di Mauro Bottarelli giovedì 25 giugno 2009
da Il sussidiario.net
Il Financial Times non è soltanto un quotidiano, è il bollettino dei naviganti per capire come gira il mondo. O, almeno, come dovrebbe girare per chi le decisioni le prende davvero: spesso dietro le quinte o, comunque, fuori dalle pantomime parlamentari. Il fatto che ieri la storia principale del dorso “Companies and markets” fosse dedicata al crollo della Borsa russa la dice lunga su quale sia il bersaglio attuale. I dati, in effetti, fanno spavento. Nell’ultimo mese Mosca ha perso qualcosa come il 20%, il mercato più volatile del mondo. L’indice Rts, denominato in dollari, ha perso il 21% dal suo picco del 2 giugno, mentre il Micex, denominato in rubli, il 24%. Insomma, le fluttuazioni del prezzo del petrolio - salito in maniera incontrollata e ora in fase di discesa, visto che si parla di un ritracciamento a quota 55 dollari entro poche settimane - sta mandando sulle montagne russe - scusate il gioco di parole - la Borsa moscovita e rendendo quel mercato sempre meno appetibile per gli investitori, già spaventati dal rallentamento del mercato M&A a causa delle fluttuazioni dei cambi valutari. Tanto più che l’economia russa si contrarrà per più del 7% quest’anno, a fronte di 200 miliardi di dollari di prestiti che le aziende di quel paese dovranno comunque ripagare entro la fine dell’anno, sia a livello interno che estero. Insomma, un mercato troppo rischioso.
Non per tutti, però. C’è qualcuno, infatti, che nel mercato russo ci crede eccome e ha lanciato una scommessa non da poco. Guarda caso, questo qualcuno è italiano. Parliamo di Generali, il gigante assicurativo triestino che insieme all’oligarca ceco Peter Kellner ha lanciato un attacco alla quota di controllo di Ingosstrakh, monopolista russo del mercato assicurativo, detenuta da Oleg Daripaska, oligarca caduto in disgrazia con la crisi. Novecento milioni di dollari, questa l’offerta del consorzio Kellner-Generali che già controlla il 38,5% di Ingosstrakh. In un primo tempo Daripaska aveva reagito da leone ferito, puntando la strada dell’equity issue per far scendere i rivali al 10% e blindare la situazione: ipotesi fallita. Tanto più che ora l’oligarca russo ha ingaggiato Banca Leonardo e il suo numero uno, Gerardo Braggiotti, per negoziare. Il fatto che Braggiotti sia molto vicino ad Antoine Barnheim, deus ex machina di Generali, la dice lunga su come potrebbe terminare l’operazione.
D’altronde il gruppo assicurativo russo è ben gestito e ben capitalizzato, può espandersi ulteriormente in un mercato dalle enormi potenzialità e soprattutto diverrebbe monopolista proprio mentre l’altra metà del mondo, soprattutto Usa e Gran Bretagna, stanno per conoscere una crisi del settore mai vista, una bolla pronta ad esplodere che i governi dovranno tamponare a colpi di sostegni se non vorranno scene argentine per le loro strade. Altro che Lehman Brothers. La convinzione generale è che non sarà la volontà di Deripaska a decidere le sorti dell’operazione bensì quella del Cremlino e nessuno fa mistero che Generali punti molto sull’amicizia che lega Silvio Berlusconi e Vladimir Putin per giungere a un buon esito finale. Senza dimenticare che Deripaska ha un ruolo, tutt’altro che secondario, nell’azionariato di Magna, il consorzio che punta al controllo di Opel, la branca tedesca di General Motors, altro fronte aperto del risiko italiano di espansione. Insomma, tanta carne al fuoco che si muove in modo sotterraneo ma che vede i padroni del vapore molto attenti nel monitorare quanto sta accadendo.
Letta attraverso questa lente d’ingrandimento, anche la devastante campagna mediatica contro Silvio Berlusconi appare un po’ differente: l’accordo Eni-Gazprom, che di fatto ha mandato a gambe all’aria un progetto analogo americano, è stato il classico mattone che ha rotto il vetro della pazienza di certi ambienti atlantici, l’epilogo Fiat-Opel è stato il campanello d’allarme e ora siamo allo showdown finale. Finmeccanica ha già pagato un prezzo a questa guerra fredda combattuta a colpi di veline e prostitute debitamente intruppate nella schiera del complotto. Se Silvio Berlusconi e il suo governo continueranno lungo la linea dell’indipendenza commerciale e industriale gli attacchi potrebbero diventare anche più diretti e virulenti.
Il fatto che il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, abbia cominciato a prendere un po’ le distanze dello stile di vita del Cavaliere la dice chiara su chi stia muovendo i fili di questa commedia di pessimo gusto e su quale sia la reale entità degli avvenimenti in incubazione: attenti a non farvi abbindolare dal gossip da parrucchiere, leggete il Financial Times e non Repubblica se volete capire come vanno le cose. Il momento è delicato, molto delicato: la posta in gioco si chiama sovranità, qualcosa di molto simile al 1992.