Ogni pronostico circa il futuro complessivo dell’Islam, data la complessità del mondo musulmano e l’incessante evoluzione degli scenari internazionali sia a livello politico che sociale, non può che suonare azzardato ed inattendibile. Già più interessante, invece, può essere interrogarsi sul rapporto tra Islam e mondo occidentale.
Come sappiamo, è diffuso, dalle nostre parti, il timore di una islamizzazione, prima ancora che dell’Occidente, del continente europeo. In effetti, se pensiamo ad alcuni recenti episodi accaduti in terra olandese, laddove il politicamente corretto è oramai credo dominante, sorge il sospetto che il processo di islamizzazione sia già realtà. Va anche detto che più di qualcuno, tra i sociologi e i demografi, non solo assicura che l’Europa non subirà alcuna “invasione culturale”, ma addirittura sostiene che sarà la galassia islamica presente nel Continente, a breve, ad occidentalizzarsi fino a farci nuovamente precipitare in quell’inverno demografico che, grazie agli intensi flussi migratori di questi decenni, sembrava parzialmente scongiurato.
Al di là di questo, il punto su cui tutti, a destra come a sinistra, paiono concordi, è il nome dell’unico soggetto realmente in grado di riformare l’Islam: la donna, o meglio, le donne. E’ nelle loro mani, dicono in molti, il futuro di una religione che nel 2009 vive spesso ancora inchiodata ad una interpretazione letteraria e spesso severissima dei propri dettami. Questo uno dei passi ritenuti più penalizzanti per l’uguaglianza tra i sessi:”E dì alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le loro parti belle” (Corano, XXIV:31).
A parte il fatto che il famigerato velo indossato dalle donne musulmane non è affatto uno, bensì ne esistono almeno sette, differenti per tradizione e ampiezza, dobbiamo ricordare che il problema delle donne nel mondo musulmano non è di natura tessile o estetica: spesso alle giovani fanciulle sono negati quei diritti che noi occidentali, spesso senza apprezzarne la vera portata, siamo oramai soliti definire “fondamentali”. Ebbene, da qualche anno a questa parte è in atto, come peraltro provato da numerose pubblicazioni, un vero e proprio riscatto delle donne islamiche. Trattasi di un riscatto importante, a più livelli.
Fanno testo, a questo proposito, svolte come quella del Marocco dove, nel maggio 2006, per la prima volta in un Paese islamico 50 donne e ragazze sono state nominate murshidàt, ossia guide alla preghiera. Un episodio, questo, per molti versi simile a quanto accaduto nel marzo 2005 a New York quando, nella cattedrale di St. John the Divine, l’afroamericana Amina Wadud, aveva guidato la preghiera davanti ad un gruppo di musulmani uomini e donne. Anche in Turchia si sta muovendo qualcosa, basti pensare alla teologa Beyza Bilgin, oggi settantunenne, prima donna autorizzata a predicare nel suo Paese. La rivoluzione, chiamiamola così, delle donne musulmane non riguarda le sole funzioni religiose.
Pensiamo all’iraniana Laleh Seddigh che ha partecipato a gare automobilistiche spesso superando i colleghi maschi. Oppure pensiamo a Khalida Messaoudi, algerina che, già condannata a morte ancora nel 1993 dagli integralisti del Fronte islamico di salvezza, nel suo “Una donna in piedi” (Arnoldo Mondadori, 1996), arriva coraggiosamente a scrivere:”Se un movimento integralista che ha armi e denaro condanna a morte una come me, significa che costituisco veramente un pericolo per i suoi piani e dunque ho ragione quando lo attacco […] per la mia storia personale e per quella del mio paese, ho tutte le buone ragioni per non volermi sottomettere a nessun giogo” (p.36).
Ma il problema dei diritti donne musulmane da dove nasce? Secondo l’arabista Basilio Cattalan “tutta la legislazione musulmana rispecchia il disprezzo in cui Maometto teneva la Donna”. In realtà, non mancano esempi storici che dimostrano come, nella storia islamica, più volte la donna si sia coraggiosamente fatta avanti, assumendo talvolta il ruolo di leader. La stessa Ahisa, moglie del Profeta, guidò su un cammello un’intera armata di 125 mila uomini, giocando un ruolo cruciale nella storia dell’Islam. Ancora, nel 1593 uno storiografo imperiale inviato dalla Regina Elisabetta ad Istanbul, annotava di trovarsi in “Paese governato da una donna, che governa con tutti i poteri il regno ereditato”. Molto interessante è anche quanto scritto da Bernard Lewis, che ricorda che nel 1867 Nama Kamal, uno scrittore turco, pubblicò un articolo in cui scrisse letteralmente che “la ragione dell’arretratezza è il modo in cui trattiamo le nostre donne, considerandole adatte unicamente a produrre figli e nient’altro”.
Testimonianze come queste dimostrano che il dibattito sul ruolo della donna, nel mondo musulmano, non è certo nato oggi e che sarebbe pertanto ora di agevolare, per quanto possibile, quelle voci islamiche controcorrente, che vorrebbero sul serio una riforma modernizzatrice della loro religione. Tornando alla nostra breve panoramica sulle donne che stanno cambiando l’Islam, ricordiamo Ebru Umar, la scrittrice e giornalista olandese di origine turca che, per il coraggio col quale attacca i fondamentalisti, ha subito pesanti aggressioni fisiche, senza che questo potesse tuttavia scalfire la propria determinazione, che anzi ne è uscita rafforzata. Ma la storia più grave è senza dubbio quella di Ayaan Hirsi Ali, ex deputata olandese di origini somale nonché sceneggiatrice del cortometraggio “Submission” di Theo van Gogh, già minacciata di morte dagli integralisti e che a fine marzo del 2008 si è vista negata dall’Unione europea il finanziamento della scorte. Da pelle d’oca è poi la vicenda di Obeida Abd al – Rahman Mohammad Abu Aishi, oggi trentenne. Stava per sposarsi quando un missile ha ucciso il suo fidanzato, motivo per cui ha scelto di diventare Kamikaze, per vendicare il suo amore perduto; grazie al Cielo il suo piano suicida è fallito e, dopo aver rinnegato la violenza durante il carcere, ora lavora come infermiera.
Lo spazio è tiranno ma è davvero sterminato l’elenco delle donne che, nella cultura e nella politica, si sono mosse e si stanno muovendo per far valere i propri diritti: Nadja Elboudali, Toujan Al-Faisal, Homa Arjomand, Nigar Sari, Taslima Nasreen, Assia Djebar sono solo alcune di queste grandi donne, quasi sempre ignorate dai media eppure infaticabili nella loro battaglia per i diritti delle donne. Niente a che vedere con quelle urlatrici variopinte che sono le femministe di casa nostra, sia chiaro.