Edoardo Boncinelli, lo scientista che piace al Corriere e a don Verzč.
Di Francesco Agnoli (del 05/10/2009 @ 17:02:08, in Scienza, linkato 1851 volte)

Edoardo Boncinelli è ormai dovunque a spargere il suo verbo sul fatto che l'uomo nasce per caso e muore per caso.

Adesso anche nella nostra città, chiamatovi dal Museo di scienze naturali, impegnato da annni in una lotta per lo scientismo.Qui sotto una mia analisi del Boncinelli-pensiero (atomi che nella sua testa si scontrano, casualmente, producendo quel che ne viene...). Notare, tra le altre, questa perla: "State a vedere che siamo diventati intelligenti solo perché un qualche antenato peloso poteva resistere meglio dei suoi simili a periodi di siccità o alla carenza di qualche forma particolare di cibo!"

 

Le argomentazioni ateologiche di Edoardo Boncinelli.

Vediamo di riassumere ulteriormente i termini della questione utilizzando le argomentazioni ateologiche di Edoardo Boncinelli (amico e collaboratore di don Verzè, editorialista del Corriere) che in quanto a competenza scientifica è un’autorità riconosciuta.

Secondo Boncinelli, che come abbiamo visto esclude a priori la dimensione spirituale, l’esistenza di Dio e dell’anima, e pone l’universo a caso, riguardo all’origine della vita, l’ipotesi di Oparin è oggi scientificamente insostenibile, e la “generazione spontanea per accostamento casuale dei componenti chimici” è “assolutamente improbabile” .

Di più: della vita non sappiamo neppure dare una vera “definizione”. Essa rimane per noi un mistero. In effetti cosa è la vita? Sappiamo analizzarne varie “componenti”, come gli anatomisti che sezionavano corpi: avevano in mano organi morti, non la vita. Sappiamo in parte definirla, ma solo in opposizione a ciò che meglio conosciamo: la materia morta. Per questo definiamo la vita semplicemente riconoscendole attributi che vediamo, dal moto alla deperibilità, senza però conoscere affatto il perché. E “come erano fatte le prime cellule? Non lo sappiamo. Possiamo solo fare delle ipotesi” , ammette Boncinelli: né il perché, dunque, né il come. Come si è poi passati dagli organismi unicellulari, quei batteri e quelle alghe elementari, che sono i “veri padroni del nostro pianeta, i vincitori indiscussi della lotta per l’esistenza” , e che quindi, a me sembra, non avevano alcun obbligo selettivo di evolvere, perdendoci nella lotta per la vita, agli organismi pluricellulari?

Perché questo aumento di complessità, questa innovazione biologica apparentemente inutile? In uno scenario di selezione pura non dovremmo aspettarci che il mondo rimanesse popolato di soli batteri? Come spiegare che le lettere del Dna, cambiando a caso, abbiano generato continuamente nuove creature ottimamente funzionanti e diverse tra loro, aumentando di complessità? Come ha affermato un biologo di cui non ricordo il nome: “se fate il gioco del passaparola, alla fine la frase non ha più nulla a che fare con quella originale, perché l’informazione si degrada…e perché invece in natura più una informazione si trasmette più aumenta di complessità? Il vero grande problema oggi è informatico, non biologico. Come fa una sequenza di programma ad aumentare di complessità? Non dico che sia impossibile…è altamente improbabile. Dobbiamo spiegare come questa improbabilità è stata continuamente possibile…”. A

nche qui, evidentemente non possiamo che ammettere la nostra ignoranza. Scrive Boncinelli: “costruire i primi organismi pluricellulari non deve essere stata una impresa di poco conto…deve essere successo qualcosa, o più probabilmente una combinazione di parecchie cose, che ne hanno prima permesso e poi promosso l’esistenza, fermo restando che i dominatori del pianeta sono da sempre i microrganismi unicellulari…” .

Riguardo all’uomo, alla sua origine, cosa veramente sappiamo? Scrive sempre Boncinelli: “A un certo momento però è avvenuto qualcosa che almeno ai nostri occhi appare eccezionale (sic). Una specie ha preso il sopravvento sulle altre e si è interrogata sulla natura del mondo, animato e inanimato. Per quanto ne sappiamo, non era mai successo prima e non è chiaro se fosse proprio inevitabile…Alcuni ritengono che la parte più significativa della sua evoluzione si sia dipanata in tempi relativamente brevi. Per tutti questi motivi l’evoluzione dell’uomo costituisce un capitolo molto particolare della storia evolutiva. Molte cose che ci premerebbe sapere non si sanno…” .

Ma allora, dopo simili oneste ammissioni, perché proporre come dogma, come si è visto, che “moriamo quindi per caso come per caso siamo nati” ? Non siamo di fronte ad una evidente forzatura del dato scientifico, sperimentale, per asserire una posizione ideologia, indimostrata e indimostrabile? L’uomo, continua Boncinelli, è l’unica creatura che ha l’idea della propria morte, forse fondata su un simile ragionamento: “Vedo che gli altri, animali e uomini, muoiono tutti, quindi dovrò morire anch’io”.

Per “arrivare a produrre un cervello in grado di effettuare una associazione del genere, che a noi oggi può apparire assai banale, la vita ha impiegato un bel po’ di tempo: almeno 3500 milioni di anni” : è una spiegazione scientifica questa? Si dice che poiché una cosa esiste, ed è complessa, ci devono essere voluti molti anni, come se il tempo fosse una bacchetta magica buona per ogni risultato ed occasione.

Eppure lo stesso Boncinelli afferma che “siamo proprio agli inizi nella comprensione di prestazioni come quelle conseguenti all’attività del cervello umano, che, essendo particolarmente sviluppate nella nostra specie, ci piace chiamare superiori” . Anche qui si noti il ragionamento forzato: se non sappiamo quasi nulla del cervello (ma anche se lo sapessimo, il cervello non è l’anima, ma solo il suo strumento), perché negare a priori ciò che invece appare ovvio, ad osservare la realtà, e cioè che il nostro io, che si manifesta anche attraverso il cervello, è superiore qualitativamente a quello degli animali? Quale animale scrive libri, si interroga sul senso della sua esistenza, interroga la natura, si rivolge a Dio, astrae, progetta, decide della propria vita…? Lo stesso cervello umano, se lo analizziamo solamente per la sua volumetria, è assolutamente improbabile, perché non c’è nulla di più importante culturalmente che avere un cervello grosso per sopravvivere dove si è nati, ma non c’è niente di più svantaggioso e di sfavorevole, per nascere, che avere una testa grossa, che può essere causa di morte per parto, per la madre e di gravi complicazioni, in determinati casi, per il figlio. Se tutto stesse nella selezione naturale, nella facilità a riprodursi, l’uomo avrebbe dovuto rimanere con un cervello poco sviluppato, e quindi con tanti figli nati con facilità, esattamente come le scimmie.

Ma così non è, e anche in questo caso Boncinelli lo sa: “L’aumento della massa cerebrale ha un costo metabolico non trascurabile e l’espansione del cranio mette a rischio ad ogni parto la sopravvivenza della madre e del nascituro. Ci deve essere un vantaggio selettivo di una certa consistenza in un processo del genere. Non è facile tuttavia cogliere l’essenza di questo vantaggio selettivo…” .

Si noti anche qui il procedere dell’argomentazione: dato il pregiudizio iniziale, e cioè che il cervello dell’uomo è solamente l’espansione volumetrica del cervello della scimmia, una causa puramente selettiva “ci deve essere”, anche se non si capisce e non si sa quale né perché! E’ in quest’ottica che assai coerentemente-ricordate la mosca di Scalfari e le formiche di Wilson?- Boncinelli arriva a negare la differenza tra un uomo e un sasso, in ossequio coerente al suo materialismo: “Intendiamo forse dire che il vivente è per qualche motivo più nobile o superiore al non vivente? L’istinto…ci spingerebbe a rispondere affermativamente, anche se una analisi obiettiva non offre valide argomentazioni in proposito. Al solito, si tratta della nostra insopprimibile tendenza a scorgere negli eventi una progettualità e a giudicarne il livello di efficienza in base alla capacità di concepirla e di conseguirla. Purtroppo questa è un’altra delle illusioni prodotte dal nostro strumento per ragionare, il cervello, e dal suo essere stato forgiato dalla pressione evolutiva…” .

E se fosse solo il cervello di Boncinelli ad avere tutte queste illusioni? Come fidarsi del cervello, per escludere il finalismo che esso stesso scorge, per negare il finalismo? Se il cervello e i suoi ragionamenti illusori sono l’irrilevante frutto di una pressione evolutiva priva di valore, non sono forse privi di ogni valore, illusori, anche i ragionamenti di Boncinelli? E se tutti i ragionamenti non valgono più dell’inerzia del sasso, come può pretendere il Boncinelli di aver ragione, e che i suoi convincimenti valgano di più di quelli da lui confutati?

Proseguiamo. Perché solo gli uomini seppelliscono i morti, dimostrando quindi di avere anche qui una nozione particolare della morte, di concepire una qualche forma di sopravvivenza ultraterrena? “Restando nel campo delle ipotesi, la sottrazione del corpo del defunto all’oltraggio delle belve e delle intemperie potrebbe essere ricondotta ad uno schema utilitaristico, nel quale trova posto anche la cura dei feriti: ‘Se io lo faccio per un altro, altri lo faranno per me’ ” .

Ha senso spiegare sempre tutto con l’utilitarismo? Non è un assioma a priori? Siccome la selezione naturale conserverebbe ciò che è utile, l’uomo di conseguenza farebbe sempre ciò che gli è utile: la realtà dimostra che ciò non è vero. Ma veramente crediamo che in tutte le civiltà si siano seppelliti i morti altrui o propri, per poter così ricevere analogo trattamento? Boncinelli sa che forse le cose non stanno proprio così, e continua: “Per alcuni studiosi, come Richard Dawkins, tale apparente (si noti l’aggettivo, anche qui per un dogma a priori, ndr) altruismo potrebbe avere radici molto meno cerebrali ed essere ricondotto al solito meccanismo selettivo dei pool genici meglio in grado di perpetuare le proprie copie. Assistendo i consanguinei si favorisce ugualmente la diffusione di geni uguali ai propri, anche se per una via meno diretta rispetto a quella di generare discendenti”. Saremmo insomma uomini al servizio dei nostri geni, in ogni cosa che facciamo? Non è un perfetto ribaltamento della realtà? Non è più ovvio il contrario? In verità qui Boncinelli, ben sapendo che queste e le altre spiegazioni sono, esse sì, “lacune darwiniane”, e che non vi sono spiegazioni naturalistiche adatte, aggiunge: “Se tale spiegazione vale per la cura dei feriti, non riusciamo a vedere tuttavia come possa giustificare anche la sepoltura dei morti, per quanto le vie della selezione naturale siano praticamente infinite”.

Riassumendo: non sembra logico che i geni, che guiderebbero in ogni scelta l’uomo per loro vantaggio, scelgano di seppellire geni ormai defunti…ma in fondo la selezione può tutto, è il tappabuchi ideale per ogni difficoltà! Quando una cosa non è chiara, come un deus ex machina, eccola lì: chiamata, la selezione naturale risponde! La verità viene spiegata più avanti, allorché Boncinelli parla del “big bang cosmico”, la nascita dell’universo, del “big bang biologico”, la nascita della vita, e del “big bang neurologico”, la nascita del cervello.

Scrive Boncinelli: “L’ultimo grande balzo, quello che possiamo chiamare intellettivo, ha innescato l’insolito e rapidissimo sviluppo della massa cerebrale della specie dei primati da cui discendiamo, e si può collocare solo tra due e tre milioni di anni fa. Caratteristica comune di tutti questi eventi epocali è che non sappiamo a quali concomitanze di fattori siano seguiti: se siamo qui a parlarne, è perché si sono indubbiamente tutti verificati, ma per nessuno di essi siamo in grado di valutare il mix tra caso e necessità che li ha scatenati” .

Si tratta di una splendida ammissione: non sappiamo quasi nulla, ma ciò è detto con eleganza, come se tutto ci fosse chiaro e lampante. Si noti ad esempio la terminologia: prima c’è un “balzo”, non ben definito, che innesca qualcosa di “insolito”: insolito vuole dire che non sappiamo neppure lontanamente perché… Poi il famoso mix di caso e necessità, che è evidentemente un a priori: Boncinelli sa di non sapere, ma ha assunto come assioma filosofico iniziale il non senso del mondo, dell’uomo e della coscienza. Per cui necessita di caso e necessità, ne ha assoluto bisogno. Non prova nulla, postula: non dimostra, impone, in poche righe. Ego ipse dixi.

Quanto al big bang neurologico, ammette ancora che sulle cause “vi è una disparità di opinioni” e aggiunge: “è altrettanto vero che tutte le altre specie (non umane, ndr) per centinaia di milioni di anni hanno prosperato e vinto le loro battaglie anche senza quest’ultimo salto di prestazioni. In altri termini c’è chi sostiene, ed è difficile dargli torto, che dell’intelligenza non c’era, evoluzionisticamente parlando, un gran bisogno, e che quindi la sua comparsa sia dovuta in gran parte al solito capriccio del caso” .

Insomma: per fare un sasso occorre un mix di caso e necessità, per fare l’intelligenza umana, un pochino più improbabile e complessa, solo il caso, anzi, un “capriccio del caso”. E’ scientifico questo modo di procedere, o è solo il tentativo ostinato di ridurre l’uomo ad un essere senza senso e scopo?

 Leggiamo un ultimo passaggio, per comprendere come un assioma a priori possa portare a forzature estreme: “Per esempio osservando che i geni responsabili dello sviluppo del cervello sono anche coinvolti in quello dei reni, potrebbe darsi che il vantaggio selettivo conferito da una migliore funzionalità urodinamica avesse trascinato con sé, almeno inizialmente, anche il casuale aumento delle dimensioni della massa cerebrale. State a vedere che siamo diventati intelligenti solo perché un qualche antenato peloso poteva resistere meglio dei suoi simili a periodi di siccità o alla carenza di qualche forma particolare di cibo!” .

L’intelligenza figlia del caso….e la signora necessità momentaneamente sostituita dai reni e dall’apparato urinario! La funzionalità urodinamica madre e generatrice di Dante, Michelangelo e Galilei? Non sarebbe più semplice, invece di avanzare ipotesi così peregrine, in un campo come quello scientifico, dove l’acribia dovrebbe essere massima, riconoscere l’evidente alterità dell’uomo rispetto al resto del creato, agli animali, alle mosche ed ai sassi? Eppure, per fare un solo esempio, Michael Gazzaniga, lo scienziato che ha studiato con Sperry la separazione degli emisferi cerebrali, ritenuto appunto uno dei più importanti studiosi del cervello, proprio dalle sue conoscenze sperimentali trae la conclusione opposta a quella di Boncinelli: “su un punto Darwin aveva torto”, sostiene Gazzaniga, perchè “noi non siamo in continuità con gli altri primati, la differenza tra noi e loro è qualitativa, non puramente quantitativa” . Un po’ di prudenza, insomma, sarebbe necessaria, anche per evitare che si ripeta quanto successo in passato, per ammissione dell’evoluzionista Boncinelli: “un certo modo di vedere l’evoluzione è stato alla base di alcune delle teorie più aberranti sul presente e sul futuro della specie umana e sulla struttura dell’umanità in razze e strati sociali” ...

(da: Perchè non possiamo essere atei, Piemme)