Dopo il referendum che il 13 giugno 2008 ha bocciato il trattato di Lisbona, versione minimalista del più pomposo “Trattato costituzionale”, già respinto dagli elettori francesi ed olandesi, voglio rendere omaggio agli irlandesi.
Di fronte a tutto l’establishment politico, economico e, ahimè, anche clericale, allineato per l’approvazione, a tutti i governi stranieri che tifavano ovviamente per il “sì” ed ammonivano severamente gli irlandesi che non potevano esprimersi diversamente, perché avrebbero dimostrato ingratitudine verso l’UE che aveva contribuito a renderli più ricchi, i figli di San Patrizio hanno risposto “no” nella misura del 54,4% dei votanti.
«È la vendetta cristiana, la storica risposta dei credenti all’Europa senza Dio», ha dichiarato a caldo il Sen. Marcello Pera . Il no irlandese al trattato di Lisbona è «l’inevitabile reazione alla cancellazione delle radici cristiane dalla Costituzione e alle eurodirettive, prive di legittimazione democratica, che stravolgono le legislazioni nazionali sui temi bioetici», aggiungeva l’ex presidente del Senato, che concludeva: «Questa UE è morta perché stata abbandonata dai popoli e ora solo Benedetto XVI può dare un’identità al vecchio continente. Il cattolicissimo popolo d’Irlanda ha avvertito l’estraneità di un’Europa burocratica e astratta che nega duemila anni di cristianesimo».
Che queste affermazioni non costituiscano un’esagerazione è dimostrato da un sondaggio dell’ottobre 2008, secondo il quale se votassero di nuovo gli irlandesi potrebbero accettare il Trattato di Lisbona solo se si fornissero garanzie su alcuni temi, in primo luogo l’aborto. Comunque il “sì” otterrebbe solo il 43%, contro il 39% dei “no”, con un elettore su cinque ancora indeciso.
Dal canto suo il presidente ceco Vaclav Haus ha osservato che i politici europei hanno permesso ai cittadini di esprimere la loro opinione in un solo Paese in Europa, e in questo paese sono stati bruscamente contraddetti. «Gli elettori europei – ha scritto Fausto Carioti su Libero – si dividono in due categorie: quelli che hanno bocciato i trattati europei e quelli ai quali è stata negata la possibilità di bocciarli».
I liberali dell’800 truccavano i plebisciti per l’unità d’Italia, oggi si preferisce correre meno rischi possibili evitando del tutto di consultare i popoli. Già in altre occasioni, su queste colonne, su Nova Historica, Nuova Storia Contemporanea ed in altre sedi , ho denunciato il carattere anti-cristiano dell’Europa.
Vorrei qui risalire alle origini, al “santo laico” invocato da tutti i federalisti europei: Altiero Spinelli. Il manifesto di Ventotene, da lui elaborato nel 1941 insieme con Ernesto Rossi, Eugenio Colorni ed altri confinati in quell’isola (tutti periodicamente esaltati da radio radicale, ndr), che fu alla base della costituzione, a Milano nell’agosto 1943, del Movimento federalista europeo, recava già chiarissima l’impronta anti-cristiana che si sta manifestando virulenta oggi nell’Unione Europea: «Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l'alleanza col fascismo andrà senz'altro abolito, per affermare il carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno essere ugualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei culti, e dovrà riprendere la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico».
Poi tale punto della abolizione del Concordato fu messo in sordina con una considerazione opportunistica: «Per fare l’Europa avremmo dovuto certo rivolgerci anche ai cattolici» . L’Europa sognata da Spinelli è del tutto a-cristiana, o meglio anti-cristiana.
Egli proveniva da una famiglia atea e socialista, che non aveva fatto battezzare i figli, ai quali aveva dato nomi del tutto lontani dalla tradizione cristiana: Altiero, Anemone, Asteria, Azalea, Cerilo, Fiorella, Gigliola, Veniero. Il nonno materno durante la lotta al brigantaggio in Calabria, togliendo da una chiesa e bruciando un crocefisso considerato miracoloso, aveva detto scherzando ai contadini: «Adesso vedremo se farà un miracolo» .
Un gesto che ricorda certe analoghe provocazioni del giovane Mussolini ateo e socialista, che durante un comizio estrasse un orologio e diede al Padre Eterno un minuto per fulminarlo, concludendo poi che Dio non esisteva.
Da bambino talvolta, con la sorella Azalea, preso «da improvvisa voglia di distruzione», Spinelli spezzava selvaggiamente i rami di un albero morto urlando a squarciagola «a morte i preti, a morte i preti» .Verso i 15-16 anni si pose il problema di Dio, per concludere che «Dio era probabilmente la più grandiosa favola inventata dagli uomini» e «tornare quietamente ma risolutamente all’austero intrepido ateismo» dei suoi genitori .
Pur avendo il vezzo di leggere testi di varie religioni, riteneva quelle insegnate dalla Chiesa «inverosimili favole», che in lui risvegliavano solo «un’ironica curiosità» . Spinelli era entrato diciassettenne nel Partito Comunista d’Italia.
Vi entrò «come si diventa prete», «sedotto da un’organizzazione che si presenta come un clero, depositario delle segrete leggi che regolano la morte delle vecchie e la nascita delle nuove società umane, deciso a prendere il potere assoluto necessario per creare la nuova e perfetta società».
Ne uscirà nel 1937 e le successive adesioni al Partito d’azione e quella più lunga al Partito socialdemocratico appaiono certo prive della passione della prima e motivate, soprattutto la seconda, da tatticismo politico. Settantenne ritornerà da indipendente nel Partito Comunista Italiano: «Semel abbas, semper abbas» è una sua annotazione .
Per sua stessa ammissione, Spinelli aveva sempre provato «una insormontabile antipatia per le parole stesse di nazione e patria». «Il movimento federalista si trova d’accordo con tutte le forze e tendenze progressiste che si rivelino favorevoli alla creazione della Federazione Europea, – scriveva Spinelli nel settembre 1943 nelle “Direttive” del Movimento Federalista Europeo – da quelle comuniste a quelle strettamente liberali, e non si pronuncia astrattamente per una federazione in cui sia stabilita a priori la dose di collettivismo e capitalismo, di democrazia e di autorità in essa ammissibili»! Federation d’abord verrebbe da dire.
Nel prologo alle sue memorie, indicando su quali idee segrete e profonde avesse cercato di fondare la sua vita, Spinelli cita tre massime. La prima di Meister Eckhart suona così: «Se si chiedesse a un vero uomo … “perché operi le tue opere”; se egli rispondesse rettamente, direbbe solo “opero per operare”» .
Jean Monnet dirà poi: «l’essenziale non è sapere dove andare, ma andarci». Naturalmente, secondo la nota prassi delle società segrete, meno si fa sapere al popolo meglio è. Anche qui Spinelli ha qualcosa da insegnarci, quando distingue il «linguaggio notturno» che «non è un ragionamento che si spiega alla luce del sole e si articola chiaro e comprensibile a tutti, o perlomeno a chiunque voglia far lo sforzo di capire» ed «il linguaggio diurno [che] invece non può non essere un linguaggio realista che soppesa le forze esistenti, calcola come si ingranano fra loro, com’è possibile operare su di esse e in che senso» .
Questo approccio iniziatico si riflette oggi in un’Unione Europea che fatica a farsi capire ed amare dai suoi cittadini. La terza delle massime fondamentali di Spinelli ricordate prima, da un inno goliardico di Goethe, suona così: «Ho posto la mia causa sul nulla» .
Il nulla o le radici cristiane è uno dei dilemmi dell’Europa di oggi. Allora «Viva San Patrizio!», anche se voglio ricordare pure la «dama di ferro», che i terroristi irlandesi cercarono di uccidere. Secondo Lady Thatcher, il progetto di Stati uniti d’Europa è «utopico», «inutile», «irrazionale», «destinato inevitabilmente al fallimento» ? «Cercare di sopprimere il senso della nazione e concentrare il potere al centro di un conglomerato europeo sarebbe altamente nocivo ... – ella sosteneva nell’importante discorso di Bruges del 1988 – L’Europa sarà più forte proprio perché ha la Francia in quanto Francia, la Spagna in quanto Spagna, la Gran Bretagna in quanto Gran Bretagna, ciascuno con le proprie abitudini, tradizioni e identità. Sarebbe follia cercare di costringerle in una specie di identità, di personalità europea».
Voglio osservare in conclusione che, parafrasando il Manifesto dei comunisti di Marx ed Engels, si potrebbe affermare che «una mistificazione si aggira per l’Europa»: quella che grazie al processo di integrazione iniziato nel 1957 con i trattati di Roma si sia preservata la pace nel nostro continente.
Già la Dichiarazione del vertice europeo di Berlino del 25 marzo 2007 affermava ambiguamente: «L’unificazione europea ci ha permesso di raggiungere pace e benessere» . Molti politici e commentatori si sono poi lanciati arditamente nell’affermare tout court che «i trattati europei hanno regalato (sic) al continente quasi sessant’anni di pace».
Così, sulla falsariga di un articolo del settimanale americano Time, l’ambasciatore Sergio Romano enunciava la prima di venti ragioni a favore dell’Unione Europea, in una risposta nella rubrica delle Lettere al Corriere alla quale è stato dato il titolo Per favore, basta parlare male dell’Europa.
Sfidando l’intimazione, ripetuta in termini più perentori alcuni giorni dopo, osservo: 1. I trattati di Roma hanno 51 anni. Chi ha preservato la pace dell’Europa dal 1945 al 1957, anni che comprendono il periodo più duro della guerra fredda?
2. La pace in Europa in realtà è stata mantenuta perché il sistema internazionale bipolare e la situazione strategica, l’equilibrio del terrore o mutual assured destruction, rendevano impossibile una guerra tra i due blocchi nel Vecchio Continente, pena la sua devastazione.
3. Il merito della conservazione della pace va quindi semmai alla NATO, che ha garantito la difesa dell’Europa occidentale. Al riparo dello scudo atlantico si è potuta sviluppare l’integrazione europea, che è quindi frutto non causa della situazione di pace.
4. Grecia e Turchia non sono arrivate a ricorrere alle armi in molti momenti di crisi proprio grazie alla comune appartenenza alla NATO dal 1952, non grazie alla CEE-CE-UE, nella quale la prima entrò solo nel 1981 e la seconda non fa tuttora parte.
5. Negli anni ’90 la CE-UE fallì completamente nello scopo di porre termine alla guerra nella ex Jugoslavia, che terminò solo dopo l’intervento della NATO. È da sperare che alle tante vulgate politically o historically correct che ci vengono imposte non si aggiunga anche quella di un euro-entusiasmo che oscilla tra mistificazione e ridicolo.
Come esempio di ridicolo cito altri tre «vantaggi» dell’integrazione europea inseriti nell’elenco sopra citato. Al n. 12 si legge: «Il calcio è ormai uno sport europeo e la Champions League è diventata il campionato del continente». Quando ero ragazzo, all’inizio degli anni ’60, mi appassionavo molto alle vittorie dell’Inter in Coppa dei Campioni; non credo fosse merito dei trattati di Roma.
Al n. 15 si legge: «Da quando, nel 1985, l’Europa ha adottato come inno nazionale il quarto movimento della Nona sinfonia di Beethoven, i ragazzi delle scuole medie hanno almeno una prima idea di quel che è la musica classica». Ogni commento è superfluo. Vorrei comunque ricordare che il Te Deum di Charpentier (per intenderci, la sigla dell’Eurovisione) è anch’esso un ricordo vivo della mia adolescenza, ben precedente agli sviluppi del processo di integrazione europea.
Infine al n. 19 si legge che «I burocrati di Bruxelles hanno contribuito a fare della città in cui lavorano una delle più attraenti in Europa». Non sapevo che la Grand’ Place, il Grand ed il Petit Sablon fossero opera dei burocrati dell’UE (o magari di quelli della NATO, che anch’essi risiedono a Bruxelles dal 1967). Mi sembrava invece di ricordare palazzi moderni molto discussi, che in qualche caso si è dovuto abbattere perché ricchi di amianto. Anche ammettendo che Bruxelles sia trendy grazie agli euro-burocrati, mi sembra improbabile che i cittadini degli altri paesi europei vedano in ciò una buona ragione per amare l’Unione Europea.
(Per gentile concessione del prof. Massimo De Leonardis, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche, professore di Storia delle Relazioni e delle Istituzioni internazionali, Università Cattolica del Sacro Cuore)