I grandi scienziati della storia: atei e credenti.
Di Francesco Agnoli (del 14/09/2009 @ 23:42:11, in Scienza, linkato 9930 volte)

Nel suo L'illusione di Dio (Mondadori), il più famoso scienziato ateo contemporaneo, Richard Dawkins "sostiene con assoluta sicurezza che la gran parte degli scienziati odierni abbraccia l'ateismo, presentando ciò come un’ulteriore dimostrazione dell'ignoranza e della brutalità di chi crede.

Ebbene, proprio in questo capitolo, il III (pp. 101 e seguenti), Dawkins fa delle ammissioni interessanti, dal momento che cita gli scienziati del passato che hanno creduto nell'esistenza di Dio: ricorda Galilei, Keplero, Newton, Faraday, Maxwell, Kelvin (definito "il fondatore della termodinamica moderna, il quale tentò di dimostrare che la teoria dell'evoluzione era sbagliata per mancanza di tempo"), il monaco Gregor Mendel, padre della genetica, Blaise Pascal e Francis Collins, oltre che alcuni famosi scienziati britannici contemporanei (tra cui Peacocke, biochimico, pastore anglicano, titolare di cattedre nelle più importanti università inglesi e americane, da Oxford a Birmingham, da Berkeley a Cambridge, e Polkinghorne, fisico teorico, anch'egli pastore anglicano, che ha lavorato con Gell-Mann alle prime identificazioni dei quark).

Due scienziati anomali: Watson e Crick.

A questa lista di giganti della scienza moderna, che la hanno fatta procedere a forza di incredibili balzi in avanti, con intuizioni originali - lista per il resto zeppa di omissioni (mancano almeno, per brevità e in disordine: il canonico Niccolò Copernico; il sacerdote Benedetto Castelli, fondatore dell'idraulica; Robert Boyle; il vescovo Niccolò Stenone, padre della geologia, della paleontologia e della cristallografia; il sacerdote Lazzaro Spallanzani, uno dei padri della biologia moderna; Antoine Lavoisier; Alessandro Volta; Andrè Marie Ampère, autore di “Prove della divinità del cristianesimo”; Luigi Galvani, terziario francescano; Eulero; Louis Pasteur; il gesuita Georges Lemaitre; Jerome Lejeune; i celebri fisici italiani Enrico Medi e Antonino Zichichi; Luigi Fantappiè e Gugliemo Marconi; e i premi Nobel Alexis Carrel, Werner Arber, Charles Townes, John Eccles, De Duve, Tony Hewish ...)-, Dawkins, senza probabilmente rendersene conto, oppone due soli nomi, cioè quelli di Francis Crick e di James Watson, premi Nobel nel 1962 per aver scoperto la struttura elicoidale del Dna (partendo da innumerevoli altre acquisizioni precedenti sulla genetica).

 Un po' poco per trarne conclusioni affrettate!

A questo si aggiunga l'ambigua reputazione di cui gode Watson, a cui molti imputano di essersi impadronito di lavori sperimentali non suoi, e di aver ottenuto fama e prestigio a spese di Rosalind Franklin, una donna scienziato che fu in parte scippata dei suoi meriti, a causa dell'astuzia e della mancanza di scrupoli dei suoi colleghi maschi.

 Brenda Maddox, nel suo “Rosalind Franklin. La donna che scoprì la struttura del Dna" (Mondadori, 2002), racconta come andarono i fatti, rammentando che Watson, all'indomani del Nobel, decise di scrivere un testo, "La doppia elica", che sarebbe divenuto un best seller. Watson aveva preparato una prima versione che però aveva sollevato le ire dei genitori di Rosalind - che era già morta di cancro e di cui Watson si faceva beffe-, e dei suoi colleghi, e premi Nobel insieme a lui, Francis Crick e Maurice Wilkins. Watson infatti, come scriverà Wilkins, era stato profondamente "ingiusto nei miei confronti, nei confronti del dottor Crick e di quasi tutti quelli che vi sono menzionati, ad eccezione del professor Watson stesso". Dinnanzi ad una tale levata di scudi, racconta la Maddox, l'università di Harvard si rifiutò di pubblicare il libro di Watson, che da allora sarebbe stato di continuo perseguitato dal dubbio di quanti videro in lui, in parte non a torto, come egli stesso ammetterà, non solo uno scienziato di valore, ma anche un uomo abile e furbo, dotato di astuzia e di ottima capacità di pubblicizzare se stesso. Da allora Watson sarà spesso costretto a riconoscere che sì, in effetti si era servito di una importante fotografia di Rosalind, che aveva costituito il punto di svolta del suo lavoro: "il problema che ha continuato a procurare disagio a Watson -commenta la Maddox- era aver utilizzato i dati sperimentali di Rosalind alle sue spalle, senza mai metterla al corrente in termini chiari, neanche nei successivi anni della loro cordiale collaborazione. Né lo fece Crick. La riconoscenza che le tributarono fu sempre molto sfumata, e sempre associata al nome di Wilkins", cioè del direttore dell'unità di ricerca di biofisica del King's College di Londra, per cui la Rosalind lavorava. Ma non è tutto.

Oltre a non essere assolutamente irreprensibile come scienziato, Watson non è neppure adatto a rappresentare l'idea che Dawkins ci dà dell'ateo in generale: quella cioè di un uomo più intelligente, più colto, più moderato delle persone religiose. Il premio Nobel del 1962 è infatti famoso per aver scritto un altro libro di memorie, "Avoid boring people" (“Evitate le persone noiose”), in cui fa esplicite affermazioni razziste, sulla inferiorità dei neri d'Africa, e sulla loro genetica incapacità di raggiungere determinati obiettivi, tentando di fondarle, senza successo, su considerazioni "scientifiche", su determinazioni genetiche: "Le nostre politiche sociali sono basate sul fatto che l'intelligenza degli africani è pari alla nostra, ma tutti i test dicono il contrario... Non c'è alcun motivo di credere che le capacità intellettuali di popoli geograficamente separati nella loro evoluzione si siano evolute in modo identico. Il nostro desiderio di considerare una uguale forza della ragione come eredità comune a tutta l'umanità non basta per fare in modo che sia così". E ancora, Watson riconosce l'aspirazione umana all'uguaglianza, ma aggiunge che "le persone che hanno avuto a che fare con dipendenti neri sostengono che non è vero". "L'esternazione - commenta il Corriere della Sera del 18/10/2007 - ha suscitato reazioni politiche e scientifiche sdegnate. Per Keith Valz, presidente della Commissione Interni di Westminster, è 'triste vedere uno scienziato di questo livello dire cose così prive di fondamento e offensive'. Non c'è da credere che Watson si faccia impressionare, perché già in passato aveva invitato 'gli accademici a lasciare la correttezza politica ai politici di mestiere'. Anche i suoi colleghi però sono amareggiati....". Ma Watson ama la controversia: "ha cominciato litigando con i colleghi di Cambridge con cui aveva condiviso la scoperta e il premio. Ha fatto infuriare i movimenti femministi dicendo che la dottoressa Rosalind Franklin, che non ottenne il Nobel nonostante i suoi appunti fossero stati cruciali, aveva il difetto di essere brutta e quando gli fu chiesto di spiegare il significato del pronunciamento rispose: 'L'aspetto fisico è importante'. Dieci anni fa ha suggerito che le donne in attesa di figli con geni omosessuali (sic) dovrebbero avere il diritto di abortire. E, accusato di essere degno degli scienziati dell'eugenetica nazista replicò: 'Era un ragionamento ipotetico. Dicevo solo che, se si potessero individuare i geni dell'omosessualità prima della nascita, molte donne sceglierebbero l'aborto. Perché la maggior parte delle madri vogliono anche diventare nonne. Non è senso comune?' Poi si è detto a favore dello screening genetico sostenendo che la 'stupidità' un giorno sarà curabile ed evitabile. Nel 2000 Watson si era già occupato di geni e colore della pelle. Suggerendo un collegamento tra forte libido sessuale e neri. Allora gli scienziati americani insorsero, dicendo che il vecchio collega 'sfruttava i successi passati per promuovere opinioni senza alcuna base' ".

Insomma: gli scienziati citati da Dawkins per suggerire la superiorità morale ed intellettuale (genetica?) degli atei, sono un po' pochi e fors'anche da rivedere.... Ma è utile rimanere un istante su Watson, per comprendere quale sia il fondamento razionale del suo ateismo, e quanto tale fondamento sia veramente solido e condivisibile.

Nel suo "Dna, il segreto della vita" (Adelphi, 2004), Watson arriva addirittura ad affermare che la sua scoperta del Dna è servita a penetrare "il segreto della vita", confermando "la rivoluzione del pensiero materialistico dell'Ottocento". Nella vita, scrive ancora Watson, non vi è "niente di speciale", ed essa "non è altro che una questione di chimica", come tale assai semplicemente comprensibile, mentre l’uomo è “il prodotto di lanci casuali dei dadi della genetica” . Coerentemente con questi ragionamenti - così antitetici rispetto a quelli del grande biochimico Erwin Chargaff, che soleva definire la vita come un "mistero impenetrabile", ma anche del suo collega Francis Crick che, come si è detto, considera la vita un “miracolo” - Watson trae delle conseguenze: se il Dna è tutta la vita, e se tutta la vita è riducibile al Dna, allora ogni distinzione tra uomo e uomo, ed ogni alterità tra uomini e animali, è riconducibile solo ed esclusivamente ad esso.

Di qui al razzismo il passo è breve: la differenza di sviluppo tra bianchi e neri non deriverebbe da dissimili culture, storie ed educazioni, ma da fattori genetici, e come tale sarebbe incolmabile, eterna, immutabile. Ma il ragionamento più assurdo di Watson è quello per cui, una volta scoperto il Dna, cadrebbe ogni possibile spazio per un sentimento religioso, identificato da Watson, erroneamente, con la credenza nell’antico “vitalismo” pagano: "C'è qualcosa di divino all'interno di una cellula, qualcosa che si chiama vita? La doppia elica rispondeva a questa domanda con un no definitivo" . Tre sono le considerazioni da fare. La più immediata: il Dna da solo è materia inerte, non è la vita; è un po’ come un programma di computer senza l’elettricità che lo faccia funzionare (cosa sia questa “elettricità”, lo abbiamo visto, non si sa affatto). In secondo luogo Watson scambia il codice di funzionamento della cellula, che è una modalità, con la causa prima del funzionamento stesso. Un po' come un critico che isolando le lettere di un verso, ritenesse così di aver dimostrato l'inesistenza del poeta; o come un tecnico del computer che, scoperto il linguaggio di un programma, postulasse l'inesistenza di un programmatore, spiegando che il programma si autogiustifica da sé, in quanto è capace, da sé, di funzionare.

 Ma la considerazione più importante è che Watson ha confuso una religiosità di tipo pagano, animistico, immanente, vitalista appunto, che quindi intravede nella vita fisica e biologica forze divine, intelligenti, immanenti, impersonali, con l'esistenza di un principio trascendente, personale, creatore, proprio della filosofia cristiana. Watson dunque, se ben compreso, suggerisce un concetto importante: il Dna confuta al più il panteismo, l'anima mundi dei pagani e di Giordano Bruno (esattamente come lo fanno la teoria del Big Bang e quella della relatività), perché esclude la possibilità, appunto, di un vitalismo magico interno alla materia, cioè di una materia "divina", che nulla ha a che vedere con l’idea di un Dio Creatore.

Per chi crede in un Dio trascendente, invece, che la cellula abbia un suo funzionamento autonomo, regolato, normato, è del tutto logico, dal momento che ogni corpo, terrestre e celeste, deve essere sottomesso alle leggi poste in essere dal suo Creatore, "divino artefice", architetto, dell'Universo, come avrebbero detto Copernico, Newton e Keplero. Nello stesso tempo, la fede in un Dio trascendente esige la differenza tra materia e spirito, differenza che Watson non fa che ammettere candidamente quando scrive che le nostre conoscenze sulla “coscienza umana” sono assai “rudimentali” (sebbene poi, nell'ultimissima pagina, cerchi di spiegare che l’amore è “scritto nel Dna”, ed è "il più grande dono elargito dai nostri geni all'umanità"!). Questo perché la coscienza non è regolata dal Dna e da nessun codice chimico, e nessuno scienziato vi potrà mai mettere sopra le mani o il microscopio (così, evidentemente, anche per l'amore, essendo la coscienza e l'amore, quelli sì, "tracce" del divino che c'è in noi). Da: Perchè non possiamo essere atei, Piemme.