Lunedì 17 tutti i giornali davano la notizia di due morti di overdose, durante altrettanti di quei baccanali moderni, detti rave party, in cui giovani e non più giovani si raggruppano a centinaia per formare una massa indistinta e informe, in cui si beve, si assumono sostanze stupefacenti, e ci si trascina, dall’alba a notte fonda, per fuggire la noia e il vuoto esistenziale.
Sostenuti, mentre lo spirito è prostrato e le ginocchia iniziano a vacillare, dal ritmo ossessivo di rumori distonici che penetrano nel cervello per svuotarlo di un dubbio, di una paura, di una domanda. Poi, di tanto in tanto, qualcuno solleva un grido, che si ripete, sino a diventare un urlo collettivo, apotropaico, un rantolio rabbioso; e lì, da una parte, qualcuno crolla a terra, sfinito, spesso tra l’indifferenza di chi lo circonda, perché il suo fisico non ha retto la miscela micidiale di droga, alcool, musica e non senso.
Per comprendere quale sia l’origine della cultura della droga e dello sballo, di questo buco nero che inghiotte anime e corpi, non conosco uno strumento migliore dell’ottimo studio di Mario Arturo Iannaccone, “Rivoluzione psichedelica” (Sugarco).
Mi limito a trarne alcune idee che mi sembrano interessanti.
La prima: la cultura della droga, in epoca contemporanea, nasce anche come manifestazione di ricerca di una dimensione spirituale. Vi ricorrono personalità spesso benestanti, affermate nella carriera, ciononostante affamate, alla ricerca di qualcosa. Per questo si recano in America Latina, cercano di farsi introdurre da qualche stregone locale agli antichi culti del cactus allucinogeno, del peyote, dei funghi teonanactl (“carne degli dei”); oppure vanno in India, dai guru, dai santoni di quel paese, e finiscono, anche lì, nel vortice delle droghe psichedeliche, delle sostanze che, a loro dire, allargherebbero la psiche e svelerebbero verità nascoste. Per molti di loro, da T. Leary ad A. Huxley, la droga diventa un vero “sacramento”, il sostituto del panis angelicus dei cattolici, capace di aprire “il cielo e l’inferno”.
Negli anni in cui tanti giovani ritengono di aver trovato una nuova via, semplice, immediata, per accedere ad un imprecisato “altrove”, rinnegando la mistica e la spiritualità cristiana, il mondo cattolico, desideroso di essere più al passo coi tempi e col mondo, mette in soffitta proprio ciò di cui le nuove generazioni hanno fortemente bisogno: le esperienze ad un tempo personali e collettive della fede, come le processioni, i pellegrinaggi, le adorazioni eucaristiche, il canto gregoriano, la liturgia latina, sino, per fare un esempio banale, ad un tradizionale segno del sacro come l’incenso.
Il secondo spunto che traggo dal lavoro di Iannaccone riguarda lo sfondo gnostico dei movimenti di liberazione attraverso la droga che prenderanno vari nomi: hippy, beat, provos ecc… Per gli gnostici di tutti i tempi lo scandalo è il limite: il nostro corpo, la realtà esterna, o Dio come legislatore morale e origine di entrambi. Come scrive Eugenio Scalfari, nel suo “L’uomo che non credeva in Dio”, rievocando queste filosofie di morte e annullamento, l’Io sarebbe solo una “gabbia”, un “capriccioso dittatore”, un “prigioniero” da “distruggere”.
Sono la coscienza, la personalità, la nostra esigenza di un significato unico per la nostra irripetibile esistenza, a spaventare terribilmente chi non ha più il coraggio di stare dinanzi alla fatica del vivere consapevole, con la certezza di essere, un giorno, giudicato. Ebbene proprio Albert Hofmann, il sommo sacerdote dell’LSD, ne loda la capacità di determinare “disintegrazione del mondo e dissoluzione dell’Io”. Analogamente i primi sperimentatori occidentali dei funghi allucinogeni messicani, notano come essi portino a visioni e percezioni assolutamente diverse da quelle normali, suggerendo l’idea che i dati fenomenici siano pura illusione e la ragione, in verità, uno strumento negativo e limitante. Per costoro le droghe sarebbero capaci di “liberarci”, di svelare la realtà come inganno, insegnandoci che tutto è illusione, che Tutto è Nulla. Per questo ai primi culturi della droga risulta naturale distogliere lo sguardo dal cristianesimo, con il suo richiamo alla ragione, alla nostra individualità, alla responsabilità di ogni uomo, per guardare, come scrive Iannaccone, “a culture e filosofie come quella indù e buddista che proclamano che tutto è illusione, che il mondo oggettivo è illusione, che il nostro Io è prodotto della mente (i processi mentali) e che soltanto liberandoci da esso possiamo salvarci”.
Scrive Hollingshead: “Ho rotto il guscio…Ora facilmente fuoriesco dalla cella prigione del mio corpo e vivo nel regno dei primordi. Canterò di eroi, selvaggi della montagna….mi trasformerò in un dio che può camminare sulle cime dei monti”.
Il terzo ed ultimo concetto che traggo dal libro di Iannaccone è il collegamento tra cultura della droga e relativismo, tra uso di sostanze stupefacenti e indifferentismo morale. Non è un caso che i padri della rivoluzione psichedelica siano stati anche fautori della rivoluzione sessuale e dell’ “amore libero”. Prima ancora di scoprire l’LSd e di diventarne il cantore, Leary sostiene di voler “muovere guerra alla mente-trappola che inventa ruoli sociali, colpa e castigo, bene e male”. Proprio le droghe svelerebbero definitivamente, allora, che Bene e male non esistono e che la distinzione, il ragionamento, la scelta, la responsabilità personale, sono residui di una cultura del passato che solo la droga potrà eliminare, aprendo così l’ “Età dell’Oro dell’Anarchia” (il Foglio, 20/8/2009).