È sempre la solita storia. Dopo l’immersione nell’ideologia marxista, passata l’ubriacatura del «sol dell’avvenire», svanite le illusioni positiviste degli ultimi due secoli, l’uomo contemporaneo avverte un vago sentimento di nausea, un vuoto sempre più profondo che cresce dal di dentro. E per colmarlo, per sostituire il sapere tradizionale, si riempie lo spazio lasciato vuoto da Dio con il progresso infinito della tecnica. Nulla di più e nulla di meno. Su questa scia si pone anche Aldo Schiavone, direttore dell’Istituto italiano di Scienze Umane (Firenze, Napoli), il quale oltre a una vasta produzione scientifica di rilievo collabora a «la Repubblica», e nel 2007 ha dato alle stampe un interessantissimo saggio dal titolo «Storia e destino».
L’idea di fondo consiste nel tentativo di guardare al futuro con maggiore ottimismo, affidando il tempo che verrà alla tecnica ed alle sue innovazioni. Schiavone ritiene di appartenere ad una generazione che sarà fra le ultime a fare i conti con l’esperienza della morte, almeno nei termini in cui la nostra specie umana l’ha incontrata finora. La vita futura assumerà le caratteristiche di uno stato mentale ed il presente sarà inghiottito nella totalità onnipervasiva della tecnica. Questo saggio si presenta come il manifesto di un nuovo umanesimo, un umanesimo, per capirci, che sta superando le colonne d’Ercole del limite e sta facendo il suo ingresso nell’infinito. Potremmo chiederci, a questo punto, quali siano gli ambiti dell’umano nel nuovo mondo di cui ci parla Schiavone. Ebbene, afferma l’autore, la rivoluzione in atto sta cancellando tutto ciò che sappiamo dell’uomo e sull’uomo, in vista di un futuro «dove tutto quel che tecnicamente si può fare sarà ammissibile».
Uno degli obiettivi del saggio consiste nel diffondere idee transumaniste con tutte le aberrazioni che ne conseguono (si veda a tal proposito il sito: http://www.transumanisti.it) ed il sapore delle dottrine sembra essere vagamente gnostico. In questo senso credo vadano lette le affermazioni in cui l’autore sostiene che non si può accettare di essere per sempre prigionieri di una forma corporea, biologica e anatomica, la quale vincola l’individuo a costrizioni inaudite. Il corpo, per Schiavone, è nient’altro che un carcere e quindi il progresso dovrà operare in modo da eliminare vincoli: «il futuro ci porterà prima di tutto un’inaudita opportunità di liberazione... Il prolungarsi della vita – prosegue l’autore – renderà le nascite sempre meno frequenti e casuali, legate ad accurate programmazioni, e sposterà inevitabilmente il rapporto tra genitori e figli dal tradizionale modello pedagogico, verso un più adeguato modello solidale».
Gli obiettivi, dunque, sono chiari e i nuovi equilibri evolutivi consentiranno di non ricominciare ogni volta daccapo (così come è avvenuto sinora con la selezione naturale, che aveva bisogno di una moltitudine di esseri per svolgere la sua funzione progressiva). In queste pagine si coglie la volontà di dis-umanizzare l’uomo, di renderlo simile alle altre creature, così da consentire al filosofo di valutare un possibile spostamento dei confini dell’etica. Si avrà, pertanto, un’etica che condurrà ben presto tutti a rivedere i propri orizzonti, perché «l’ingegneria genetica potrà presto prolungare quasi indefinitamente le nostre possibilità di vita biologica, e si moltiplicheranno stadi intermedi nei quali sarà possibile mantenere le funzioni di un pensiero e di una personalità individuali entro strutture parzialmente o totalmente extrabiologiche».
Il saggio, come si conviene fra gli intellettuali di primordine, non poteva che chiudersi con un serrato attacco alla Chiesa ed al suo vetusto atteggiamento di sfida nei confronti della scienza. Ma ormai, è questa la certezza che traspare alla fine, la fede è sotto scacco e l’umanità, abbandonata l’illusione di Dio, è proiettata verso una nuova era tecnologica. Ma, e questo è il punto, è davvero così? Schiavone sembra voler seppellire la fede senza dare l’impressione di accorgersi che si sta sostituendo una fede con un’altra. Chi può dire, infatti, se non la fede, che «l’ingegneria genetica potrà presto prolungare quasi indefinitamente le nostre possibilità di vita biologica»?
Chi può dire – dovendo ricorrere alle mediazioni della scienza – che domani gli eventi si svolgeranno in un certo modo piuttosto che in un altro? Il punto è proprio questo. Qui si sta sostituendo la fede in Dio con una fede nella scienza, anzi con le possibilità trascendentali della scienza, senza accorgersi, però, che tutto ciò che concerne la fede non può essere adoperato per di-mostrare alcunché. Il vero della filosofia è l’immediato, è ciò che non può mai venire smentito, pena l’assurdo. Il creduto, invece, è ciò a cui io do l’assenso senza averne l’immediata evidenza. Schiavone, quindi, sembra ricadere all’interno di quell’orizzonte che sperava di aver superato. Chi caccia dalla porta la fede rischia di vedersela rientrare dalla finestra. Ma le sembianze, a quel punto, saranno inevitabilmente differenti. (Articolo scrittto per L&P da Alessandro Pertosa).