“Convertiti”. E’ un invito che verrà fatto ai credenti il mercoledì delle ceneri.Ogni cristiano è chiamato a convertirsi ogni giorno. Deve convertirsi, chi crede, per non cadere nell’indifferenza, nella tiepidezza, nel baratro del peccato.
“Chi sta in piedi, guardi di non cadere”, ammonisce l’apostolo, per ricordarci che nulla è guadagnato per sempre, che nulla è compreso interamente, definitivamente. Per ricordarci che bisogna sempre riprendere in mano la propria vita, ritrovando il sentiero. L’esperienza della conversione è dunque abituale, per i credenti che hanno una qualche consapevolezza del loro limite e della loro fragilità. Ma è anche l’esperienza di molti che non credevano, di persone che più che badare di non cadere, tentano di rialzarsi.
Nel suo bellissimo “Convertiti d’Europa” (Lindau), Lorenzo Fazzini ci descrive proprio questo: la storia di dieci conversioni dei nostri giorni. Dieci persone in vista, “importanti”, raccontano come e perché si sono convertite.
Alcuni sono “ricomincianti”: avevano abbandonato la fede della loro infanzia, e sono tornati a riscoprirla, dopo aver assaporato altre vie e sperimentato altre risposte. Sono personaggi come Dante: persi nella selva, devono ritrovare il sentiero che porta al colle. Un colle illuminato, che altre volte avevano visto e contemplato, ma di cui poi avevano perso il ricordo.
Poi ci sono i “fulminati”, come san Paolo, che si sono convertiti all’improvviso, d’un tratto, in un attimo di tempo che si è stampato nella loro mente per la sua unicità. Si sentivano nel baratro, il loro occhio era abituato alla tenebra, ma ad un certo punto hanno intravisto la luce, e la hanno seguita.
C’è davvero un “prima” e un “dopo”, racconta il celebre scrittore francese Eric Emmanuel Schmitt, “nel senso che dal momento in cui ho creduto in Dio tutto è cambiato”. “Quello che era angoscia ora è diventata fiducia, il disinteresse per l’altro è divenuto interesse, quello che era sofferenza a causa dell’altro ha cessato di esserlo”. La vita di Schmitt è cambiata durante due notti diverse: nella prima, persosi nel deserto del Sahara, senza cibo né acqua, Dio gli si è rivelato attraverso la sua debolezza e, forse, la magnificenza del creato; nella seconda, diversi anni dopo, Eric Schmitt ha letto tutti e quattro i Vangeli di seguito, e ne è rimasto sconvolto.
I fulminati come lui, mi sembra di capire, sono persone che ad un certo punto sentono un invito potente, e decidono di rispondere, ritengono che sia necessario “buttarsi”, scommettere. Convertirsi significa per loro girare una pagina su cui si era fermi da tempo. Una pagina magari noiosa e vuota, ma a cui ci si può affezionare per paura, per pigrizia, perché si intravede che il girarla potrà sconvolgere l’ esistenza. Per voltare pagina ci vogliono coraggio, umiltà e occorre possedere già un po’ di fede nella possibilità del Bene. Bisogna già possedere, come scrive uno dei tanti convertiti che fanno capolino nel libro, la speranza che “la vita non si riduca, alla fine, ad una miriade di eventi perduti”.
Una speranza che sia così umile da permetterti di riconoscere gli sbagli del passato, senza che essi siano il freno che paralizza la volontà, e la disperde verso nuove illusioni orgogliose. Non è un caso che i più accaniti nemici della fede siano sovente coloro che hanno creduto in una ideologia fallita, e che nonostante ciò non si ricredono, non rivedono le loro posizioni, ma al contrario rafforzano il loro rancore verso Dio.
A muovere i fulminati, a rendere solida la nuova scelta, c’è un’altra speranza ancora, quella nel perdono, nella redenzione. Per convertirsi occorre sentirsi colpevoli, sentire il proprio peccato, ma soprattutto credere che esso può essere perdonato. Tra i convertiti intervistati da Fazzini ve ne sono alcuni che hanno avuto un esperienza mistica, improvvisa; altri che sono approdati alla fede attraverso la ragione, lo studio, la riscoperta dell’origine cristiana di valori di cui la cultura atea si è impadronita, smarrendone però il vero significato. Valori che separati da Cristo, loro origine, sono “come la foglia che cade dall’albero”: “essa per un attimo ci è sembrata libera, ma alla fine, con l’inverno, è marcita”.
E vi sono personaggi che hanno trovato la fede grazie alla bellezza. “Folgorato davanti ad un crocifisso”: è l’avventura del filosofo francese Fabrice Hadjadj, “che ha ricevuto il battesimo nella celebre abazia di Solesmes, nota per la grande tradizione del canto gregoriano ivi custodita”. Ci si converte quando si scopre qualcosa di bello che ci richiama, dice Hadjadj, o quando siamo colti da una “disperazione così profonda che ci assicura che non possiamo darci la gioia da noi stessi e dobbiamo quindi gridare (ecco la disperazione che si converte in speranza, ndr) verso un Salvatore”.
Non è così anche per chi è già cristiano? La bellezza di ciò che abbiamo, genera gratitudine per Colui che ci ha donato tutto, mentre la paura ci spinge a cercare aiuto. In entrambi i casi sperimentiamo la dipendenza da Dio e ci convertiamo a Lui. La ragione, continua Hadjadj, può trovare Dio, ma è soprattutto la fede che rilancia e illumina la ragione, perché il dogma “è una mano tesa e provvista di ali che può elevare l’intelligenza verso ricchezze inesauribili”. A
lle quali, conclude Lindo Ferretti nell’ultima intervista del libro, ci richiama il contatto con le bellezze del Creatore e con una liturgia che non abbia perso, come purtroppo spesso accade, il senso del sacro, il “timor di Dio”, la capacità di far intravedere il Mistero.(Il Foglio)