Benson Monsignor Benson era il figlio del Primate della Chiesa anglicana. Fu accolto nella Chiesa cattolica nel 1904, a Roma.
Il suo libro, quando uscì, ebbe l'effetto di una bomba
Chi era Robert Hugh Benson, l'immaginifico autore de «Il Padrone del mondo»? E perché 80 anni fa scrisse un libro che non mancò di suscitare sconcerto fra i cattolici benpesanti del suo tempo? Pressoché ignorato e caduto in oblio ai nostri giorni, il suo nome fu molto familiare ai cattolici inglesi nel periodo fra le due guerre.
Nato il 18 novembre 1871, Benson è il terzo e il più giovane figlio dell'arcivescovo di Canterbury e primate della Chiesa anglicana Edward White Benson. L'influenza dei suoi genitori e l'ambiente romantico in cui cresce stimola subito nel giovane Hugh (come lo chiamano in casa) viva creatività, forte temperamento e indipendenza di carattere. Nel 1885 si trasferisce ad Eton dove compie gli studi liceali. In questo periodo vince il premio letterario Harvey con una poesia titolata «Fr. Damien». Lasciato anzitempo Eton il giovane Benson - animato da spitito di avventura - pensa di entrare nell'«Indian Public Service». Ma è bocciato all'esame di ammissione e la famiglia decide l'iscrizione del ragazzo al Trinity College di Cambridge dove. a partire dal 1890, inizia a studiare letteratura classica.
Nello stesso anno si appassiona alla lettura di un libro che cambierà radicalmente la sua vita, «John Inglesant», del romanziere Shorthouse. Si tratta di una novella basata sulla vita di Nicholas Ferrar e sul tentativo di fondare una comunità di moderni eremiti. Per la prima volta la personalità di Cristo l'attrae esistenzialmente, provocando in lui domande come: «Come si può conoscere la verità? È rivelata o no? Se è rivelata dove può essere trovata? O ci si deve rassegnare all'Agnosticismo?».
Nel 1891 Benson abbandona gli studi classici per quelli teologici con l'idea di prendere gli ordini sacerdotali nella Chiesa di Inghilterra. Quattro anni dopo, nel 1894, è ordinato diacono e l'anno dopo celebra la prima messa come sacerdote. Inizialmente fa riferimento all'Eton College Mission, e svolge un apostolato fra i poveri della periferia orientale di Londra. Nel 1896 suo padre, nominato arcivescovo di Canterbury quattordici anni prima, muore improvvisamente. Poco tempo dopo Hugh, con sua madre a la sorella, si reca in Egitto su ordine del dottore: soffre di febbri reumatiche. Durante la permanenza in Medio Oriente per la prima volta gli accade di chiedersi se Roma non possa essere nel giusto.
Mentre è a Damasco legge sul «Guardian» una notizia che lo impressiona: il padre anglicano Basil Maturin, da lui ammirato come grande e intelligente predicatore, è stato accolto nella Chiesa cattolica. «È impossibile descrive l'orrore e lo shock che sperimentai», ricorda nelle sue «Confessioni di un convertito» (1913). Egli ha fino ad allora coltivato un profondo sentimento anticattolico. Una volta si era divertito un mondo a recitare una vecchia litania anglicana che dice: «Dal vescovo di Roma e da tutte le sue detestabili enormità, liberaci o Signore». La sua conversione alla Chiesa cattolica è molto graduale. Solo nel 1903, dopo molta riflessione, preghiera e discussione decide di presentarsi dal priore domenicano di Woodchester, a Gloucestshire, per farsi accogliere dalla Chiesa cattolica. Nel novembre dello stesso anno è a Roma dove rimane un anno: viene ordinato sacerdote cattolico nel giugno del 1904. Durante la sua permanenza nella capitale della cristianità ha modo di incontrare papa Pio X, di assistere alla messa nella sua cappella privata. Non si dimenticò mai più quella bianca figura, che ritorna spesso nei suoi libri. Tornato in Inghilterra si stabilisce a Cambridge fino al 1908. Durante questi anni scrive molto: romanzi, poesie, scritti spirituali ed anche una vita di San Tommaso Becket.
Diviene presto un predicatore e conferenziere molto popolare e la sua fama supera l'oceano: anche dagli Stati Uniti riceve inviti a tenere conferenze o scrivere articoli per riviste cattoliche. Nel 1911 è nominato Cappellano Pontificio. Tre anni dopo, il 19 ottobre 1914, muore. Il suo libro più nota, «The Lord of the World» (Il Padrone del mondo), scritto nel 1907 ma pubblicato l'anno successivo, è una descrizione fanta-politica della venuta dell'Anti-Cristo. Parte interpretata nel romanzo da Giuliano Felsenburgh, il quale non ha sembianze diaboliche ma si presenta agli uomini quasi come un angelo messaggero di pace che pone fine alle guerre e unifica l'Oriente e l'Occidente bandendo il fanatismo religioso e i partiti politici. Così nel mondo la superstizione e il culto della Umanità prendono progressivamente il posto della Fede. «Ho letto il tuo libro come una parabola dei nostri giorni, non come una profezia - scrive nel 1908 a Benson il fisico sir Oliver Lodge - è l'enciclica anti-modernista più efficace- che sia mai stata scritta, inclusa quella emanata recentemente da Roma». Allusione alla «Pascendi» di Pio X, pubblicata nel 1907. Ma Benson non ricevette soltanto lodi ed elogi. Ci furono anche molti cattolici che trovarono il romanzo eccessivamente pessimista e se ne lamentarono. Si accusò Benson di profetizzare non tanto la fine del mondo ma la fine della Chiesa, e di diffondere sconforto e disperazione tra le anime pie. Tanta incomprensione, dunque.
Ma a quanti lo criticavano di «sensazionalismo» Benson replicò che la sua, naturalmente, era una invenzione letteraria ma non gli era venuto in mente modo migliore per comunicare alla gente ciò in cui credeva. E lui pensava davvero che l'avversario storico del cattolicesimo fosse ormai unicamente l'Umanitarismo (nel «Padrone del mondo» il protestantesimo è un fenomeno in via di estinzione); e temeva sul serio che l'ideale cristiano potesse essere distrutto dall'interno stesso della Chiesa. Comunque, per rassicurare i «cristiani ottimisti», egli scrisse tre anni dopo (1911) un altro libro di fantapolitica religiosa. «The dawn of all», (L'alba di tutto). In esso si prefigura un futuro in cui la Chiesa, dopo essersi ridotta a minoranza esigua in un «regime» umanitario, riacquista una grande influenza, anche politica, nel mondo intero; e l'ideale cristiano è riscoperto da persone ancor più moderne dei modernisti». Ma sia ben chiaro, aggiunge e precisa l'indomabile Benson nell'introduzione al nuovo libro, "non voglio con ciò ritirare neanche una parola di quanto da me scritto nel «Padrone del mondo»". tratto da: 30 Giorni, gennaio 1988, p. 68-69 e da WWW.storialibera.it