Abituati ad esportare la mafia nazionale all’estero, forse con compiaciuta vergogna (si scusi l’ossimoro), si è pervenuti in ritardo alla percezione del rischio criminale straniero in Italia. Si sono sottostimati, se non la pericolosità di alcune manifestazioni - quali traffico di droga, immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero - almeno il disegno transnazionale più generale e composito. Il presente elaborato propone alcune osservazioni sulla minaccia integrata nigeriana. Sebbene molti analisti ritengano che il collante ‘strutturale’ di tale matrice criminale sia l’omertoso ossequio ad un fideismo superstizioso, sintetizzato dalle pratiche del voodoo o del ju-ju, tuttavia, ad una esplorazione successiva sono emersi caratteri fondanti ancor più complessi e pericolosi. La nostra analisi, quindi, mira ad individuare e qualificare i fattori di rischio avvalendosi della conoscenza degli elementi costitutivi sociali, politici, economici, religiosi e culturali della Repubblica nigeriana. Essi si ripetono all’interno del fitto contesto reticolare ordito nel tempo dalla locale criminalità a livello internazionale. Rete che si estende anche in Italia, attraverso una complessa filiera impermeabile e indefinita che ha le potenzialità di veicolare istanze integraliste, interessi illegali lobbisti ed attività delittuose.
nella foto festa woodoo
Premessa Il raccapricciante ritrovamento dei resti mutilati di un bambino nigeriano nelle acque del Tamigi (1) , la clonazione di un sito Internet bancario, una cassa comune che unisce in un rapporto circolare e perverso lenoni e prostitute (2) sono solo alcuni degli originali aspetti di una stessa realtà criminale, quella di matrice nigeriana, in grado di pianificare indifferentemente omicidi atroci, espressione di rituali primitivi permeati da elementi magici, reati informatici di alto profilo tecnologico, originali e fantasiose iniziative imprenditoriali e gestionali applicate al delitto. La versatilità delinquenziale nigeriana costituisce solo l’emergenza di un sistema altamente criminogeno che non può essere circoscritto alle apprezzabili ma non esaustive manifestazioni del traffico di droga e della tratta degli esseri umani. Occorre, invece, cogliere la pienezza della deriva deviante dei fattori socio-economici, religiosi e politici dell’area di origine, che pervadono la proiezione transnazionale delle reti affaristico-criminali. E’ necessario, quindi, individuare ed analizzare gli elementi tipizzanti del complesso sistema nigeriano, di ordine generale, quali il ruolo dell’esercito, la multietnicità (3) e la rendita petrolifera, religioso, soprattutto il crescente integralismo, e sociale, nei diversi aspetti del consociativismo. Essi aumentano le criticità sistemiche endogene e si riverberano sulle dinamiche allogene ed internazionali.
Il paradosso nigeriano: un colosso dai piedi d’argilla La forza politica della Nigeria emerge nettamente dalla leadership regionale assunta all’interno della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) e della “Nuova Partnership per lo sviluppo dell’Africa” (NEPAD) (4) , in cui attualmente sembra competere solo con il Sudafrica. Il consolidamento del ruolo di snodo economico e finanziario nello scenario subsahariano ed i suoi indubbi riflessi sul piano internazionale sono testimoniati dall’avvio di relazioni commerciali privilegiate con la Cina, soprattutto nel ‘petrolifero’, nei trasporti e nelle forniture meccaniche. Il colosso nigeriano si è imposto nell’area africana anche profondendo un rilevante impegno nelle missioni internazionali in Liberia e in Sierra Leone sotto l’egida della forza d’intervento dell’Ecowas (ECOMOG) e, più di recente, nel Darfur, sotto la bandiera dell’Unione Africana (5) , peraltro presieduta proprio dal Presidente nigeriano Obasanjo. Non meraviglia, quindi, che la struttura militare svolga un ruolo ‘guida’ e sia diventata la più importante della regione africana sud-occidentale (6) con le sue 1.360.000 unità e con il continuo ed abbondante ricambio dei quadri offerto dalla straordinaria crescita demografica del Paese. Ne deriva che all’esercito sia affidata da una parte la delicata funzione di contenimento delle incessanti spinte centrifughe interne e dall’altra la promozione di uno stigma affidabile e ‘muscoloso’ nei consessi strategici africani (U.A.) (7) ed internazionali (O.N.U.).
Forte anche di ciò, il Paese ha avanzato titoli preferenziali per l’inclusione nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come l’Egitto ed il Sudafrica. La storia della Nigeria, recente e febbrile, offre molti spunti di analisi. Alcuni problemi di oggi derivano dalla difficile strutturazione del Paese. Infatti, dalla sua indipendenza, quando si fondava su tre macroregioni (Northen Region, Western Region, Eastern Region), la Nigeria ha promosso una politica di progressiva frammentazione che conferisse autonomia alle molteplici soggettività statuali. L’attribuzione delle auspicate autonomie ai diversi attori regionali, tesa ultroneamente ad ordinare le differenti realtà tribali e lobbiste locali, non ha sedato le spinte centrifughe di molte etnie, soprattutto del Sud, maggiormente esposte agli oneri delle attività estrattive e produttive senza tuttavia condividerne congruamente gli utili. Le accese rivendicazioni localistiche hanno trovato nuovo vigore con l’ascesa di un Presidente del Sud, il generale a riposo Olusegun Obasanjo (8) , eletto nel 1999, dopo un ventennio caratterizzato da una cronica instabilità (9) , e poi confermato nel 2003.
Egli, interprete di un processo costituzionale e democratico non ancora completamente assestato, ha inteso limitare il tradizionale privilegio degli Stati del Nord cercando di assorbirne i motivi di dissenso e limitare le loro potenzialità di tipo eversivo-religioso. Nell’anamnesi della giovane e popolosa Repubblica Federale nigeriana (10) la tradizionale prevalenza di alcune etnie - Yoruba (11) e, soprattutto, Haussa-Fulani (12) - ed il macchinoso sistema di distribuzione regionale delle rendite petrolifere hanno più volte innescato le violente contestazioni delle etnie meridionali. In tale ambito sono maturate sin dagli anni ‘60 la sanguinosa rivolta secessionista degli Igbo, nel Biafra, le violente rivendicazioni degli Ogoni e, più di recente, l’escalation di attentati nel delta del Niger, consumati dagli Ijaw (13) alle strutture ed al personale delle multinazionali petrolifere (14) . Il petrolio, infatti, rappresenta la principale fonte di reddito della Nigeria, costituendo il 98% delle esportazioni federali (15) . Tuttavia il passaggio repentino e non razionalizzato dalla fase agropastorale a quella industriale estrattiva, non ha consentito che la ricchezza di petrolio e gas (16) costituisse un fattore di sicura e solida crescita economica. La debolezza strutturale del paese, per l’assenza di progettualità economiche differenziate, si evince anche dal fatto che sia costretta ad importare derrate alimentari, in un periodo in cui l’aumento demografico esponenziale (72,49 morti/1.000 nascite) ha esteso la domanda di beni e di assistenza (17) . Si trova, inoltre, per difetto di pianificazione e di aggiornamento infrastrutturale, ad essere eccessivamente dipendente dalle oscillazioni del prezzo del greggio ed in preda ad una costante e grave crisi di carburante che viene importato dall’estero ed è oggetto di un contrabbando tanto aggressivo da danneggiare ulteriormente la sicurezza economica (18) e territoriale (19) .
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Management e gri-gri (34) Alla luce delle considerazioni precedenti s’intuisce quanto sia composito l’universo criminale nigeriano. In esso si alternano capacità innovative, sotto l’aspetto tecnologico e funzionale, ad elementi primitivi criminogeni. L’alternanza conferisce alla minaccia una duplice natura solo apparentemente differente ma in effetti interattiva ed interdipendente. In essa convivono riti primitivi e superstiziosi, spesso eletti quale iniziatico sanguinario al settarismo lobbista, e modelli tecnologicamente e culturalmente evoluti, in cui si integrano le più diverse e qualificate risorse sociali nigeriane. Accanto a bande aggressive, che derivano la loro legittimazione da organizzazioni strutturate in madrepatria, quali gli Eiye ed i Black Axe, responsabili di violente risse e di reati predatori particolarmente eclatanti in Piemonte ed in Veneto, si assiste al proliferare di articolazioni ben più solide, delle vere e proprie holding. Esse si modulano come società moderne, attraverso: la multisettorialità degli affari, derivante dalla morfologia flessibile del modello organizzativo, in grado di aderire utilmente ad ogni aspetto remunerativo del mercato globale; la diffusività delle cellule, che realizzano un ampio network intercontinentale, in cui nodi locali, relativamente autonomi, rispondono all’occorrenza ad imputazioni delle lobby che dirigono i traffici; l’elevata capacità di condividere disegni transnazionali, frutto della duttilità strutturale (35) , della disponibilità a condividere spazi illegali senza esasperare la competitività e dell’adattività agli ambienti ospiti; il mirato esercizio della violenza, normalmente orientata all’interno della diaspora ed in modo ‘inabissato’ per evitare l’allarme sociale. I gruppi finiscono per operare in modo autonomo, come attori criminali indipendenti, orizzontalmente, quali snodi di una rete e verticalmente, in ambiti associativi mafiosi gerarchizzati. Camaleonticamente essi assumono atteggiamenti tanto elastici da aderire magmaticamente a differenziati disegni criminosi, assicurandosi una ‘forte tenuta interna’ e cogestendo affari personali e ruoli terminali di un processo ben più ampio ed allogeno. Non deve quindi meravigliare che per lungo tempo la criminalità nigeriana sia apparsa solo nelle sue manifestazioni più periferiche e residuali e che il conseguente rischio sia stato parcellizzato secondo evidenze casuali. Raccogliendo le tessere e componendole secondo i parametri della potenzialità, la minaccia criminale può riservare inedite preoccupazioni.
Dalla raccolta dei pomodori al money-transfer Nel territorio italiano la criminalità nigeriana ha acquisito un ottimo livello di competitività nel mercato illecito per la specializzazione conseguita in alcuni settori illegali e per la coesione all’interno dei gruppi. Inoltre ha colto le opportunità offerte dal fitto reticolato transnazionale che collega le cellule presenti in Italia a quelle diffuse nello scenario intercontinentale. La transnazionalità e la forte ‘omertà’ presente nelle comunità nigeriane, oltre a connotare la matrice criminale, sono fattori costitutivi del network lobbista, che da tali caratteri trae legittimazione e forza. E’ proprio tale ‘interdipendenza’ il nuovo orizzonte della minaccia, attraverso cui mirare e interpretare le poliedriche attività illegali. Il felice connubio tra tradizione e modernità emerge anche dalle cosiddette ‘contribution’, che conferiscono uno statuto imprenditoriale attualissimo nell’ambito della prostituzione, ritenuto misoneista e chiuso alle innovazioni, tra riti ju-ju e voodoo. Secondo tale sistema, ormai generalmente applicato, le donne costrette a prostituirsi investono una quota dei guadagni nell’acquisto e nello sfruttamento di altre connazionali che, aumentando i profitti, facilitino l’assolvimento dei loro debiti con l’organizzazione ed il conseguente affrancamento. Siffatto modello gestionale, ancora più impermeabile, efficace e competitivo, attraverso una partecipazione più diretta e coinvolgente di tutti gli attori illegali, vittime e carnefici, crea un circuito perverso di reciproco coinvolgimento che espande il mercato e limita eventuali defezioni.
Il fenomeno nigeriano in Italia, qualitativamente crescente, emerge soprattutto nel Triveneto, Piemonte, Lombardia, Emilia, Umbria, Lazio e Campania (36) . In quest’ultima regione i nigeriani, concentrati nell’area domiziana, si sono inseriti nella manodopera in nero e nel traffico di droga. Nel primo caso hanno pressoché monopolizzato la raccolta di pomodori e di frutta, la pastorizia e la piccola produzione casearia. Nel mercato locale di narcotici, invece, essi hanno vissuto momenti di conflittualità con gruppi albanesi e camorristi, allorquando abbiano tentato di espandere spazi e competenze, minando così i delicati equilibri locali. Sono, inoltre, mal sopportate talune spiralizzazioni (37) che, provocando allarme sociale, mettono a repentaglio l’andamento degli affari criminali nell’area. Nel Triveneto, in Piemonte e nel centro-Italia, infine, interagiscono gruppi ‘microcriminali’, vere e proprie organizzazioni strutturate come in madrepatria, di cui ripetono interessi ed antagonismi e associazioni di spiccato profilo imprenditoriale e “penetrate” da qualificati pregiudicati. Sotto l’aspetto direttamente criminale i nigeriani hanno acquisito una posizione competitiva in molti settori illegali. Di seguito riportiamo i principali.
Tratta di connazionali Il traffico di esseri umani rappresenta il primo collettore di ricavi illegali da destinare al più lucroso traffico degli stupefacenti. Nella tratta, collegata al racket della prostituzione ed allo sfruttamento della manodopera in nero, i sodalizi nigeriani hanno raggiunto elevati standard organizzativi e gestionali, curando interamente ogni fase, dal ‘reclutamento’ in patria (ingaggio per debito) alla fornitura di documenti falsi per l’espatrio, dal trasferimento nei Paesi di arrivo per tappe successive, sino allo smistamento nei vari settori di impiego illecito. La maggior parte delle vittime proviene dagli Stati del sud (soprattutto Edo (38) , ma anche Delta e Lagos), è di etnia Bini, ha un diploma secondario ed è di religione cristiana (pentecostale, cattolica, anglicana). Nel traffico i cittadini dello Stato di Edo monopolizzano la tratta verso i Paesi Schengen, gli Yoruba e gli Igbo, invece, preferiscono Gran Bretagna ed Usa (39) .
Le principali rotte per il trasferimento in Italia delle clandestine si sviluppano per via aerea -diretta od in tratte successive- oppure via terra, attraverso una serie di soste effettuate in vari Stati africani -in attesa si verifichino le condizioni di sicurezza necessarie alla prosecuzione del viaggio- fino all’attraversamento del Sahara con successivo arrivo in Algeria, Libia od in Marocco. Da quest’ultimo Paese, via mare, raggiungono la Spagna o direttamente l’Italia. I viaggi via terra sono compiuti in jeep, condotte da autisti arabi che trasportano una ventina di passeggeri per volta, e possono durare da 2/8 mesi fino a due anni. La tratta via mare, con partenza dalle coste marocchine, avviene in modo precario su piccoli scafi che trasportano gruppi di 20 o più persone. Dai Paesi dell’Africa subsahariana (Africa centrale, occidentale e Corno d’Africa) arriva un flusso crescente di clandestini diretti verso le coste italiane, in prevalenza provenienti dall’Africa occidentale ed in particolare dal Ghana e dalla Nigeria. La Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) prevede la libera circolazione all’interno degli Stati membri. Pertanto, i migranti provenienti dai Paesi dell’area diretti verso l’Italia sarebbero effettivamente controllati solo allorquando varchino la frontiera con l’Algeria e la Libia. In assenza di una normativa concordata fra Paesi dell’Unione Europea e Paesi dell’Africa subsahariana, in merito alla riammissione dei clandestini, ogni intesa riguardante il problema migratorio deve essere trattata sulla base dell’accordo di Cotonou, in vigore dall’aprile 2003. Esso prevede, fra l’altro, strategie allocate di riduzione della povertà per eliminare le cause prime dell’immigrazione.
Al momento la UE ha previsto, da qui al 2007, programmi di sviluppo solo in 6 Stati nigeriani su 36. L’Italia, che dal 2002 ha destinato alla Nigeria -unico Stato subsahariano prescelto- una quota riservata di ingressi per lavoro, ha avviato con quel Paese attività di cooperazione allo sviluppo sulla base di programmi predisposti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e dall’Istituto delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (UNICRI) per contrastare la tratta di donne e minori. Il programma si traduce in informazioni, supporto tecnico e formazione alla rete di assistenza locale alle vittime in Nigeria ed in Italia, ed alla struttura di contrasto, federale e locale (Stati di Lagos e di Edo). La Nigeria, invece, che ha collaborato fattivamente al rimpatrio dei propri connazionali, ha introdotto nell’agosto 2003 una nuova normativa contro la tratta che prevede pene più severe per i trafficanti e sistemi di protezione delle vittime. Le clandestine sono destinate soprattutto al mercato della prostituzione. Il fenomeno ha assunto un rilievo ‘epidemico’ tanto da interessare pressoché tutto il territorio nazionale. Infatti, il 60% delle prostitute straniere presenti in Italia è di origine africana. Si concentra inizialmente nel Piemonte e nel Veneto, sviluppandosi su tutto il territorio nazionale ad opera dei gruppi deputati a gestire il debito delle migranti ammontante a 50/60.000 euro (40) . Il racket della prostituzione si avvale, talvolta, dell’attività di associazioni apparentemente legali (41) , collegate ai vertici criminali nell’area di origine.
Traffico di droga L’Italia è interessata al narcotraffico sia direttamente, sia quale snodo per altri Stati europei. I gruppi africani investono nella droga parte dei proventi della tratta e della prostituzione, sfruttando la fitta rete intercontinentale nigeriana al fine di selezionare corrieri di varia nazionalità e provenienza (anche tra microcriminali delle diverse realtà ospiti) e mantenere rapporti efficaci con omologhi sodalizi sudamericani ed asiatici. Essi, inoltre, utilizzano opportunisticamente canali e strutture dedite anche ad altri servizi criminali, così rendendo il proprio profilo interoperativo ed assicurando un costante incremento del bacino d’utenze e delle risorse disponibili. Anche in Italia viene adottato il sistema ‘a grappolo’ e ‘della formica’, che coinvolge un gran numero di corrieri incaricati di trasportare quantità relativamente piccole. Peraltro questi ultimi, spesso ‘ingoiatori’ di ovuli (che contengono la droga) o occidentali incensurati (meno soggetti a controlli), utilizzano differenziate rotte d’ingresso (aeree, marittime e terrestri).
Riciclaggio I profitti delittuosi alimentano diversificati traffici illegali, anche in considerazione del rapporto spesso organico tra i gruppi operanti che, partecipando ad un fitto network transnazionale, possono agevolmente orientare i proventi nei settori più remunerativi. Sempre più nigeriani investono in attività commerciali (nei settori alimentari etnici), imprenditoriali, phone-center e strutture finanziarie di trasferimento di denaro, soprattutto money-transfer, attraverso cui controllano i circuiti delle rimesse in patria e supportano le filiere illegali all’estero. ..(Gnosis, rivista d'intelligence del sisde, n.2, 2005)