“Il Vangelo ci ricorda che non di solo pane vive l’uomo: non con beni materiali soltanto si può soddisfare la sete profonda del suo cuore. L’orizzonte dell’uomo è indubbiamente più alto e più vasto; per questo ogni programma di sviluppo deve tener presente, accanto a quella materiale, la crescita spirituale della persona umana, che è dotata appunto di anima e di corpo.” (Udienza del 8/7/2009). Così Benedetto XVI nel chiudere la catechesi del mercoledì dedicata all’enciclica “Caritas in Veritate” e mi sembra la sintesi migliore del documento presentato il 7 luglio in Vaticano.
Nei vari commenti mi pare però che l’accento sia stato posto – come spesso accade – su aspetti particolari dell’enciclica: un Autorità mondiale rinnovata, la “logica del dono” come nuovo paradigma del mercato, la rivalutazione delle politiche pubbliche, l’immigrazione, …
Perfino Leonardo Boff – famoso teologo della liberazione – interviene dal Brasile per dirsi “sorpreso” per il “taglio sociale” (Corriere della Sera 8/7/09), le sue parole sono riprese anche dalla Stampa: «Finora la Chiesa era apparsa più concentrata sugli affari interni, ma con questo documento dal taglio fortemente sociale compie una grande apertura al mondo». Ritanna Armeni dal Riformista (8/7/09) invita la sinistra a leggersi l’enciclica dicendo che “Caritas in veritate contiene molte idee e valori storicamente definiti di sinistra. E sui quali la sinistra farebbe bene a tornare.” Proseguendo nell’articolo parla di dignità del lavoro, immigrazione, ruolo dello Stato, globalizzazione, ecc., ma non si legge nulla in merito ad esempio ai n°28 e 29 del documento, dove tra l’altro si dice: “L’apertura alla vita e` al centro del vero sviluppo. Quando una societa` s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare piu` le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo.”
Su Il Giornale (8/7/09) viene intervistato il Prof. Marzano (Uni Sapienza) che precisa: “Sgomberiamo subito il campo da un equivoco: Benedetto XVI è favorevole al mercato, ma ritiene certe logiche mercantili debbano essere temperate e orientate verso il perseguimento del bene comune, che va realizzato anche attraverso una ridistribuzione della ricchezza.”, mentre Gotti Tedeschi intervistato sul Corriere (8/7/09) dice “la fiducia non si acquisisce o conquista con studi di mercato o con “codici etici affissi agli ingressi”, si conquista con il comportamento che è solo e sempre individuale, non è collettivo, né per legge, né per regolamento. L’etica è anch’essa individuale, non si impone per legge, non si impara all’Università, si vive e si applica solo se ci si crede, e ci si crede se si pensa sia utile e sia bene”. Sempre sul Corriere Andrea Riccardi fa notare come “Per il papa la dimensione spirituale è parte saliente della realtà. Non è realista chi non ne tiene conto: «l’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano».
Tornielli su “Il Giornale” dice che Benedetto XVI utilizza “L’approccio che tiene presente la legge segreta del cristianesimo, quella dell’«et-et», cioè la capacità di includere tutti i fattori in gioco, senza estremismi o radicali«aut-aut”.
Il commento del Prof. Zamagni - superconsulente per la stesura del documento - appare su Avvenire (8/7/09) e la sua mano nell’enciclica è evidentissima per chiunque abbia letto qualche lavoro del Prof., in particolare i passaggi che parlano della “logica del dono”, che tra l’altro è la ratio fondante dell’economia di comunione dei Focolarini (www.edc-online.org).
Una voce fuori dal coro arriva da oltre oceano, Gorge Weigel – economista cattolico della scuola di Novak – pubblica un articolo su “National Rewiew on line” (lo potete trovare qui) dal titolo “Caritas in Veritate in Gold and Red. La vendetta di Giustizia e Pace (o così si può pensare)”. Weigel sostiene che l’enciclica sia “un ibrido” tra il pensiero del Papa sull’ordine sociale e l’approccio del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace sulla dottrina sociale della Chiesa. Questo approccio vorrebbe ripartire dalla Populorum Progressio, dopo che quest’ultima era stata in qualche modo superata dalla Centesimus Annus. Secondo l’economista americano i “vaticanologi” potrebbero tranquillamente evidenziare in oro i passaggi dell’enciclica dove è ovvia la mano del Papa e in rosso quelli dove di scorge l’approccio del Pontificio Consiglio. In rosso sarebbero alcuni passi che Weigel definisce “incomprensibili”, tra questi segnala quella che viene indicata come “progressiva apertura in contesto mondiale, a forme di attivita` economica caratterizzate da quote di gratuita` e di comunione” (n°39), necessaria per la vittoria sul sottosviluppo. L’economista sostiene che di per sé questo può voler dire tutto e niente, qualcosa di positivo, come qualcosa di insignificante, rafforzando il concetto egli dice che tutto il contenuto dell’enciclica che tratta di “logica del dono” e gratuità, resta confuso e un po’ sentimentalistico, esattamente il contrario della ricercata sintesi tra carità e verità. Anche l’accento sulla redistribuzione della ricchezza, piuttosto che sulla creazione di ricchezza sarebbe un ulteriore segno del lavoro del Pontificio Consiglio, così come l’idea “dell’autorità di governo mondiale” . Infine suggerisce di concentrare la propria attenzione nella lettura soprattutto sui passaggi evidenziati in oro, anche perché in ultima analisi tutte le questioni socio-economiche sono da riferirsi alla natura della persona umana.
Io penso che l’Enciclica deve essere letta tutta e tutta con la massima attenzione, tuttavia mi pare evidente che alcuni temi (Logos, fede e ragione, attenzione alla vita spirituale, rischi dell’ateismo e dell’agnosticismo, verità) siano ricorrenti nel Magistero di Benedetto XVI, mentre altri sono più “tecnici” e legati al tema trattato e quindi ci può stare che tra “esperti” del settore si possano sentire voci discordanti.
Nella conclusione dell’enciclica c’è, a mio modo di vedere, la chiave con cui interpretarla: « Senza di me non potete far nulla » (Gv 15, 5) e Lui è “la Via, la Verità e la Vita”, amare Lui significa amare la Verità, quella verità assoluta sull’uomo che lo libera perfino dalla morte, al punto di avere la consapevolezza che anche se povero può essere libero di non invidiare il ricco. “ Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera (n°79)”, chiudo così non per sminuire l’importanza delle denunce e delle proposte dell’enciclica, ma perché questo non credo che sarà oggetto di attenzione di molti media.