Il direttore dell'Osservatore Romano sul caso Avvenire-Giornale-Repubblica
Di Rassegna Stampa (del 31/08/2009 @ 14:14:37, in Attualitą, linkato 2023 volte)

Vian: rivendico di non aver scritto sulle vicende private del Cavaliere «Santa sede-governo, rapporti eccellenti. Avvenire? Qualche scelta imprudente»

 «E’ vero, sulle vicende private di Silvio Berlusconi non abbiamo scrit­to una riga. Ed è una scelta che riven­dico, perché ha ottime ragioni». Dice Gian Maria Vian, direttore dell’Osser­vatore Romano, il quotidiano del Pa­pa, che «il giornalismo italiano pare diventato la prosecuzione della lotta politica con altri mezzi. Segno che la politica, in tutti i suoi schieramenti, è piuttosto debole. Infatti da alcuni mesi la contesa tra partiti sembra svolgersi soprattutto sui giornali, che hanno assunto un ruolo non sol­tanto informativo, come mostrano le vicende anche degli ultimi giorni. Ma forse — aggiunge Vian — non si è data sufficiente attenzione al fatto che, il giorno stesso in cui è esploso il caso del direttore di Avvenire, su Repubblica Vito Mancuso ha attacca­to, con molte approssimazioni stori­che e una durezza insolita, il cardina­le segretario di Stato, presentando co­me un appuntamento politico una ce­rimonia religiosa antica di sette seco­li, che quest’anno rivestiva una solen­nità particolare dopo la tragedia di un terremoto da trecento morti.

Co­sì, nel giro di quattro ore, l’Osservato­re ha risposto con un editoriale che ha chiarito il significato della Perdo­nanza e ribadito che non ci occupia­mo di polemiche contingenti. Quan­to alla rinuncia del presidente del Consiglio, che è stato rappresentato da Gianni Letta, si è trattato di un ge­sto concordato, di responsabilità isti­tuzionale da entrambe le parti. Tanto più che i rapporti tra le due sponde del Tevere sono eccellenti, come più volte è stato confermato. Anche sul nostro giornale, che per la prima vol­ta, l’anno scorso, ha intervistato, in­sieme agli altri media vaticani, sia il presidente della Repubblica sia il pre­sidente del Consiglio». L’Osservatore Romano non si è mai occupato delle vicende di Berlusconi anche perché, spiega il direttore, «negli ultimi due anni il giornale è cambiato. Prima c’erano una o anche due pagine di cronaca italiana e un’altra di cronaca di Roma. Siamo un giornale piccolo, anche se impor­tante. Proprio su richiesta del nostro 'editore' abbiamo triplicato lo spa­zio delle informazioni internazionali. E, in genere, il quotidiano della Santa Sede oggi non è solito entrare negli scontri politici interni dei diversi Sta­ti, a cominciare dall’Italia. Preferia­mo dedicarci ad analisi di ampio re­spiro, piuttosto che seguire vicende molto particolari, controverse e di cui spesso sfuggono i contorni preci­si, come quelle italiane degli ultimi mesi».

Sul caso che riguarda il direttore di Avvenire, non è certo in discussione la solidarietà personale con Dino Bof­fo. Vian, che lo conosce da quindici anni ed è stato editorialista del gior­nale dei cattolici italiani, gliel’ha espressa per iscritto, il giorno stesso. E’ un dato però che la linea dell’Osser­vatore Romano non sia stata la stessa del giornale dei vescovi, e taluni edi­toriali di Avvenire molto critici verso il governo abbiano destato sconcerto Oltretevere: «Non si è forse rivelato imprudente ed esagerato — si chiede Vian — paragonare il naufragio degli eritrei alla Shoah, come ha suggerito una editorialista del quotidiano catto­lico? Anche nel mondo ebraico, fer­ma restando la doverosa solidarietà di fronte a questa tragedia, sono sta­te sollevate riserve su questa utilizza­zione di fatto irrispettosa della Sho­ah. E come dare torto al ministro de­gli Esteri italiano quando ricorda che il suo governo è quello che ha soccor­so più immigrati, mentre altri – pen­so per esempio a quello spagnolo – proprio sugli immigrati usano di nor­ma una mano molto più dura? Mi sembra davvero un caso clamoroso, nei media, di due pesi e di due misu­re » .

Anche l’informazione religiosa, de­nuncia Vian, tende ad appiattirsi sul­le tendenze deteriori di quella politi­ca, anch’essa un tempo in genere più ampia e approfondita. «Sono stato ac­creditato in sala stampa vaticana dal 1975 al 2007, e ricordo quindi benissi­mo il direttore Federico Alessandri­ni, in precedenza vicedirettore del­­l’Osservatore: un gentiluomo d’altri tempi sempre disponibile a spiegare le cose, che aveva tutta la preparazio­ne per farlo e interlocutori giornalisti ben più preparati e tuttavia desidero­si davvero di capire. Oggi, invece, sembra aperta la caccia al prelato, me­glio se cardinale, e preferibilmente per una battuta polemica. E così si fi­nisce anche per ripiegare su figure di ecclesiastici, magari autorevoli ma or­mai ritirati, oppure che non hanno il ruolo istituzionale per parlare a no­me della Santa Sede, come ha dovuto precisare l’attuale successore di Ales­sandrini, il gesuita Federico Lombar­di. Mentre, per fortuna, mi sembra che questa abitudine non sia così dif­fusa tra i vaticanisti non italiani».

Vian non fa nomi, ma non è impossi­bile vedere dietro le sue parole il pro­filo del cardinale Lozano Barragán per la sanità e di monsignor Sgreccia per la bioetica, entrambi emeriti. «Ora, per esempio, dei migranti ha la responsabilità un diplomatico come l’arcivescovo Vegliò, che ha dimostra­to sensibilità e prudenza; certo, se si mette in discussione il suo ruolo o, peggio, si dicono enormità sul suo conto, come è stato fatto frettolosa­mente e con impudenza, lui ha tutto il diritto di reagire, anche con ener­gia, come ha fatto».

Ma i rapporti tra l’Italia e la Santa Sede, ribadisce Vian, «sono buoni. Berlusconi è stato il pri­mo a chiarire che non sarebbe anda­to a Viterbo per la prossima visita del Papa, quando ha capito che la sua pre­senza avrebbe causato strumentaliz­zazioni. L’incontro dell’Aquila è salta­to per non alimentare le polemiche, ma era stato previsto proprio per se­gnare simbolicamente un impegno comune, dello Stato e della Chiesa, per le popolazioni colpite dal terre­moto. Con la presenza del cardinale Bertone a rappresentare Benedetto XVI, che è anche primate d’Italia. No, nelle relazioni tra Repubblica Italiana e Santa Sede non cambia nulla». Corrriere, 31/8/2009 Aldo Cazzullo