Recesione di: Luciano Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?, Edizioni Ares, Milano, 2002, pp. 239, € 15.
La storiografia accademica non si è quasi occupata di due temi relativi alla vita di Benito Mussolini, le circostanze della morte ed il presunto carteggio con Winston Churchill, dei quali invece continua ad interessarsi la pubblicistica storica.
La scomparsa di Renzo De Felice prima che potesse portare a termine la sua monumentale biografia del fondatore del fascismo, ha privato gli studiosi di una ricostruzione che certo sarebbe stata completa per documentazione e rigorosa per analisi. Soprattutto sarebbe stato interessante vedere se ricerche approfondite avrebbero confermato l’illustre storico nelle opinioni avanzate nel libro intervista Il rosso e il nero, ove, per primo, lanciò l’ipotesi della “pista inglese” nell’uccisione di Mussolini, collegandola appunto alla “scomparsa” del presunto carteggio con Churchill.
In realtà l’esistenza di quest’ultimo, se per tale s’intende uno scambio di messaggi tra il Premier britannico (o comunque a lui più o meno direttamente riconducibili) ed il Duce successivo all’ingresso in guerra dell’Italia, è fermamente negata da tutti i cultori accademici della storia diplomatica, tra i quali chi scrive, che negli archivi britannici, ed in particolare sulle carte relative alle relazioni anglo-italiane tra il 1940 ed il 1946, ha passato diversi anni della propria vita.
Naturalmente l’esistenza del carteggio non è negata in base all’argomento, insufficiente, che di esso gli studiosi pratici degli archivi britannici non hanno trovato traccia, bensì perché il contesto della politica estera britannica e della posizione di Churchill nell’ambito del governo di coalizione di Londra rende completamente inverosimile l’idea che il Premier prendesse contatto con Mussolini dopo il 10 giugno 1940.
1) Lettera del 16 maggio 1940 già nota nel 1942. Cani rognosi. La politica britannica tra il 1940 e il 43 ricostruita da Varsori. Un uomo un uomo solo. Dalla pace negoziata alla resa incondizionata. Casablanca. WSC-Eden-i laburisti.
2) Verso la RSI. Cosa avrebbe dovuto scrivergli? RSI satellite dei tedeschi. Operazione Sunrise (Aga Rossi-Bradley Smith).
3) Giudizio di WSC su Mussolini. In 21 anni Mussolini “aveva sollevato il popolo italiano dal bolscevismo, in cui avrebbe potuto sprofondare nel 1919, per portarlo in una posizione in Europa quale l’Italia non aveva mai avuta prima”. Il suo regime aveva attratto “un grandissimo numero d’italiani”. L’Impero. Le grandi opere pubbliche “resteranno un monumento al suo prestigio personale e al suo lungo governo”. Egli era “il legislatore d’Italia”. Se fosse rimasto fuori dalla guerra l’Italia avrebbe avuto enormi vantaggi. Quale il suo errore? “Non aveva mai compreso a pieno la forza dell’Inghilterra e neppure le tenaci sue qualità di resistenza e di potenza marinara”. Anche sul Re.
4) Documenti inverosimili (riunione citata da LG, pp. 83-4, contemporanea all’accordo sulle percentuali; le lettere Lebrun-VE III).
Nell’ambito di una recensione non è possibile dire di più, ma era opportuno chiarire che il giudizio positivo qui formulato sull’ultimo libro di Garibaldi, certo uno dei più seri e ideologicamente onesti scrittori di storia d’ambito non accademico (perché), è tanto più meditato in quanto prescinde dalla condivisione delle tesi che hanno ispirato il libro.
A questo proposito occorre distinguere. Che la morte di Mussolini non sia avvenuta nelle circostanze ufficialmente accreditate, ed ancora stancamente ripetute da quella che De Felice chiamava la vulgata resistenziale, è un fatto scontato.
Una vulgata che, come nell’Unione Sovietica, viene imposta anche nei tribunali, tanto che alcuni anni fa proprio Garibaldi, per aver definito falso quanto scritto nell’atto di morte di Mussolini e Claretta Petacci, fu condannato per diffamazione su querela dei figli dell’impiegato del Comune di Tremezzo, che aveva materialmente redatto il documento secondo le direttive del sindaco.
Altrettanto deplorevole è che, tramite il suo presidente, la sezione di Pavia dell’Istituto per la storia del movimento di liberazione in Italia (che, com’è noto, riceve dallo Stato cospicui finanziamenti ed è il custode dell’ortodossia resistenziale) abbia negato all’autore di accedere a due cassette registrate “a futura memoria” da due componenti del plotone d’esecuzione di Dongo (che forse sparò ad un Duce già cadavere).
Il pregio maggiore del volume di Garibaldi è di porre a confronto ricostruzioni scritte, documenti e testimonianze, offrendo un’attenta lettura degli avvenimenti relativi all’uccisione di Mussolini, dalla quale emergono tutte le incongruenze della versione ufficiale. L’opera quindi presenta il panorama aggiornato delle certezze e delle diverse ipotesi che si possono formulare sui molti punti ancora oscuri e consente anche di orientarsi nella vasta pubblicistica sull’argomento, di valore non omogeneo.
Garibaldi non sposa a fondo alcuna tesi, anche se propende appunto per la “pista inglese”, alla quale offre il sostegno della sua personale testimonianza, come sempre brillante ed interessante, ma, a mio giudizio, tutta da interpretare, l’ex segretario di Togliatti Massimo Caprara, il cui saggio completa il volume.
Non vi sono invece dubbi sul fatto che i tentativi del partito comunista di nascondere la verità sull’uccisione di Mussolini e sulla sorte del cosiddetto “oro di Dongo” provocarono una scia di morti sulle quali non si è fatta ancora luce. Anche di questi fatti riferisce puntualmente Garibaldi, il cui volume si conclude con le parole pronunciate da Urbano Lazzaro, già vicecommissario politico della 52a Brigata Garibaldi, l’uomo che scoprì Mussolini in fuga su un camion militare tedesco, come risposta alla richiesta di un suo giudizio definitivo sulla Resistenza: “Una pagina esaltante della storia d’Italia. Peccato che i comunisti l’abbiano insozzata con la loro sete di sangue”. ( Massimo de Leonardis )