Mi permetto alcune riflessioni sull’affare Boffo, a mente fredda, senza quella fretta che caratterizza sovente i giornalisti e che spinge a scrivere prima ancora di aver pensato. Premetto che il dottor Feltri, a mio parere, ha sbagliato di grosso, perché è sceso al livello di Repubblica, dell’Unità, insomma di quei giornali che intendono la politica come demonizzazione dell’avversario, e che non disdegnano la calunnia, l’ingiuria, il linciaggio.
Impiccare Boffo ad una sentenza di quel tipo, ambigua e ambiguamente presentata, è stata quantomeno un’ operazione poco dignitosa. Che poi i giornali di sinistra stiano oggi dalla parte di Boffo è pura strumentalizzazione, in quanto l’ex direttore di Avvenire era visto, sino a pochi giorni fa, come un nemico, troppo tenero con Berlusconi, troppo pro life ecc…. Ricordo anche che chi oggi urla per le denunce di Berlusconi e contro il giornalismo di Feltri, all’epoca del referendum sulla legge 40 non ha esitato a scrivere menzogne di ogni tipo e a querelare sistematicamente i cattolici impegnati nella battaglia per l’astensione. All’epoca scrissi il primo articolo del primo numero di “è vita”: in quella occasione un collaboratore di Unità e Liberazione ci denunciò, a me e a Boffo. Non mi sovviene nessuna manifestazione di solidarietà, allora, e nessuno che urlasse a favore della libertà di stampa.
Premetto, ancora, che condivido in parte il parere di Messori e De Mattei: pur avendo pregato tutti i giorni per la serenità di Boffo, non sono riuscito a comprendere come mai, conoscendo la vicenda, i vertici della Cei non abbiano agito prima, per prevenire lo scandalo. Detto questo, non è facile capire cosa ci sia veramente dietro tutta la vicenda Feltri-Boffo.
A mio parere, però si possono notare alcune cose. Anzitutto che l’ attacco al direttore del quotidiano della Cei non è stato concordato dal direttore di Libero insieme col premier. Quest’ultimo infatti non aveva alcun motivo per ribaltare, all’improvviso, il suo desiderio di mantenere un’ amicizia di fondo col popolo cattolico. Berlusconi sa bene che i cattolici attenti ricordano il governo Prodi e i suoi ministri: per questo, mentre da una parte non vuole alienarsi le simpatie dei laici, anche dei più radicali, dall’altra non desidera neppure proporre leggi che siano ritenute dai cattolici inaccettabili: dalle stanze del buco, ai dico, all’adozione agli omosessuali, alla penalizzazione delle scuole parificate ecc… La sua dichiarazione sull’ “anarchia etica” del PDl significava proprio questo: non farò certo il cattolico tradizionalista, sposando alcune posizioni della Chiesa sulla bioetica, che del resto non mi appartengono, ma neppure mi schiererò apertamente contro di esse. Insomma: il mio partito è “aperto”, anarchico, come me. E infatti le cose stanno proprio così. Le votazioni su questioni etiche lo hanno dimostrato: parecchi uomini del Pdl esprimono apertamente posizioni diverse da quelle di buona parte del partito, e avverse alla visione esistenziale dei credenti. Eppure questo non desta più di tanto scandalo, laddove invece alcuni voti nel Pd a favore ad esempio della legge sul testamento biologico in dissonanza con la maggioranza del partito, hanno creato lotte fratricide e accuse laceranti. L’onorevole Paolo Binetti, per sintetizzare, è sempre nel mirino dei suoi compagni di partito, sino a ricevere le peggiori ingiurie, mentre Benedetto Della Vedova o altri parlamentari filo-radicali del Pdl, hanno estrema libertà di espressione e nessuno si leva, un giorno sì e uno anche, a chiedere ritrattazioni, dimissioni ecc…
E’ di qualche giorno fa la dichiarazione di Pierlugi Bersani per cui un partito come il Pd, di comunista memoria, non può lasciare libertà di opinione su certe questioni etiche, perché i singoli devono seguire il volere della maggioranza, che, su tali questioni, si sa già in anticipo quale sia. Niente “anarchia”, dunque, nel Pd, ma ortodossia, radicale, panneliana. Se allora non poteva essere nell’interesse di Berlusconi colpire a tradimento Boffo, si può invece ritenere che Feltri abbia giocato un colpo da “maestro”: sollevare una bufera nel momento del suo passaggio da Libero al Giornale, anche per portarsi dietro un po’ dei suoi vecchi lettori (cosa che effettivamente è avvenuta). L’iniquo e spesso ambiguo tiro al bersaglio contro Boffo, in verità, ha trovato l’alleanza di una parte del mondo cattolico. Non tanto della Santa Sede, che certo avrebbe preferito che tutto rimanesse come prima, ma di quei non pochi cattolici che tra Boffo e Feltri hanno preferito il secondo, per un motivo semplicissimo: perché stufi delle posizioni esagerate, estreme, faziose, dei don Sciortino e di quella parte della Cei che non perde occasione per attaccare Berlusconi come origine di tutti i mali del paese, e che, tra le altre cose, tratta spesso i politici e gli elettori di destra, e soprattutto leghisti, con una durezza e una acidità sconcertanti e francamente intollerabili.
Questi cattolici hanno erroneamente identificato in Boffo il solito “catto-comunista” lasciatosi andare a paragoni improponibili tra governo italiano e nazisti. Paragone, è bene ricordarlo, su cui molta stampa ha vissuto a lungo, strumentalmente e che è stato stigmatizzato anche dal direttore dell’Osservatore Romano. La realtà mi pare sia diversa. Boffo è uomo che per tanti anni ha diretto un giornale dovendo fare i conti con spinte e controspinte non indifferenti. Da una parte infatti l’episcopato più tradizionalista e fedele al papa, che al contrario di quanto si dice, preferisce stare fuori dalle vicende politiche, a meno che esse non riguardino i principi non negoziabili. Avete mai visto il cardinal Biffi o Caffarra intervenire mediaticamente su questioni politiche opinabili, al fine di mostrare apertamente simpatie politiche? A costoro Boffo ha risposto alla grande, creando “è vita” ed “è famiglia”, due inserti di cui tutti i cattolici dovrebbero per sempre essergli grati, e che certo non sono mai stati teneri con la sinistra.
Dall’altra, il direttore di Avvenire ha certamente subito una serie abbondantissima di vescovi scalpitanti, che con perfetta mentalità sessantottina ritengono sia necessario schierarsi apertamente a sinistra, in nome della “scelta preferenziale per i poveri” o sciocchezze catto-comuniste simili. Al sottoscritto sembra di aver notato, dunque, questo: Boffo ha fatto di tutto, in tanti anni, per fare un giornale equilibrato, che non fosse accusabile di essere schierato politicamente. Ha dato qualche colpetto a destra e a manca, senza mai trascendere, senza quasi mai urlare, a differenza ad esempio, dello squilibratissimo “Famiglia cristiana”. Ma negli ultimi tempi ha dovuto affrontare la verve giacobina di svariati prelati che lo hanno un po’ spinto a permettere due, dicasi due, editoriali, certo eccessivamente sbilanciati.
Li ha voluti Boffo? Direi proprio di no. Li ha permessi, costretto. Diciamo la verità: non deve essere facile dirigere un giornale per conto dei vescovi italiani! Il sottoscritto auspicherebbe, in conclusione, alcune cose: un futuro direttore di Avvenire laico, scelto con attenzione, ma completamente libero; vescovi che imparino a fare il loro mestiere, di uomini di Chiesa, pronti a schierarsi con fermezza sulle grandi questioni, ma senza l’ambizione di trasformarsi in opinionisti del momento. Perché questo accada occorre però che i poteri della Cei siano fortemente ridimensionati, che si torni all’epoca di Pio XII, ad una chiesa salda, forte, indipendente, che quando si occupa di politica sia al di sopra di ogni sospetto e che conosca anche il “valore del silenzio”. Che parli con una sola voce, ponderata ed equilibrata. Ma perché questo accada occorre che cambi una discreta parte dell’attuale generazione di vescovi, cresciuta nel sessantotto, nel mito di una fede che si fa politica (“dalle messe alle masse”, come dicevano i cattolici del dissenso). Tornino, i vescovi, a pensare al decoro della casa di Dio, della trascurata liturgia, alla preghiera, ai loro seminari sempre più vuoti: formino veri cattolici, che poi si battano in politica, e rimangano guardiani fedeli e indipendenti del diritto naturale. Per il resto, per favore, siano sobri, parlino più raramente, anzitutto nelle chiese, ma non in ordine sparso, dicendo e disdicendo, ognuno per sé, con affermazioni gridate, quasi da giornalisti consumati che vogliono strappare la prima pagina. La prudenza è una virtù cristiana, la capacità di stare oltre la politica di tutti i giorni, pure. Essa permette di poter intervenire con autorevolezza, quando veramente occorre.