Sono in tanti a sperare che il motu proprio sia definitivamente morto, e sono in molti, nel mondo ecclesiastico, a darsi a da fare perchè ciò avvenga. Strano, perché una semplice analisi della realtà svelerebbe quello che nella mia esperienza educativa trovo evidente: non è solo il mondo ad aver perso Cristo, ma, come ebbe a dire anche don Giussani, sono parecchi gli uomini di Chiesa, forse ancora prima, ad averlo abbandonato. Una fede che si fa insipida, o troppo umana, proprio nella sua espressione più visibile, la ritualità, perde fedeli: è matematico.
Ma nonostante l’opposizione al vecchio rito, e più in generale al suo spirito, sia fortissima e radicata negli ambienti che contano, i segnali di un cambiamento, soprattutto nei giovani, e nel nuovo clero, sono evidenti. L’editore Fede & Cultura è l’unico, a quanto io sappia, che abbia scommesso con fiducia nel rilancio della messa tradizionale. In pochi mesi ha pubblicato diversi titoli: oltre ad un opuscolo del sottoscritto, La messa antica di don Francesco Capello, La messa non è finita di Mario Palmaro e Alessandro Gnocchi, il messale integrale, e, per ultimo, Introibo ad altare dei. E’, quest’ultimo, un bellissimo manuale ad opera di tre giovanissimi, Elvis Cuneo, Daniele Di Sorco e Raimondo Mameli, in cui la “vecchia” messa viene spiegata passo passo, in tutti i suoi elementi, dal simbolismo, alla gestualità. Un’opera imprescindibile, oggi, per chi voglia accostarsi al vecchio rito come suggerisce Benedetto XVI, cioè ricordando che “il proprium liturgico non deriva da ciò che facciamo ma dal fatto che accade”.
Tutti questi libri dell’editore Fede & Cultura non sono rimasti in giacenza, come si sarebbe potuto pensare, e neppure patrimonio di pochi eruditi e curiosi: hanno avuto e stanno avendo una incredibile diffusione. Tra i lettori anche molti sacerdoti che stimano il nuovo rito, ma che desiderano, nel contempo, riappropriarsi di un modo più giusto per celebrarlo, come faceva ad esempio il compianto don Divo Barsotti. Tra gli interessati alla sacralità ed alla spiritualità della messa tridentina vi sono, più spesso, i giovani.
Uno di questi, l’amico Tommaso, mi segnala che verrà ripubblicato a breve, in inglese, con prefazione di Mons. Ranjith, un libro di mons. Nicola Giampietro, “Il vero sviluppo della liturgia”. Mons Giampietro è già autore di un testo, “Il cardinal Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970”, edito nel 1998 da Studia Anselmiana.
Chi è Antonelli? Francescano, professore di Liturgia e archeologia, nel 1935 diviene Relatore Generale della Sacra Congregazione dei Riti per la sezione storica. Durante il Concilio Vaticano II è Perito e Segretario della Commissione Conciliare della Sacra Liturgia: la commissione che preparerà lo schema della Sacrosanctum Concilium da presentare ai Padri conciliari. Il 27 febbraio 1964 è nominato Membro del “Consilium ad exequendam Constitutionem de S. Liturgia”. Il 26 gennaio 1965 diviene Segretario della Sacra Congregazione dei Riti. Un uomo addentro alla Riforma liturgica, dunque, e convinto che essa fosse necessaria.
Il libro sull’Antonelli squarcia il velo sui lavori così poco conosciuti del Consilium ad exsequandam Costitutionem de S. Liturgia, l’organismo al quale Paolo VI affidò l’attuazione del documento conciliare Sacrosanctum Concilium. Antonelli parla della commissione in questo modo: “un raggruppamento di persone, molte incompetenti. Discussioni molto affrettate. Discussioni a base di impressioni: votazioni caotiche. La Commissione o il Consilium è composto di 42 membri: ieri sera eravamo in 13”. Sul sistema delle votazioni il cardinale annota: “Peggiore è il sistema delle votazioni. Ordinariamente si fanno per alzata di mano, ma nessuno conta chi l’alza e chi no, e nessuno dice tanti approvano e tanti no. Una vera vergogna. Non si sa quale maggioranza sia necessaria, se dei due terzi o quella assoluta. Altra mancanza grave è quella che manca un verbale delle adunanze”.
E ancora: “Dispiace lo spirito che è troppo innovatore (…) La grande crisi perciò è la crisi della dottrina tradizionale e del magistero (…) Quello che però è triste è un atteggiamento mentale e cioè che molti di coloro che hanno influsso nella riforma non hanno alcun amore, alcuna venerazione per ciò che ci è stato tramandato. Hanno in partenza disistima contro tutto ciò che c’è attualmente (…) Con questa mentalità sono portati a demolire non a restaurare”; “lo spirito non mi piace. C’è uno spirito di critica e di insofferenza verso la S. Sede che non può condurre a buon termine. E poi tutto uno studio di razionalità nella liturgia e nessuna preoccupazione per la vera pietà…”.
Antonelli conclude lasciandosi andare ad una considerazione che andrebbe letta ricordando la presenza, nel Consilium, di sei pastori protestanti, con un ruolo attivo, e, nello stesso tempo, la caduta in disgrazia, di lì a pochi anni, di Annibale Bugnini, precipitosamente inviato come pronunzio in Iran: “La lacuna più notevole in P. Bugnini [il grande architetto della Riforma] è la mancanza di formazione e di sensibilità liturgica. Ho l’impressione che si sia concesso molto alla mentalità protestante (…) Temo che un giorno di questa riforma si dovrà dire accepit liturgia recessit devotio. Vorrei ingannarmi”. Non si ingannava: nella mia sola piccola città di Trento, i sacerdoti che celebrano alla maniera protestante, che non credono alla presenza reale nell’Eucaristia e che considerano la messa solamente una cena, e non un sacrificio, sono numerosi. Urge un concilio nuovo…il concilio di Trento II. (Il Foglio)