Dopo il “miracolo”, la morte. I sostenitori della fecondazione assistita dovrebbero meditare a lungo sulla storia di Maria Bousada, la sessantaseienne spagnola che, in seguito al ricorso all’inseminazione artificiale, nel 2006 diede alla luce due gemellini, Pau e Christian, e che sabato scorso è stata stroncata da un cancro. La sua triste storia conferma che scavalcare le leggi della natura, al di là di facili entusiasmi, è sempre folle. Che parlino pure, certi luminari. Noi che di scienza capiamo fino ad un certo punto, non possiamo che appellarci a quanto riscontrato fino ad oggi dalla letteratura scientifica. Ebbene, la fecondazione in vitro, quella che tanti magistrati nostrani vorrebbero selvaggia e deregolamentata, è un rischio per tutti. Le prime vittime, manco a dirlo, sono proprio le donne che vi ricorrono e che, molto spesso, vengono illuse: sono infatti appena 2 su 100 le quarantacinquenni che, con la fecondazione in vitro, hanno reali possibilità di diventare madri. Ma anche le donne più giovani, in realtà, hanno possibilità bassissime di successo. Questo, ovviamente, senza considerare gli innumerevoli rischi che comportano i bombardamenti ormonali cui vengono sottoposte. Il punto è che a forza di offrir loro finte garanzie, molte donne finiscono spesso per perdere il lume della ragione: Jenny Brown, ad esempio, signora inglese di 72 anni, ha annunciato che tenterà ancora l’inseminazione artificiale, nonostante i sei tentativi già falliti. E le 30.000 sterline già spese. Già, perché un altro aspetto che gli amici della fecondazione si guardano bene dal sottolineare, è il business. E la fecondazione in vitro, prima di tutto, è un colossale business: non disponiamo di dati precisi, ma si parla di decine di miliardi euro. Tra i mercati più assurdi sorti in proposito, rammentiamo quello degli uteri in affitto: se si ha la bellezza di 75.000 dollari da spendere, in America, si può ottenere una madre-surrogato che impianti, cresca e partorisca l'embrione di un'altra coppia. Che bello, questa sì che è benevolenza! Battute a parte, le vere vittime di queste speculazioni, in fondo, non sono nemmeno le donne che decidono di mettere a rischio la loro salute. Le vere vittime sono le persone congelate nei laboratori e sacrificate sull’altare di questo prometeico delirio: centinaia e centinaia di esseri umani generati e distrutti nella più totale indifferenza di istituzioni che, quando si interessano dell’argomento, specie ultimamente, peggiorano le cose. Ma anche i bimbi che, sopravvissuti all’olocausto dei laboratori, vedono la luce, corrono gravi rischi: a detta della Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea) del Governo britannico, i bambini concepiti in vitro avrebbero fino al 30% di possibilità in più, rispetto agli altri, di incorrere in malattie. Data la pluridecennale esperienza che gli inglesi hanno sulla materia, sarebbe meglio fidarsi, e capire una volta per tutte che la fecondazione in vitro non è mai una soluzione conveniente. Del resto, adozione a parte, le alternative non mancano: un recente studio condotto dai ricercatori dell'Università dello Utah su un campione di 1239 coppie, ha messo in luce come i metodi naturali, che consistono nello studio guidato e scientificamente fondato del proprio corpo e in un moderato ricorso a farmaci, presentano per le donne che vi ricorrono il 25% di probabilità di successo contro il 18% della fecondazione in vitro. Perché non vengono pubblicizzati questi metodi? Per ragioni economiche, che domande. Ma alla gente, certe cose, non devono essere fatte sapere. Non per nulla il sistema dei media, quasi al completo, gioca in favore della fecondazione. E pazienza se, di tanto in tanto, qualche donna, come la signor Bousada, finisce per ammalarsi. The show must go on