La pasqua fu in origine una festa di pastori nomadi che salutavano la primavera e le primizie dei campi. Forse per questo quando giunge il tempo pasquale pensiamo ai mandorli in fiore e in ciascuno si rinnova la gioia della vita che riprende vigore e colore dopo il sonno dell’inverno.
E’ questo un tempo in cui nonostante la fatica del vivere l’ottimismo riafferma il proprio primato e l’uomo riprende a progettare e sperare. Nella storia di Israele l’originario significato pastorale della pasqua conosce un mutamento: esso si lega alla memoria della santa notte in cui gli ebrei schiavi in terra d’Egitto videro passare l’angelo della morte che risparmiò i loro primogeniti. Il sangue dell’agnello spalmato sugli stipiti della porte li aveva custoditi in vita. Quella notte la famiglia dei pii Ebrei fu protetta e da allora la Pasqua è vissuta come una festa essenzialmente familiare. Anche ai tempi di Gesù infatti il devoto israelita dopo aver sacrificato al tempio, si ritira in famiglia e qui, celebra la Pasqua facendo memoria del memorabile intervento di un Dio che salva e libera.
Così, la Pasqua è vissuta come la festa di coloro che dentro le mura domestiche conservano l’unità e la forza per sopravvivere al premere del caos che tutto vuol distruggere e trascinare con sé. L’uscire dalle mura di Gerusalemme in questa notte santa è perciò interdetto, perché le mura rappresentano la salvezza e il baluardo che Dio ha posto a difesa del suo popolo.
Anche Gesù festeggiò la Pasqua in una casa e con la sua famiglia, la famiglia di tutti gli uomini che in Lui hanno riconosciuto il salvatore. Ma la Pasqua di Cristo ci presenta un nuovo Agnello, l’Agnello definitivo, nel cui sangue l’universo è salvato. Dopo Gesù a nessuno è più interdetto di uscire dalle mura di Gerusalemme, semplicemente perché non esistono più mura e non esiste più il tempio.
In Cristo pertanto noi celebriamo la nostra salvezza e con forza possiamo uscire dalle nostre case e dalle nostre città, per andare incontro al mondo e fare del mondo un’unica grande città unita dall’amore di Dio. Uniti a Gesù possiamo così sfidare il tempo e il caos che incessantemente preme alla porta della nostra vita così spesso assalita dalla cultura dell’effimero e del non senso. La grande famiglia di Cristo si chiama Chiesa: essa origina non attraverso un vincolo carnale ma attraverso il sangue che per noi Gesù ha versato, essa è in primis un dono. La famiglia dei cristiani in tal senso si rivela il luogo in cui deve crescere l’amore e in cui il servizio che ciascuno rende all’altro si fa realtà operante, secondo la logica del “lavarsi i piedi gli uni agli altri”, perché così ci ha chiesto il Maestro. E’ a questa idea e a questa tradizione che la Chiesa si richiama quando riconosce nella famiglia una piccola chiesa domestica.
Lo dico in un tempo in cui si vuol accreditare l’idea che la famiglia sia il luogo del conflitto e della violenza strumentalizzando singoli episodi di disperazione e degrado umano. Non è così, semmai sono l’atomizzazione dei rapporti, l’imperare dell’egoismo, la privatizzazione dei sentimenti che determinano l’esplodere della violenza. La famiglia è certamente il luogo dell’emotività e dei sentimenti, sentimenti che a volte degenerano, perché soltanto chi è coinvolto può eccedere. Ma nella stragrande maggioranza delle nostre famiglie noi riconosciamo altro; in esse vediamo materializzarsi la solidarietà, la pazienza, l’amore, l’incontro tra le generazioni. Nelle famiglie è diffuso l’unico salutare balsamo capace di arginare il premere del caos e della morte tipico di questa nostra cultura sempre più individualista e annoiata. E questo perché l’amore non vive di pronunciamenti roboanti o di astrazioni ma di piccoli nuclei umani capaci di testimoniare il senso più profondo dell’umano amare. Per questo a Pasqua è bene riflettere sul significato di una festa che per sua natura vuol fare di ogni famiglia il nucleo da cui promuovere l’amore fedele e incondizionato, partendo dal quotidiano Buona Pasqua a tutti gli amici di Libertà e persona.