: Credi, Pietro, che al mondo ci sia stato uno più degno di Paolo? Eppure egli supplicò tre volte il Signore per essere liberato dallo stimolo della carne, e non riuscì ad ottenere quanto voleva. Perciò è necessario che io ti racconti come ci fu una cosa che il venerabile Benedetto desiderò, ma non gli fu concesso di ottenerla.
Egli aveva una sorella di nome Scolastica, che fin dall'infanzia si era anche lei consacrata al Signore. Essa aveva l'abitudine di venirgli a fare visita, una volta all'anno, e l'uomo di Dio le scendeva incontro, non molto fuori della porta, in un possedimento del Monastero.
Un giorno, dunque, venne e il suo venerando fratello le scese incontro con alcuni discepoli. Trascorsero la giornata intera nelle lodi di Dio ed in santi colloqui, e quando cominciava a calare la sera, presero insieme un po' di cibo. Si trattennero ancora a tavola e col prolungarsi dei santi colloqui, l'ora si era protratta più del consueto. Ad un certo punto la pia sorella gli rivolse questa preghiera: "Ti chiedo proprio per favore: non lasciarmi per questa notte, ma fermiamoci fino al mattino, a pregustare, con le nostre conversazioni, le gioie del cielo... ". Ma egli le rispose: "Ma cosa dici mai, sorella? Non posso assolutamente pernottare fuori del monastero".
La serenità del cielo era totale: non si vedeva all'orizzonte neanche una nube. Alla risposta negativa del fratello, la religiosa poggiò sul tavolo le mano a dita conserte, vi poggiò sopra il capo, e si immerse in profonda orazione. Quando sollevò il capo dalla tavola si scatenò una tempesta di lampi e tuoni insieme con un diluvio d'acqua, in tale quantità che né il venerabile Benedetto, né i monaci ch'eran con lui, poterono metter piedi fuori dell'abitazione.
La santa donna, reclinando il capo tra le mani, aveva sparso sul tavolo un fiume di lagrime, per le quali l'azzurro del cielo si era trasformato in pioggia. Neppure ad intervallo di un istante il temporale seguì alla preghiera: ma fu tanta la simultaneità tra la preghiera e la pioggia, che ella sollevò il capo dalla mensa insieme ai primi tuoni: fu un solo e identico momento sollevare il capo e precipitare la pioggia.
L'uomo di Dio capì subito che in mezzo a quei lampi, tuoni, e spaventoso nubifragio era impossibile far ritorno al monastero e allora, un po' rattristato, cominciò a lamentarsi con la sorella: "Che Dio onnipotente ti perdoni, sorella benedetta; ma che hai fatto?". Rispose lei: "Vedi, ho pregato te e non mi hai voluto dare retta; ho pregato il mio Signore e lui mi ha ascoltato. Adesso esci pure, se gliela fai: e me lasciami qui e torna al tuo monastero".
Ormai era impossibile proprio uscire all'aperto e lui che di sua iniziativa non l'avrebbe voluto, fu costretto a rimaner lì contro la sua volontà. E così trascorsero tutti la notte vegliando e si riempirono l'anima di sacri discorsi, scambiandosi a vicenda esperienze di vita spirituale.
Con questo racconto ho voluto dimostrare che egli ha desiderato qualcosa, ma non riuscì ad ottenerla. Certo, se consideriamo le disposizioni del venerabile Padre, egli avrebbe voluto che il cielo rimanesse sereno come quando era disceso; ma contrariamente a quanto voleva, si trova di fronte ad un miracolo, strappato all'onnipotenza divina dal cuore di una donna.
E non c'è per niente da meravigliarsi che una donna, desiderosa di trattenersi più a lungo col fratello, in quella occasione abbia avuto più potere di lui perché, secondo la dottrina di Giovanni: "Dio è amore"; fu quindi giustissimo che potesse di più colei che amava di più!
Pietro: confesso che mi piacciono moltissimo questi racconti.
34. L'anima di sua sorella vola al cielo Gregorio: il giorno seguente tutti e due, fratello e sorella, fecero ritorno al proprio monastero.
Tre giorni dopo Benedetto era in camera a pregare. Alzando gli occhi al cielo, vide l'anima di sua sorella che, uscita dal corpo, si dirigeva in figura di colomba, verso le misteriose profondità dei cieli. Ripieno di gioia, per averla vista così gloriosa, rese grazie a Dio onnipotente con inni e canti di lode, poi andò a partecipare ai fratelli la sua dipartita. Ne mandò poi subito alcuni, perché trasportassero il suo corpo nel monastero e lo seppellissero nel sepolcro che egli aveva già preparato per sé.
Avvenne così che neppure la tomba poté separare quelle due anime, la cui mente era stata un'anima sola in Dio.