Dio può sembrare un concetto astratto. Dove incontrarlo e trovarlo? Che validità ha la pretesa dei cristiani che dicono che lo si può conoscere? A prima vista può sembrare che, se fin da piccoli si è cresciuti in un determinato ambiente, automaticamente si possa abbracciare la fede cristiana.
Ma chi non ha avuto la possibilità di conoscerlo come può fare per entrare in intimità con Lui? In una società attanagliata dal dubbio, dal relativismo e dal pluralismo esasperato, proporre che Gesù Cristo è la Verità su Dio e sull’uomo può quasi sembrare una cosa assurda, ma è dovere della Chiesa annunciare al mondo che è possibile incontrare il Dio Vivente. L’esperienza cristiana ci mostra che, sempre, lungo i secoli, gli individui hanno incontrato Dio. Quest’incontro è avvenuto nelle maniere più diverse e più imprevedibili, a volte in situazioni nelle quali la persona interessata non professava nessun credo religioso.
Tutta la vita di Cristo è contraddistinta dalla passione per l’uomo: vuole condurre l’uomo a ritrovare se stesso e scoprire Dio. Quest’opera del Salvatore continua ancora oggi nelle situazioni più disparate perché Dio ha scommesso sull’uomo, ha investito la sua stessa vita. Un giovane era stato trascinato da degli amici a trovare padre Pio da Pietrelcina e molto sinceramente gli aveva detto: “Padre, sono venuto con degli amici, ma vi avviso che non credo in Dio”. Il cappuccino ha risposto: “Che importa! Dio crede in lei…Dio crede in lei”. Davvero una testimonianza eloquente che ci rimanda al Vangelo dove è presente ad un grado unico la fede di Dio nell’uomo. Dio è presente nell’uomo, sta a noi scoprire questa Realtà più intima di noi stessi.
Da parte sua l’uomo scopre che, senza Cristo, “la vita è un mistero ancora più incomprensibile” (Blaise Pascal). Il Concilio Vaticano II ha giustamente ribadito che “Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”. Coloro che scoprono Dio cercano poi di amarLo e testimoniarLo per tutta la vita. Guarderemo alle testimonianze di alcuni nostri fratelli nella fede che hanno fatto questa scoperta che ha trasformato la loro vita. Quando penso ai convertiti mi viene in mente una scena del film La lettera scarlatta dove la protagonista, Ester, incontra il pastore protestante e se ne innamora a tal punto che pronuncia questa frase: “Ma esistevo davvero prima di incontrarvi?”. Così è anche per coloro che incontrano Dio, e le testimonianze che seguono ci faranno comprendere meglio di ogni discorso questa realtà.
Sant’Agostino
Uno dei più grandi convertiti della storia del cristianesimo è Sant’Agostino, che ha raccontato la sua conversione nelle Confessioni, che rimane uno dei più celebri libri della letteratura religiosa. Agostino nasce a Tagaste il 13 novembre 354, e ben presto si dimostra un giovane irrequieto retore, tanto da lasciare l’ambiente di provincia dove vive per trasferirsi prima a Roma e, successivamente, a Milano.
Sarà proprio nella città ambrosiana che il Nostro incontrerà il vescovo S. Ambrogio, pastore rispettato e intelligente, che gli farà cadere le perplessità e i pregiudizi legati alla Chiesa cattolica. Preda dei desideri sessuali smodati scriverà: “Non lo sapevo, però, e precipitavo a capofitto, talmente cieco da provare vergogna fra i miei coetanei di esser meno spudorato di loro; li sentivo ostentare i loro vizi e vantarsene quanto più erano abbietti, e piaceva non solo per il gusto di farlo, ma anche per l’ammirazione che se ne ricavava. Che cosa c’è di più riprovevole della corruzione? Eppure, per non essere biasimato, sprofondavo nella corruzione e se mancavano fatti che mi mettessero alla pari degli scellerati, inventavo azioni che non avevo commesso, per paura di apparire più vile quanto più ero innocente, e di essere ritenuto tanto più spregevole quanto più ero puro”.
Nel frattempo, la madre, Monica, non smetteva di implorare a forza di lacrime e preghiere la grazia della conversione per il figlio. Mentre Agostino, un giorno, è appartato in giardino, sempre preso tra il desiderio di cambiare vita e i legami della sensualità che lo attanagliano, le suppliche della madre vengono esaudite.
Lasciamo la parola al santo. “A un tratto sento una voce da una casa vicina, come di un fanciullo o una fanciulla, non saprei, che diceva in forma melodica, ripetendolo spesso: Prendi e leggi, prendi e leggi. Di colpo la mia espressione cambiò e cominciai a pensare con la massima concentrazione se in qualche gioco infantile si usasse canticchiare qualcosa di simile, ma non mi risultava affatto di averlo mai sentito. Trattenni l’impeto del pianto e mi alzai: non mi restava che interpretarlo come un comando divino ad aprire il libro e a leggere la prima riga che trovassi.
Avevo sentito dire che Antonio, da una lettura del Vangelo nel corso della quale era sopraggiunto per caso, si sentì toccato come se fossero rivolte proprio a lui le parole che si leggevano: Va’, vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi (Mt. 19,21). E da quel messaggio divino immediatamente si convertì a te. “Tornai quindi turbato dove era seduto Alipio: là, alzandomi, avevo lasciato il libro dell’Apostolo. L’afferrai l’aprii lessi in silenzio il primo passo dove mi caddero gli occhi: Non in gozzoviglie e ubriachezze, non in amplessi e impurità, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non assecondate la carne nelle sue concupiscenze (Rm. 13,13-14). Non volli proseguire la lettura, né ve n’era bisogno. Di colpo, infatti, al termine di questa frase, come per una luce di certezza balenata nel mio cuore, tutte le tenebre del dubbio si dileguarono… “Rientriamo quindi da mia madre, ci manifestiamo: ne gode. Le raccontiamo come sono andate le cose: esulta e trionfa, continuando a benedire te, che hai potere di fare molto di più di quanto chiediamo e comprendiamo (Ef. 3,20). Vedeva infatti che tu le avevi concesso a mio riguardo molto più di quanto era solita chiederti con i suoi gemiti di dolore e di afflizione…E convertisti il suo lamento in una gioia (Sal. 30,12) ben più abbondante di quanto avesse desiderato e ben più preziosa e pura di quella che poteva reclamare dai nipoti della mia carne”.
Riesce a rompere con il passato, con la concupiscenza e le passioni disordinate che lo animavano, e con la schiavitù delle occupazioni mondane, arrivando a ricevere il battesimo, a Milano, nella notte del sabato santo, fra il 24 e il 25 aprile dell’anno 387, dalle mani di Ambrogio. Con lui vengono battezzati il suo discepolo Alipio e il figlio Adeodato, di cui Agostino dirà: “Figlio della mia carne e mio coetaneo nella Grazia”.
Molta parte della sua pastorale verterà proprio sul battesimo, tanto da proclamare: “Noi cristiani siamo come dei pesci: per vivere dobbiamo nuotare nelle acque del nostro battesimo!”.
Più tardi, arriverà a scrivere: “Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti amai! È vero, dentro di me tu eri, e io fuori: Là ti cercavo e aggredivo, deforme, le forme perfette che tu hai fatto. Con me tu eri, e io non ero con te! Mi tenevano lontano da te proprio le cose che non potrebbero essere, se non fossero in te. Chiamasti, gridasti, squarciando la mia sordità; sfolgorando, il tuo splendore dissolse la mia cecità; esalasti una fragranza che mi ha rianimato e ora anelo verso di te; ti gustai e ho fame e sete di te; mi toccasti, bruciai nella tua pace”.
Agostino aveva finalmente compreso che Dio non era un essere lontano, esteriore a lui e, non trovandolo, lo cercava nelle torbide felicità alle quali si aggrappava. Non avrà più bisogno di mentire a se stesso, di essere schiavo delle creature perché troverà dentro di sé il solo amore degno di essere vissuto: Dio stesso. Nel 395 sarà consacrato vescovo di Ippona e morirà il 28 agosto 430. (Da: Scommessa sull'uomo, LDC)