Se il Genesi dice il vero, all’origine della sua storia l’uomo avrebbe conosciuto Dio Creatore, e dopo il peccato originale avrebbe mantenuto, almeno per un po’ di tempo, una fede monoteista. Poi vi sarebbe stata una graduale perversione del sentimento religioso, e si sarebbe passati all’animismo ed al politeismo, per ritornare infine al monoteismo.
Una simile visione della storia religiosa dell’umanità comporterebbe conseguenze molto interessanti: dal momento che è universalmente riconosciuta la superiorità, razionale e morale, del monoteismo sul politeismo, ne potremmo desumere che la storia dell’uomo non è necessariamente progressiva, ma che il mondo ha le sue notti e i suoi giorni, le sue albe e i suoi crepuscoli, cioè i suoi pregressi e i suoi regressi, intesi in senso puramente spirituale. Charles Darwin, nel suo “L’origine dell’uomo”, sostiene esattamente l’opposto e abbraccia una visione progressista: “il progresso è stato molto più generale del regresso, per cui l’uomo è salito anche se con passi lenti e discontinui da una condizione bassa ad un livello altissimo, tuttora conservato, nella conoscenza, nella morale, nella religione”. Livello altissimo significa ad esempio che “l’idea di un Creatore universale e benigno non sembra sorta nella mente umana, fino a che l’uomo non si è elevato con una lunga cultura”. Anzi per Darwin è “impossibile sostenere che questa credenza (in Dio ndr) sia istintiva o innata nell’uomo”: si sarebbe formata pian piano, grazie all’evoluzione, e sarebbe essa stessa evoluta, insieme alle “elevate facoltà mentali” che “dapprima portarono l’uomo a credere in agenti spirituali invisibili, poi nel feticismo, nel politeismo, e infine nel monoteismo”.
In un paragrafo intitolato “Dimostrazione dell’antica barbarie di tutte le nazioni civili”, il grande naturalista prima contraddice la posizione di chi sostiene che l’uomo “sia venuto al mondo come essere civilizzato”, poi spiega che “le più alte forme di religione, la grande idea di un Dio che odia il peccato e ama la giustizia, era sconosciuta durante i tempi primitivi”. Quest’idea progressista è fortemente condivisa in tutto l’Ottocento e lo rimane, a livello generale, anche oggi. Uno degli autori citati da Darwin è Edward Burnett Taylor, che nel suo “Primitive society” collega l’animismo ai limiti della “mente primitiva”, ancora in evoluzione, trovando appunto il favore di Darwin, che gli scrive: “E’ meraviglioso il modo in cui riesci a rintracciare l’animismo dalle razze inferiori fino alle credenze religiose di quelle superiori”.
Dopo anni e anni di studi il nostro sguardo non è più lo stesso, almeno a livello di esperti. Rodney Stark, il grande sociologo americano delle religioni, nel suo capolavoro, “La scoperta di Dio” (Lindau), racconta come nell’Ottocento Andrew Lang, partito dalla visione tayloriana, arrivò a dimostrare che la maggioranza dei “gruppi primitivi, sparsi in tutte le parti del mondo, credevano nell’esistenza di Sommi Dei”, creature onnipotenti, eterne, “che hanno creato il mondo e che vegliano sulla moralità”. Col tempo gli studi antropologici avrebbero confermato le ipotesi di Lang, inizialmente scartate dagli studiosi come ridicole: si notò anzitutto che i maori della Nuova Zelanda adoravano “un Essere Superiore”, poi che gli isolani delle Andamane avevano un Sommo Dio, Puluga, che aveva creato ogni cosa visibile e invisibile, ad eccezione del male. Puluga, spiegò a suo tempo l’antropologo E.H. Man, “viene considerato onnisciente…in grado di conoscere anche i pensieri più profondi e nascosti. Si arrabbia quando vengono commessi certi peccati…E’ il giudice dal quale ogni anima viene giudicata dopo la morte”.
Nel 1924, continua Stark, uscì l’opera di Paul Radin, “Monoteismo tra i popoli primitivi”, in cui si sosteneva che “oggi nessuno nega seriamente che molti popoli primitivi credono in un Creatore Supremo”. Quello che dunque oggi sappiamo è che vi sono numerossissimi casi in cui la religione superiore, il monoteismo, precede le religioni inferiori, il politeismo e l’idolatria, in una evoluzione al contrario che possiamo definire involuzione. “Esistono diversi esempi storici, conclude Stark, di popoli che passano dal monoteismo all’idolatria, come spesso è accaduto tra gli antichi ebrei”. Anche nella storia greca, infatti, possiamo rintracciare il passaggio dall’onnipotenza del Fato ad una pluralità di dei che hanno sì a capo uno di loro, il sommo Zeus, ma che costituiscono in verità una corte caotica e un po’ anarchica. La conclusione che ne traiamo, con Stark, è che le religioni primitive non “erano quei rozzi insiemi di superstizioni che ritenevano Tylor, Spencer, Darwin e tutti gli altri”; avevano al contrario una “concezione di Dio assai più sofisticata di quella di civiltà antiche molto successive, come quella egizia o greca”.
Quale conclusione? Che la storia dell’uomo, oltre a non essere un cammino necessariamente evolutivo, in progredire, ha mantenuto per secoli, per perderlo e poi ritrovarlo, il concetto di un Dio unico e creatore: idea che si sposa perfettamente con il racconto del Genesi, in cui l’uomo ha una rivelazione divina, in quanto creato direttamente da Dio, e poi una caduta, sino alla nuova rivelazione ad Abramo e con Cristo. Alla luce di questa ipotesi, oggi sostenuta da fior fior di studi, si possono comprendere anche i tratti di somiglianza, che non escludono le grandi differenze, tra le religioni antiche. In origine infatti, per usare una espressione di Wilhelm Schmidt, una “rivelazione universale”, la vera e unica religione, e poi, da essa, a causa di contaminazioni e perversioni varie, tutte le altre…sino alla nuova Rivelazione divina. (Il Foglio, 9/7/2009)