Uno degli aspetti più allarmanti di questi anni, nel mondo cattolico, è l’oggettiva confusione con la quale molti credenti calibrano i propri giudizi etici, in particolare verso i valori “non negoziabili”. Non è infatti infrequente imbattersi in credenti che, dichiaratosi da un lato favorevoli a pericolose aperture legislative verso il riconoscimento delle coppie di fatto, la depenalizzazione dell’eutanasia e altre discusse pratiche, dall’altro fatichino a riconoscere, ad esempio, la gravità morale dell’aborto, assimilandolo ad una ordinaria “questione di coscienza”.
Si tratta di un problema serissimo e spesso sottovalutato. Quindici anni or sono fu nientemeno che Giovanni Paolo II a segnalarlo, quando, nella sua enciclica Evangelium Vitae denunciò apertamente l'atteggiamento di quei cattolici che "troppo spesso" pur partecipando "attivamente alla vita ecclesiale, cadono in una sorta di dissociazione morale tra la fede cristiana e le sue esigenze etiche riguardo della vita, giungendo così al soggettivismo morale e a taluni comportamenti inaccettabili". Papa Wojtyla era perfettamente consapevole, diversamente da quanto ancora oggi pensano tanti vescovi e sacerdoti, del dovere, per i cristiani, di battersi prima di ogni altra cosa per la difesa della vita umana dal concepimento.
La riprova ci giunge anche dall’ultimo discorso da lui tenuto: era il 10 gennaio 2005 e il Papa, rivolgendosi al Corpo Diplomatico mondiale accreditato presso la Santa Sede, indicò le quattro sfide più importanti dell’umanità: quella della vita, quella del pane (lotta alla povertà), quella della pace, quella della libertà. Il Santo Padre non si limitò a questo breve elenco e specificò anche che "la prima sfida è la sfida della vita" che "si va facendo in questi ultimi anni sempre più vasta e più cruciale. Essa si è venuta concentrando in particolare sull’inizio della vita umana, quando l’uomo è più debole e deve essere più protetto [...] l’embrione umano è soggetto identico all’uomo nascituro e all’uomo nato che se ne sviluppa. Nulla pertanto è eticamente ammissibile che ne violi l’integrità e la dignità".
Parole chiarissime, che non abbisognano di commenti e che ci fanno comprendere come i tanto criticati pronunciamenti della CEI volti a sollecitare il sostegno elettorale in primo luogo ai politici che si battono per la vita altro non sono che fedeli richiami a quanto asseriva già il compianto Wojtyla, che vedeva nella difesa vita della vita umana dal concepimento – e non nella pace, nell’integrazione degli immigrati, nella difesa dell’ambiente: tutte lotte giuste nobilissime, sia chiaro –la “prima sfida”. Quel che è peggio è che molti cattolici non solo non ridimensionano la gravità moralità morale dell’aborto – peccato per il quale, anche se non è di moda ricordarlo, scatta la scomunica latae sententiae non solo verso chi lo procura, ma pure per chi se ne rende in qualsiasi modo “complice” -, ma si rendono persino autori di incredibili autogol quando indicano come priorità sociale l’accoglienza degli immigrati, dimostrando così di ignorare che sono proprio le donne immigrate, oggi, a vivere la gravidanza con maggiore difficoltà e a ricorrere spesso all’orribile scorciatoia abortiva che gratuitamente lo Stato italiano offre loro.
Suona pertanto paradossale e incoerente qualsivoglia rivendicazione dei diritti degli immigrati che non tenga presente che tollerare la Legge 194 ed omettere di denunciarla quotidianamente, sulle orme di La Pira, come legge “integralmente iniqua”, è senza dubbio il modo più immediato e crudele per negare l’accoglienza proprio agli immigrati più indifesi, i nascituri. Gli esiti di questo strabismo valoriale sono evidenti: si raccolgono firme e si organizzano frequentemente manifestazioni per invocare la pace planetaria, ma nessuno o quasi fiata dinnanzi al fatto che in Europa si verifichi, con il placet delle venerate istituzioni democratiche, un aborto ogni 11 secondi. Alla base di questa enorme confusione dottrinale che purtroppo alligna persino nel clero – che già due secoli fa Rosmini denunciava come impreparato -, c’è l’idea moderna e modernista del primato valoriale della libertà come principio assoluto.
Per fortuna, a metterci in guardia da questo diabolico equivoco liberale, ancor una volta, ci ha pensato Giovanni Paolo II:”la libertà rinnega sé stessa, si autodistrugge e si dispone all'eliminazione dell'altro quando non riconosce e non rispetta più il suo costitutivo legame con la verità. Ogni volta che la libertà, volendo emanciparsi da qualsiasi tradizione e autorità, si chiude persino alle evidenze primarie di una verità oggettiva e comune, fondamento della vita personale e sociale, la persona finisce con l'assumere come unico e indiscutibile riferimento […] il suo egoistico interesse e il suo capriccio” (E.V. cap.19).
Solo ricuperando l’idea di Verità ed evitando di idolatrare la libertà e i suoi capricci, i cristiani possono vincere le sabbie mobili del relativismo e del furore ideologico, tornando a testimoniare fino in fondo Cristo ed amando la Chiesa e i suoi insegnamenti, forse scomodi ma integralmente autentici. Primo fra questi, la difesa incondizionata della vita umana alla morte naturale: senza se e senza ma.