Lo storico paleolibertario americano Thomas E. Woods ha offerto una nuova prova di coraggio intellettuale pubblicando un studio (Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale, Cantagalli, Siena 2007, pp.270, € 18,50) che capovolge molte idee correnti sulla storia del cattolicesimo.
In questo libro, aggiornato con gli ultimi risultati della ricerca accademica e impreziosito dalla prefazione di Lucetta Scaraffia e dalla postfazione di Paolo Bernardini, Woods dimostra in maniera convincente, elencando una impressionante serie di esempi, come la Chiesa cattolica non si sia limitata a dare un contribuito alla formazione della civiltà occidentale, ma l’abbia costruita dalle fondamenta. Uno dei miti più consolidati che Woods si propone di smontare è quello della presunta ostilità della Chiesa nei confronti della scienza, complice soprattutto il caso Galileo.
Questa vicenda andrebbe però decisamente ridimensionata, non solo perché Galileo non subì in pratica alcuna punizione, ma anche perché si tratta dell’unico contrasto tra le gerarchie ecclesiastiche e uno scienziato che i detrattori del cattolicesimo sono in grado di ricordare. Uno sguardo d’insieme all’intera storia della Chiesa rivela una realtà ben diversa. Negli ultimi cinquant’anni quasi tutti gli storici della scienza, compresi A.C. Crombie, David Lindberg, Edward Grant, Stanley Jaki, Thomas Goldstein e J.L. Heilbron, sono arrivati alla conclusione che senza l’apporto spirituale e materiale del cattolicesimo l’Occidente non avrebbe conosciuto alcuna rivoluzione scientifica. L’idea di un universo creato da Dio e ordinato secondo leggi razionali si è infatti rivelata fondamentale per lo sviluppo della scienza.
Nelle civiltà fondate su diverse tradizioni religiose, dove la divinità si confonde con la natura (come nell’animismo pagano o nel panteismo orientale), l’idea che il mondo fisico sia assoggettato a leggi fisse e prevedibili è inconcepibile, e per questo motivo il metodo scientifico ha incontrato grosse difficoltà ad affermarsi; lo stesso è accaduto nella tradizione islamica, che condanna i tentativi di scoprire le regolarità naturali come bestemmie che limitano la volontà libera e arbitraria di Allah.
Anche sul piano concreto è difficile trovare un’istituzione che abbia dato più incoraggiamento alla scienza della Chiesa cattolica. La grande maggioranza degli scienziati europei furono uomini di Chiesa: ad esempio, padre Nicola Steno è riconosciuto come il padre della geologia; padre Atanasio Kircher è il fondatore dell’egittologia; padre Giambattista Riccioli è stato il primo a misurare il grado di accelerazione di un corpo in caduta libera; il geniale padre Ruggero Boscovich viene considerato il padre della teoria atomica; i gesuiti hanno dominato a tal punto lo studio dei terremoti che la sismologia venne chiamata "la scienza gesuitica"; per non parlare del contributo incalcolabile dato all’astronomia, tanto che trentacinque crateri sulla luna prendono il nome da scienziati o matematici gesuiti.
Basterebbe inoltre addentrarsi nei sistemi d’insegnamento dell’università medievale, un’altra gloriosa invenzione del mondo cattolico, per escludere l’idea che la vita intellettuale dell’epoca fosse soffocata dalla superstizione o dall’autoritarismo ecclesiastico. Nelle università medievali, la cui autonomia venne spesso difesa dai papi, fiorì invece la più ampia libertà di ricerca intellettuale: era pratica comune che il maestro proponesse una questione da risolvere agli studenti, i quali dovevano confrontarsi tra loro dibattendone razionalmente tutte le possibili sfaccettature; per ricevere la laurea uno studente doveva inoltre dimostrare di saper "determinare" (cioè risolvere) da solo una questione.
Questa enfasi che le università medievali davano allo studio della logica, osserva Woods, è rivelatrice di una civiltà che mirava a comprendere, dimostrare e persuadere, non a imporre o censurare. Solo da questo metodo di studio poteva svilupparsi una filosofia razionale, rigorosa e sistematica come la scolastica medievale. Gli uomini di Chiesa eccelsero non solo a livello teorico, ma anche nelle applicazioni pratiche. I monasteri medievali, particolarmente quelli benedettini, furono dei centri di avanguardia tecnologica, e il loro contributo alla civiltà occidentale è a dir poco immenso: tra i tanti meriti, i monaci ci hanno tramandato la cultura antica copiando i testi classici; hanno preservato l’alfabetiz-zazione scolastica nell’Europa invasa dai barbari; hanno aperto da pionieri vaste lande e foreste all’agricoltura; hanno introdotto nuove colture, nuovi alimenti e nuove bevande; hanno costruito i mulini ad acqua, perfezionato la metallurgia e introdotto in Europa un livello di meccanizzazione sconosciuto a tutte le civiltà antiche; si sono presi cura del paesaggio, riparando gli argini dei fiumi, i ponti e le strade; si sono impegnati nel soccorso ai viandanti e ai naufraghi e hanno alleviato la condizione dei bisognosi con numerose iniziative di carità.
Non va dimenticata, infatti, l’origine cattolica di tutte le opere caritatevoli e assistenziali che esistono oggi, a partire dagli ospedali. Nell’antichità i poveri e i malati venivano generalmente trattati con disprezzo, ed era assente l’idea di fare del bene al prossimo senza ricevere qualcosa in cambio. I gesti di liberalità verso i poveri erano in genere compiuti da personaggi eminenti in cerca di fama e benevolenza, e venivano praticati in maniera indiscriminata senza guardare alle effettive necessità dei destinatari.
L’impegno della Chiesa verso i bisognosi fu invece un fenomeno completamente nuovo, nello spirito e nelle dimensioni: nessun re o imperatore sarebbe mai stato in grado di mantenere, sfamare e curare tante persone come avveniva quotidianamente nelle istituzioni caritatevoli della Chiesa. Questi atteggiamenti nascevano da una nuova morale che, grazie alla predicazione della Chiesa, aveva gradualmente soppiantato le perversioni del paganesimo e le brutalità dei costumi barbarici. I principi etici fondamentali che ancora oggi prevalgono in Occidente derivano infatti dall’idea cristiana della sacralità della vita umana, che discende a sua volta dalla concezione teologica dell’unicità e del valore di ogni persona in virtù della sua anima immortale.
Fu dunque merito delle energiche prese di posizione della Chiesa se vennero abolite quelle pratiche dell’antichità che mostravano un sommo disprezzo per la vita umana, come l’infanticidio e i giochi gladiatori. La Chiesa inoltre condannò la schiavitù, i duelli, il suicidio, l’aborto, la promiscuità, le perversioni sessuali e l’infedeltà coniugale. Se il cristianesimo delle origini attrasse tantissime donne, ricorda Woods, si deve anche al fatto che la Chiesa aveva santificato il matrimonio e proibito il divorzio, che nelle società antiche era generalmente permesso solo agli uomini. La donna trovò quindi negli insegnamenti della Chiesa una protezione della propria autonomia, e questo spiega l’alto numero di donne che hanno raggiunto la santità: in quali altre parti del mondo, fuori dal cattolicesimo, le donne avrebbero potuto liberamente fondare e gestire comunità religiose autorganizzate, scuole, conventi, collegi, ospedali e orfanotrofi? Queste elevate idee morali diffuse dal cattolicesimo si riverberarono nel campo giuridico, influenzandolo in maniera decisiva.
La concezione tipicamente occidentale, secondo cui gli uomini possiedono alcuni diritti naturali per il solo fatto di esistere, non nasce affatto nel Seicento con John Locke o nel Settecento con gli illuministi. Riprendendo gli importanti studi recenti di Brian Tierney, Woods ricorda che l’idea dei diritti naturali nasce fra i giuristi della Chiesa del dodicesimo e tredicesimo secolo, i canonisti medievali. Partendo da questa elaborazione giusnaturalista, i pensatori cattolici hanno posto anche le fondamenta del diritto che regola i rapporti tra le diverse nazioni, compresa la teoria della guerra giusta. In particolare, il diritto internazionale nasce nel Cinquecento con il domenicano spagnolo Francisco de Vitoria, che prese le difese dei diritti naturali degli indios contro le usurpazioni dei conquistadores.
E non è tutto, perché gli uomini di Chiesa hanno dato grandi contributi anche al pensiero economico moderno. Avvalendosi degli studi di Joseph Schumpeter, Murray N. Rothbard e Alejandro Chafuen, Woods ricorda che già nel Medioevo i francescani Giovanni Olivi e San Bernardino da Siena, e poi i tardoscolastici cinquecenteschi della scuola di Salamanca, anticiparono la rivoluzione marginalista di fine Ottocento concependo una compiuta teoria del valore soggettivo, di gran lunga più sofisticata della erronea teoria del valore-lavoro malauguratamente diffusa diversi secoli dopo da Adam Smith e dagli economisti inglesi, influenzati probabilmente dalla teologia calvinista.
Come sarebbe oggi l’Europa se nella letteratura, nell’arte, nell’architettura, nella scienza, nella morale, nel diritto e nell’economia fosse mancata l’impronta della Chiesa cattolica? Si tratta di un interrogativo imbarazzante, che gli uomini occidentali di oggi, secolarizzati e desiderosi di sbarazzarsi delle proprie radici cristiane, preferiscono rimuovere. Autoimponendosi un’amnesia storica credono di poter modificare il passato, ma così facendo finiranno per cancellare anche il futuro della propria civiltà. (di Guglielmo Piombini)