Louis Pasteur: scienziato e uomo di fede.
Di Francesco Agnoli (del 03/05/2009 @ 14:21:42, in Scienza, linkato 3601 volte)

...Louis Pasteur (1822-1895), uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, ha occasione di proclamare pubblicamente la sua fede innumerevoli volte, e soprattutto il 27 aprile 1882, quando viene accolto nella Accademia delle Scienze dal positivista Ernest Renan, negatore della divinità di Cristo e dei miracoli del Vangelo, in nome del razionalismo. 

 Nel suo primo discorso Pasteur deve anche fare l'elogio funebre di Emile Littré, medico, giornalista, scrittore positivista tra i più famosi della Francia dell'epoca. Littrè era inoltre un seguace accanito di Comte, nella cui dottrina aveva per anni trovato risposta da ogni cosa: "Essa basta a tutto, non mi inganna mai e mi illumina sempre".

Pur avendo trovato la fede alla fine dei suoi giorni, chiedendo il battesimo all'abate Huvelin, Littrè era insomma un personaggio imbarazzante, per il credente Pasteur, che però non omette di lodarlo, nel suo elogio, e di contraddirlo. Vale la pena riportare almeno una piccola parte del discorso di Pasteur: "Il positivismo, non offrendomi nessuna idea nuova, mi lascia diffidente e riservato. La fede di Littrè nel positivismo gli venne dall'appagamento che vi trovava per quanto riguarda le grandi questioni metafisiche. La negazione e il dubbio lo ossessionavano. Comte lo ha tirato fuori dall'una e dall'altro con un dogmatismo che sopprimeva ogni metafisica. Di fronte a questa dottrina Littrè diceva: non ti devi preoccupare né dell'origine né della fine delle cose, né di Dio né dell'anima, né di teologia, né di metafisica…fuggi l'assolto, non amare che il relativo….Quanto a me, ritenendo sinonimi le parole progresso ed invenzione, mi chiedo in nome di quale nuova scoperta, filosofica o scientifica, si possano estirpare dall'animo umano queste grandi preoccupazioni. Mi sembrano di essenza eterna, perché il mistero che avvolge l'Universo e di cui esse sono emanazione è esso stesso eterno per natura. Si narra che l'illustre fisico inglese Farday, nelle lezioni che faceva all'Istituzione reale di Londra, non pronunciasse mai il nome di Dio, sebbene fosse profondamente religioso. Un giorno, eccezionalmente, questo nome gli sfuggì e improvvisamente si manifestò un movimento di simpatica approvazione. Accorgendosene Farady interruppe la lezione con queste parole: 'Vi ho sorpreso pronunciando il nome di Dio. Se ciò non mi è ancora accaduto dipende dal fatto che io sono, mentre tengo queste lezioni, un rappresentante della scienza sperimentale. Ma la nozione e il rispetto di Dio arrivano al mio spirito attraverso vie tanto sicure quanto quelle che conducono alla verità dell'ordine fisico'".

"Littrè e August Comte, prosegue Pasteur, credevano e fecero credere agli spiriti superficiali che il loro sistema si basava sugli stessi principi del metodo scientifico di cui Archimede, Galileo, Pascal, Newton, Lavoisier (nessuno dei quali ateo, ndr), sono i veri fondatori. Da ciò è nata l'illusione degli spiriti, favorita anche da tutto ciò che la scienza e la buona fede di Littrè garantivano".

E ancora: "Il positivismo non pecca solo nel metodo….esso non tiene conto della più importante delle nozioni positive, quella dell'infinito. Al di là di questa volta stellata che cosa c'è? Nuovi cieli stellati. Sia pure! E al di là ancora? Lo spirito umano, spinto da una forza irresistibile, non smetterà mai di chiedersi: che cosa c'è al di là? Vuole esso fermarsi, sia nel tempo, sia nello spazio? Poiché il punto dove esso si ferma è solo una grandezza finita, soltanto più grande di tutte quelle che l'hanno preceduta, non appena egli comincia ad esaminarlo ritorna la domanda implacabile senza che egli possa far tacere il grido della sua curiosità. Non serve nulla rispondere: al di là ci sono degli spazi, dei tempi o delle grandezze senza limiti. Nessuno comprende queste parole. Colui che proclama l'esistenza dell'infinito, e nessuno può sfuggirvi, accumula in questa affermazione più sovrannaturale di quanto non ce ne sia in tutti i miracoli di tutte le religioni…Io vedo ovunque l'inevitabile espressione della nozione dell'infinito nel mondo. Attraverso essa, il soprannaturale è in fondo a tutti i cuori. L'idea di Dio è una forma dell'idea di infinito… La metafisica non fa che tradurre dentro di noi la nozione dominatrice dell'infinito…Dove sono le fonti genuine della dignità umana, della libertà e della democrazia, se non nella nozione di infinito di fronte alla quale gli uomini sono tutti uguali?".

Pasteur, che aveva negato con i suoi esperimenti la generazione spontanea, principio fondante di ogni panteismo e ateismo, dichiara senza ambagi: "ancora più incompatibile con la ragione umana è il credere alla potenza della ragione sui problemi dell'origine e della fine delle cose…"; gli "insegnamenti della sua fede, aggiunge parlando del credente, sono in armonia con gli slanci del cuore, mentre la credenza del materialista impone alla natura umana ripugnanze invincibili. Che forse il buon senso, il senso intimo di ciascuno non reclama la responsabilità individuale? Al capezzale dell'essere amato colpito dalla morte non sentite in voi qualche cosa che vi grida che l'anima è immortale? E' un insultare il cuore dell'uomo dire con il materialismo: la morte è il nulla!" (quest'ultima parte del discorso viene ripetuta quasi ugiuale da Pasteur in varie occasioni).

Infine, parlando l'8 agosto 1874 in occasione della distribuzione dei premi del collegio di Arbois, Pasteur afferma: "L'educazione liberale che avete ricevuto senza trarne alcun merito non avrebbe altro risultato che abbandonarvi ad un folle orgoglio e al capriccio di questi spiriti frondisti che su tutti gli argomenti hanno affermazioni superficiali….Si dice che nella nostra città sono esistiti dei geni incompresi e io so che il moto di 'libero pensatore' è scritto da qualche parte nella cinta delle nostre mura come una sfida e un oltraggio. Sapete voi ciò che reclama la maggior parte dei liberi pensatori? Alcuni reclamano la libertà di non pensare affatto e di essere asserviti all'ignoranza; altri, la libertà di pensare male; altri ancora, la libertà di essere dominati dalle suggestioni dell'istinto e di disprezzare ogni autorità e ogni tradizione. Il libero pensiero nel senso cartesiano, la libertà nello sforzo, la libertà nella ricerca, il diritto di concludere sul vero accessibile all'evidenza e conformarvi la propria condotta, oh! di questa libertà bisogna avere un culto…ma il libero pensiero che reclama di concludere su ciò che sfugge ad una conoscenza precisa, la libertà che significa materialismo o ateismo, questa ripudiamola con energia".

Pasteur concludeva il suo discorso sottolineando l'impossibilità per l'uomo di afferrare il "principio e la fine di tutte le cose": "Credetemi, di fronte a questi grandi problemi, eterni soggetti di meditazioni solitarie degli uomini, non vi sono che due stati dello spirito: quello fornito dalla fede, la credenza a una soluzione data da una rivelazione divina, e quello del tormento dell'anima tesa alla ricerca di soluzioni impossibili e che questo tormento esprime con un silenzio assoluto (non con le false certezze dei "sistemi nichilisti" del positivismo, ndr) o, ciò che è lo stesso, con la confessione dell'impotenza di nulla comprendere e di nulla conoscere di questi misteri". (L. Pasteur, "Opere", Utet).

Su questo concetto del mistero riguardo il "principio e la fine di tutte le cose" è bene soffermarsi un attimo. Per Pasteur l'origine e la fine sfugge alla conoscenza scientifica umana, perché consiste nel perché ultimo e nel fine ultimo della nostra esistenza. La origine e la fine sono il fine, lo scopo, il senso, cioè qualcosa di non tangibile e di non misurabile. Cosa possono dire i telescopi e i microscopi, le reazioni chimiche e le formule matematiche, sulla scintilla iniziale che dà vita all'Universo, o meglio sul passaggio dal "nulla", dalla non esistenza del cosmo fisico, come tale non sperimentabile, alla esistenza, miracolosa e improvvisa, nostra e dell'Universo? Quell'attimo di tempo in cui l'universo ha inziato ad esistere per un big bang di qualche tipo, forse non lo capiremo mai: certo non comprenderemo mai l'"attimo" fuori del tempo che viene "prima" di quell'attimo di tempo che diede inizio, appunto, al tempo stesso (perché la creazione, come il Big Bang e la relatività di Einstein, implicano un attimo di tempo che ha dato vita al tempo stesso e prima del quale il tempo non esisteva, "contro quelle falsa immaginazione, come scriveva Grossatesta ottocento anni fa, anticipando Einstein, per la quale (molti) sono spinti ad immaginare, prima di ogni tempo, altro tempo e, al di là di ogni spazio, altro spazio e così via all'infinito").

E sull'origine dell'uomo? Conosciamo il "meccanismo" della fecondazione, in realtà ancora molto superficialmente: ma l'uomo, il primo uomo, non è nato da un embrione fecondato seminato dal caso nello spazio. E' comparso "all'improvviso", per un atto di creazione, o per una evoluzione (che esige, però, all'origine della catena, una causa incausa, e cioè creatrice), che comunque non riusciamo a comprendere, dal momento che l'abisso ontologico tra la scimmia, che non parla, non pensa, non progetta, non ha senso morale..., e l'uomo, non è e non sarà mai riducibile ad un mutamento puramente fisico, materiale e quindi sperimentabile. Non solo perché questo cambiamento non è provato ma unicamente presupposto, ma anche perché, se l'evoluzione vi fu, fu essenzialmente e più di tutto non qualcosa di fisico (un po' di peli in meno e qualche cambiamento nella postura), ma qualcosa di spirituale, di intangibile, di indimostrabie con leggi scientifiche, come lo sono le idee, la volontà, la libertà, e usando espressioni di Pasteur, la "dignità umana", la "responsabilità individuali" e l'ansia di ifninito dell'uomo. (da "Dio, questo sconosciuto", Sugarco)