Noi togliamo le croci, con dispetto rendiamo alle nostre pareti, agli spazi dove viviamo ogni giorno, la purezza del niente. Sradichiamo i campanili dal cuore della gente, stendiamo un velo di bianco sui dipinti dal sacro soggetto e bruciamo ogni effige dell’ordine sacro che un tempo reggeva il mondo. Orgogliosi osiamo dire: non, Padre Nostro, ma: nessun padre osi proclamare una legge che non sia la nostra. Mai più diretti se non dalle voglie e dai capricci improvvisi, siamo felici e liberi finalmente. Perchè abbaiamo scoperto la formula dell’immortalità e della felicità. Ora possiamo rispondere a tutte le domande della gente, purchè siano sradicati i lugubri e ingombranti crocifissi dai pubblici luoghi, resi finalmente neutrali, senza più il penzolante simbolo di una religione che non ci appartiene. E siamo orgogliosi di aver disinfestato il pubblico spazio dall’idea di una fede per far posto al niente o meglio per dar libero campo ai nuovi sacerdoti del corpo e dello spirito, pronti a liberarci d’ogni dolore e d’ogni imperfezione, in fretta, senza domande, purchè qualcuno paghi. Ma abbiamo nonostante tutto bisogno di luoghi di culto profani, di confessionali. Detto, fatto. Al posto delle cattedrali ecco sorgere luminosi centri commerciali, e città commerciali e silenziosi e divertenti mattatoi dove gli annoiati e i depressi possono scivolare oltre la vita nell’illusione di un sonno dolcissimo. Detto fatto, tutti spettatori, tutti protagonisti, aspiriamo alla fama di un attimo, confessando a platee di sconosciuti vizi e virtù. Il dolore è bandito, d’imperio, per legge, assieme al simbolo di tutti i dolori; il ligneo crocifisso che divide perché irrispettoso d’ogni diversità, d’ogni egoismo, d’ogni follia.
Nel pubblico spazio è padrona solo l’ideologia della parole altisonanti e senza gambe; libertà, pace, tolleranza… nel pubblico spazio è necessaria la buona regola di una certa indifferenza, perché le domande possono turbare la pace dell’io che cresce. Nel pubblico spazio scorrazzano milioni di faccendieri e venditori che ti promettono il mondo. Ma aimè nel pubblico spazio, nonostante tutto, si muore ancora, per uno strano scherzo di natura. Si muore distratti credendo di dormire, o all’improvviso travolti dalla vita che corre in una notte alcolica, distratta. Come è lontano il tempo in cui il condottiero Giovanni dalla Bande Nere moriva dolorante ad una gamba, per un colpo d’archibugio e declamava con quel che gli restava in gola una magnifica preghiera, al Dio che tutto vede. Oggi si piange un attimo, poi, si riparte , imprecando all’incidente di percorso, al biglietto di una lotteria uscito male: “non hai vinto non sarai più fortunato” recita. Perché la vita è una. Allora, per uno strano gioco del destino ti accorgi che l’uomo chiede il pane di una fede e i più gli rendono dei sassi. E mentre in giro per il mondo per una croce appesa al collo si può morire, qui si muore comunque, ma senza La Croce. E le croci mentre le togli crescono, riempiono la pianure, le nostre strade, i reparti terminali degli ospedali, hanno volti e nomi, dilagano nei cuori; e più le togliamo, più crescono, ma hanno perso il crocifisso questo è il problema. Sono croci nude, le croci di tutti, che riempiono la città secolare, croci senza Dio, solo patiboli, monumenti alla nostra fragilità e presunzione. Per questo dovremmo dire si ad ogni Crocifisso che sia latore di speranza e faccia delle croci della nostra vita, una porta, certo dura, ma aperta al sole e alla pianura.