“Negli ospedali, nei quali Cristo stesso, nelle sue membra, viene accolto e curato, sostentato e nutrito, sempre ricorre uno speciale medicamento, quello della pietà, con il quale efficacemente noi possiamo alleviare con misericordia le afflizioni dei poveri.” (anno 1219); questa frase esprime bene da quale radice origina tutta l’immensa storia degli Spedali Civili di questa città (di Brescia).
In questo periodo accanto alle corporazioni di artigiani e di mercanti già esistenti sorsero in breve tempo vivaci confraternite di laici con una forte connotazione religiosa, vicine spesso agli ordini cosiddetti mendicanti (Domenicani, Francescani, ecc), dedite alle opere di misericordia. Nel 1232 si costituì il Consorzio di Santo Spirito ad opera del vescovo Guala de Roniis, già priore dei Domenicani e fu soprattutto al convento dei Domenicani che fece capo.
La aggregazione anche urbanistica di varie confraternite sarà una delle motivazioni generatrici del successivo Hospitale Magnum; la colomba che ancora oggi appare sullo stemma degli Spedali Civili di Brescia trae infatti certamente origine dal Consorzio di Santo Spirito. Ma anche un’altra immagine che fa parte dello stemma, raffigurante un paio di manette o cavigliere-ceppi, del tipo ricorrente nel medio evo, deriva, molto probabilmente, dal consorzio; infatti tra le sue preminenti attività era annoverata l’assistenza soprattutto alimentare, ai carcerati, in ottemperanza alla prescrizione delle opere di misericordia.
L’aspetto ospedaliero nel senso moderno del termine resta assai dubbio in queste piccole strutture, il termine “infirmus” aveva un significato molto più vasto e si riferiva prevalentemente all’indigenza cronica, e quindi l’infermo era il bisognoso di aiuto, per condizioni sociali, economiche ed occasionali, come l’essere viandante o afflitto da malattia. Certamente ebbe poi un ruolo importante nella storia degli ospedali bresciani la terribile epidemia di peste, “infermitas inaudita”, malattia assolutamente sconosciuta allora, che portò a morte circa il 10% della popolazione italiana tra il 1347 ed il 1351.
Le confraternite bresciane di fatto avviarono alcuni anni prima dell’esplodere dell’epidemia iniziative volte alla costituzione di nuovi ospizi, più mirati alla cura sanitaria e fu il termine misericordia che contraddistinse molti. Tale termine fu frequentissimo nell’intitolazione di ospizi ed ospedali ed altrettanto diffusa rimase la scritta MIA, normale abbreviazione nella scrittura medioevale, per indicare la parola misericordia.
L’Ospedale della Misericordia divenne così rapidamente il più grande della città e tale sarebbe rimasto fino alla fondazione, più di cent’anni dopo, dell’Hospitale Magnum (la sua dotazione di letti non doveva comunque superare le tre decine); per la prima volta vengono citati tra gli altri gli impegni nei confronti dei neonati, ai quali l’ospedale doveva provvedere anche le balie necessarie per l’allattamento. Il Consorzio di Santo Spirito si prodigò in modo decisivo perché nel 1429 si deliberasse la costituzione di un nuovo ospedale in cui fossero riuniti tutti i possessi e i beni degli ospedali preesistenti ed il cui nome fosse “ospedale grande ed universale” e fu così chiamato “ospedale grande o maggiore”.
Fu il primo in Italia ad essere costruito con pianta a T e poteva ospitare un centinaio di persone, anche se, mediamente, solo per pochi giorni. Gli inizi del nuovo ospedale furono difficili, e sostenuti principalmente da donazioni rimarcando pertanto l’ospedale era sempre stato governato da laici. Il mantenimento degli esposti costituiva una delle principali “voci di spesa”, e così sarebbe stato fino al XVIII sec; era così previsto che non avessero a mancare le balie.
Una relazione del 1552 ci dice che gli infanti esposti ospitati erano dai trecento ai quattrocento all’anno. Gli esposti maschi a otto anni entravano nell’”Accademia dei putti”, annessa all’ospedale e qui ricevevano un’istruzione e apprendevano un mestiere, che poteva orientarsi in tre specialità: sartoria, calzoleria, e tessitura. Tra secondo e terzo decennio del Cinquecento si verificò una evidente sincronia nella storia ospedaliera di tutta Italia: l’istituzione di ospedali per i cosiddetti “incurabili” che presero essenzialmente le mosse dal dilagare della sifilide, malattia allora nuova, detta morbo gallico.
Il XVI secolo fu un periodo di completamenti edilizi e di riorganizzazioni. Fu così istituita la della farmacia: già nel 1524 i confratelli, vista l’enorme spesa che comportava l’acquisto dei farmaci dagli speziali “che sono ingordi”, decisero di erigere una “spezeria” entro le mura dell’ospedale. La “famiglia dell’Hospitale era in questo periodo di 500-600 persone e a curare i malati erano preposti due medici e un ciroico, che visitavano ala sera e ala mattina, 12 uomini diretti dall’infermiere ed un altro chirurgo “ obbligato a medicare. Il secolo XVIII si aprì su uno scenario di guerra con pesantissime ricadute sull’ospedale, facendo salire addirittura a 400 il numero dei degenti, con circa 400 esposti da accogliere l’anno.
Nel 1730 la “famiglia dell’ospedale era così salita a circa 700 persone e l’ospedale manteneva circa 3000 persone. Nel 1795 fu così approvato un progetto di innovazione che comprendeva il completamento della “crociera” con la costruzione del quarto braccio, e l’ampliamento dell’infermeria ad ottenere una disponibilità complessiva di 220 posti letto; uno studio precisava il volume d’aria necessario per ogni malato. Furono rifatti pavimentazione e finestre e progettata una cupola fenestrata e particolare attenzione fu posta poi nella progettazione delle docciature, delle latrine, e del riscaldamento.
Ma nel 1796 l’ondata napoleonica raggiunse anche Brescia, e la furia innovatrice del nuovo governo cancellò la plurisecolare struttura di governo dell’ospedale e si andò ad un governo commissariale di nomina politica: la nomina degli amministratori e dei medici dell’ospedale era riservata al governo. Il governo in brevissimo tempo distrusse l’intimo rapporto di fiducia esistente da secoli tra la città e l’Ospedale Maggiore; “la preponderante ragione del declino economico dell’ospedale sta nel distrutto senso di immedesimazione dei cittadini bresciani nei confronti dell’ospedale”.
Il neonato regno italiano comportò una ridefinizione giuridica dell’ospedale bresciano e l’Ospedale fu eretto in corpo morale ed a fronte del contrasto tra le amministrazioni per il mantenimento dei malati cronici si attivò ancora una volta la beneficenza privata. L’inizio del Novecento, grazie alla tenace insistenza di un piccolo gruppo di cittadini vide innanzitutto l’apertura dell’ospedale pediatrico; nel 1901 apriva inoltre il reparto per i tubercolotici ed anche questa innovazione riproponeva il cronico problema degli spazi. Conclusa la prima guerra mondiale, all’inizio degli anni Venti, gli Spedali Civili di Brescia si ponevano già tra i migliori e meglio attrezzati d’Italia: tuttavia a fine anni ’30 si diede avvio alla progettazione di un nuovo complesso ospedaliero affidato all’architetto Bodoni che si ispirò ai modelli ospedalieri dell’avanguardia statunitense, ammorbidendone il verticalismo esasperato: così propose un poligono a pianta centrale, con al centro la chiesa, fulcro architettonico e filosofico, e con 4 braccia disposte simmetricamente rispetto al centro: un sistema stellare, o radiale che fu inaugurato nel 1950.
Fonte:
http://www.jmpweb.com/cm/issue.jhtml?param2_1=N11fa90ddc3d6d9a4bd5¶m1_1=N11fa90ddc3d6d9a4bd5
REFERENCES Robecchi F. Spedali Civili di Brescia: mezzo millennio di carità e di assistenza sanitaria, Edimet, Brescia, 2001. Fappani A. Enciclopedia Bresciana, La Voce del popolo, Brescia, 1994: 11. Zane M. Il Civile di Brescia, Mezzosecolo, Spedali Civili, Brescia, 1988.