Si potrebbero sintetizzare le risposte alle critiche pompose e imprecise dell’articolo di Giavazzi sulla famiglia (vedasi Il Corriere della Sera di domenica scorsa), con una battuta. Cosa ne vuol sapere un esperto di economia, che non più di tre anni fa proponeva come fondamentale misura, per liberare il benessere e la ricchezza dei cittadini italiani, la liberalizzazione dei taxi?
Giavazzi riflette a partire da un recente libro di Alesina e Ichino sul rapporto costi benefici della famiglia in Italia. Ciò che esce dalla amplissima recensione che ne fa è l’idea che la famiglia sia un peso per l’Italia, peggiori le condizioni degli italiani invece di avvantaggiare la società e lo Stato. Non sfugge nel commento di Giavazzi una sorta di volontà manipolatrice della realtà italiana: il modello su cui si organizza la società non piace, a partire dalla prima cellula di vitalità sociale che è appunto la famiglia. Qui sta il primo vulnus al principio di sussidiarietà.
Tuttavia, tanti ne abbiamo letti di commenti, l’irrealismo dell’approccio al “fatto familiare” censura tutta la messe di ricerche e studi sul “capitale sociale familiare”, sulla “famiglia fattore di coesione sociale”, sulla “creazione di virtù civili” nella famiglia e, ultimamente, luogo del “patto generazionale”. Sarebbe bastato leggere una qualunque delle ricerche internazionali del professor Pierpaolo Donati, oppure ascoltare una delle tante e intelligenti presentazioni fatte in Italia de La povertà alimentare in Italia dal professor Giorgio Vittadini e dal prorettore della Cattolica Luigi Campiglio. Nulla, una parte della scienza economica quantitativa e non quantitativa, la larga parte degli studi sociali, non sono ricompresi nell’approccio al tema della famiglia che ci dà il promotore del “taxi libero”.
Così, Giavazzi parte alla carica del ministro Sacconi, perché riconosce il valore formidabile della famiglia per la società e la posterità civile, bolla i “difensori” della famiglia come “religiosi” e non si pone nessuna domanda, anzi scova nel libro la conferma delle proprie opinioni per nulla liberali. Invece di chiedere più libertà di scelta alle donne e alle madri, per usare il tempo elasticamente tra lavoro e cura, per alternarsi con i mariti, per veder riconosciuto il lavoro domestico, come in gran parte dei Paesi occidentali, Giavazzi confonde i piani, tra cause ed effetti. Di più, mentre tutti i governi europei hanno e continuano a investire sulla “prossimità familiare”, sulla intergenerazionalità delle famiglie (Francia e Inghilterra sul ruolo dei nonni, ad esempio), sulla stabilità familiare (Danimarca, Francia e Germania), sul sostegno alla genitorialità e al desiderio di avere figli (tutti i 47 Paesi del Consiglio di Europa ad esempio), l’Italiaetta intellettualoide continua la sua marcia verso l’assurdo. “Familismo amorale”, dice Giavazzi, perché la famiglia procura costi alla società (sic!): “scarsa mobilità geografica, precariato, difficoltà a crescere delle pmi, peso sulle spalle delle donne”. Ripetiamo, l’assoluta mancanza di libertà di scelta delle donne in Italia è causata dalla pigrizia delle imprese a uniformarsi agli standard europei (donne che lavorano flessibilmente con asili, pause pranzo, negozietti nell’impresa stessa), ma anche dalla noncuranza sufficiente con cui la politica ha abbandonato il lavoro casalingo Le donne dovrebbero lavorare di più in fabbrica? Stupisce che le opinioni di Marx, Engels e Lenin siano mutuate pari pari dall’ultra liberista Giavazzi. Imprese che non crescono?
Bene, una conferma del pregiudizio atavico di una certa scuola di economisti che non leggono i dati della statistica e della realtà e guardano alla straordinaria potenzialità del genio umano, della creatività italiana come a una zavorra invece che una esplosione di successo (spero che Giavazzi abbia modo di leggere gli atti del Seminario dell’Intergruppo per la Sussidiarietà tenutosi a Spineto lo scorso settembre). Precariato? L’accusa si commenta da sola. Se hai una famiglia stabile e solidale allora sei più propenso al precariato? Non mischiamo la resistenza a stare in famiglia dei giovani italiani (causata da un errato approccio educativo dei genitori come si dimostra nel libro La sfida educativa) con la necessità di trasformarsi in “ammortizzatore sociale” della famiglia italiana. Invece di chiedersi come mai i sostegni alle giovani coppie in Italia siano assenti o come mai la copertura pensionistica per i “temporanei” è da fame…
In ultimo, la scarsa mobilità geografica dei nostri giovani. Premesso che siamo il popolo europeo con il più alto numero di italiani all’estero, circa 60 milioni di emigranti o figli di emigranti, forse non si sono letti i numeri di molte agenzie statistiche italiane delle migrazione interna degli ultimi anni. Dunque è Sacconi che sta dalla parte della realtà, semmai non è in grado nemmeno questo Governo di valorizzare e rendere giustizia alle famiglie italiane. Vogliamo dire la verità, al di là delle cattedre ideologiche? Il modello tradizionale italiano della famiglia, seppur abbia subito preoccupanti azioni di “corruzione” da parte della politica e dei mass-media, non solo ha tenuto ma potrebbe essere sostanzialmente imitato. Semmai è l’Italia che continua ad avere un forte “menefreghismo pratico” nei confronti della equità fiscale familiare, tariffaria, dei servizi sociali. È noto infatti che il Libro Bianco di Sacconi è rimasto un sogno, per via di Tremonti e, prima di lui, di ogni altro ministro economico della storia italica da Vanoni in poi. Ma forse Giavazzi non ha famiglia, forse ne ha troppe oppure, semplicemente, fa parte di quella specie umana che, diceva Solgenitsyn, “proprio perché ha girato per tanti maniscalchi, è rimasta senza ferri”. Luca Volontè, ilsussidiario.it