Fini Gianfranco, l'ipocrisia trionfante
Il buon Gianfranco Fini non cessa di stupire. Il suo ultimo libro costruito con la collaborazione del Corriere e della sua casa editrice, Rizzoli, si presenta come l'ennesima opera stonata di un uomo veramente poco credibile. Un uomo che non solo cambia ogni due anni o più idea sulle principali vicende politiche italiane di cui è protagonista, ma anche le sue idee sulla vita e sulla morte.
Un uomo che chiede maggior democrazia e dibattito nel Pdl, certamente a ragione, ma che è famoso per aver stroncato sempre qualsiasi opposizione interna, gestendo per anni da vero duce il partito di cui era segretario (qualcuno ricorderà i numerosi deputati da lui espulsi dal partito senza appello per averlo contraddetto, o i vertici del partito ricreati da zero dopo uno scontro con i cosiddetti colonnelli…). L'ultimo libro di Fini, che dovrebbe essere anche il suo primo, si rivela l'ennesima operazione mediatica gestita da altri, cioè dai suoi sponsor: quel vecchio marpione di Paolo Mieli ( direttore della Rizzoli, che gli ha assicurato l’editore, e assicura, a lui e alla sua fondazione, i titoloni e gli articoli continui sul Corriere) e il mondo della grande finanza, che possiede il Corriere. In questo libro noto, come hanno già fatto altri prima di me: - manca qualsiasi riferimento di Fini alla sua storia politica, al fascismo e al MSi: amnesia galoppante? - Manca qualsiasi riferimento a Berlusconi, a cui è legato da oltre 15 anni politicamente e a cui deve il suo essere dove è: come mai ora è imbarazzante ciò che sino a ieri , sino alle ultimissime elezioni, in campagna elettorale, non lo era? Come mai questa improvvisa avversione verso la persona con cui si è lavorato per 15 anni? -vi sono un'infinità di citazioni dotte che non appartengono al personaggio, sia perchè provenienti per lo più da intellettuali di sinistra, sia perchè Fini non ha mai dimostrato in passato la conoscenza di quegli stessi autori (del resto diciamo pure che non gode la fama di essere molto colto).
Per questo, un uomo che lo conosce da sempre, come Marcello Veneziani, lo ha accusato di non aver scritto lui il libro, ma di averlo commissionato ad altri (a meno che non siano stati altri ad averlo, oltre che scritto, anche commissionato a lui): non c’è stata risposta.
Di seguito le risposte che Francesco Storace, già suo portavoce, ha dato oggi al Corriere:
“Sa qual è il suo vero talento?” No. “E’ bravissimo a galleggiare. E se ne infischia di ogni contraddizione”. Storace, lei è molto duro. “No. Essendo stato testimone oculare, se permette, posso raccontare”. Racconti. “ Vado a memoria e ho un flash: 2002, arriva la notizia che Le Pen, gran capo della destra francese accusata di xenofobia, va al ballottaggio con Chirac. Io leggo l’agenzia, e telefono subito a Fini”. E lui? “Felice. Anzi, no: tra l’eccitato e l’entusiasta”. Magari…”Magari che? Vogliamo parlare dei manifesti di An con le impronte digitali, per sensibilizzare, diciamo così, l’opinione pubblica sul fenomeno dell’immigrazione? Chi era il segretario?”….”Leggo che Fini si lamenta perché, secondo lui, nel PDL non si discute abbastanza”. Esatto.
“E lui allora? Quand’era il nostro grande capo? Sa come funzionavano le assemblee? La relazione di Fini, due sbadigli e poi tutti a casa. Non solo: lui va in tv, lo pizzicano con il fuori onda che sappiamo e deve sembrarci tutto normale. Ma quando un cronista del Tempo origliò alcuni discorsi critici di la Russa, Matteoli e Gasparri, lui si infuriò a tal punto di decapitare l’intero partito…” (Corriere, 3 dicembre 2009).
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