La Tilma della Morenita.
Di Francesco Agnoli (del 04/04/2009 @ 09:12:02, in Storia del Cristianesimo, linkato 1930 volte)

Tutti gli dei del variopinto pantheon precolombiano vogliono sacrifici: li vogliono il mare e il sole, la pioggia e il fuoco, e i popoli dominatori li devono procurare, attraverso continue guerre contro i popoli confinanti.

Per questo le società precolombiane sono perennemente in conflitto, per placare i loro idoli di sangue: la dea Tlatecuhtli, ad esempio (vedi articolo sotto), è una divinità tellurica ed infera rappresentata con un "gonnellino adorno di crani e ossa incrociate, la lingua sfrangiata che fuoriesce dalla bocca ghignante, mani e piedi hanno forma di rapace, piccoli teschi marcano gomiti e ginocchia, lacci e conchiglie segnano le spalle, mentre dai capelli emergono pezzi di carta simboli del sacrificio" ("Corriere", 23/11/2006).

Con la conquista degli spagnoli, contrassegnata come è naturale da violazioni del diritto, ma anche dalla sorveglianza della regina Isabella, attentissima al bene degli indios, la conversione al cattolicesimo di moltissimi indigeni, soprattutto donne, e il matrimonio misto, portano velocemente alla fusione, visibile ancora oggi, tra conquistadores ed indigeni.

 A permettere tutto questo interviene anche un fatto miracoloso: la apparizione delle Vergine di Guadalupe, nel 1531 ad un indio appena convertito, Juan Diego, sul colle Tepeyac, poco fuori da città del Messico; lo stesso colle su cui gli aztechi veneravano con sacrifici, sino a poco prima, la dea Tonatzin.

L'apparizione desta preoccupazione, qualcuno la ritiene l'escamotage degli indigeni per continuare nel loro culto idolatrico; in realtà essa richiama il culto della Madonna di Guadalupe d'Estremadura, la patria di Cortes, dove era apparsa ad un pastore, nel 1330, lasciando anche lì una immagine del suo volto.

 La Vergine impressa nella tilma di Juan Diego è straordinaria (una specie di Sindone): anzitutto, analizzata da fotografi, premi Nobel come il chimico Richard Kuhn, oculisti e ingegneri, rivela l'assenza di una preparazione di fondo della tela e di coloranti vegetali, animali o minerali. Gli studi ottici, ingrandendo l'immagine di duemilacinquecento volte, hanno persino scoperto nell'occhio destro della Vergine il riflesso di una intera scena che si ripete, secondo la legge ottica di Purkinje-Sanson, nell'occhio sinistro.

Oltre a queste prodigiose caratteristiche, a cui si aggiunga la correlazione tra le stelle del manto e quelle del cielo nel solstizio d'inverno del 1531, l'immagine ne ha un'altra: è una morenita, cioè una meticcia, quasi fosse la madre del nuovo popolo che sta appena nascendo, e si presenta come un codice di simboli, illeggibile per gli spagnoli, ma completamente accessibile agli indigeni. I colori, i fiori, il sole che la circonda, l'ovale di giada, la cintura nera, ad angolo, che la fascia, il fiore solare sul ventre, sono tutti elementi della cultura azteca, simboli delle antiche divinità, che permettono agli indigeni di vedere nella Madonna non una dea nemica, ma il compimento, rinnovato e superiore, di tante antiche consuetudini e credenze (Claudio Perfetti, "Guadalupe, la tilma della Morenita", Paoline)

 

"Una grande scoperta che ne promette un' altra, forse la più clamorosa degli ultimi decenni. Nella piazza centrale di Città del Messico, dove sorgeva il Templo Mayor, la principale piramide degli aztechi, è venuto alla luce un monolito di pietra rosa di 3,50 metri per 2,50, scolpito con l' immagine della dea della Terra e della Morte. Tutto lascia credere che sotto la scultura vi sia la tomba del re degli aztechi Ahuitzotl, che morì nel 1502 lasciando il trono a suo nipote Montezuma II, l' uomo che ebbe la sventura di incontrare i Conquistadores guidati da Cortes.

L' annuncio del ritrovamento è stato dato da l' archeologo Eduardo Matos Moctezuma, coordinatore del progetto Templo Mayor. La pesante lastra, ora spezzata in quattro parti, si trova nel punto della piazza dove, secondo alcuni storici del XVI secolo, venivano sepolte le ceneri dei regnanti e tutto fa pensare che non sia mai stata spostata. Per questo gli archeologi messicani sperano che sotto il monolito vi siano i resti del sovrano e l' intero corredo funebre che l' accompagnò nell' inframondo. L' attesa è molta perché finora non è mai stata scoperta la sepoltura di un re azteco; inoltre, Ahuitzotl, fu un sovrano molto potente che estese i domini dell' impero fino al Guatemala ed è ricordato per aver sacrificato da 20 mila a 80 mila prigionieri in occasione dell' ampliamento del Templo Mayor. Date tali caratteristiche, è ipotizzabile che nella tomba sia stato deposto un corredo funebre di ricchezza straordinaria.

Sul monolito è scolpita l' immagine femminile di Tlaltecuhtli, la divinità della Terra che nell' iconografia religiosa azteca compare anche in forma maschile. L' aspetto complessivo della figura e diversi particolari indicano il suo carattere di divinità tellurica e notturna: indossa un gonnellino adorno di crani e ossa incrociate, la lingua sfrangiata fuoriesce dalla bocca ghignante, mani e piedi hanno forma di zampe di rapace, piccoli teschi «marcano» gomiti e ginocchia, lacci e conchiglie segnano le spalle, mentre dai capelli emergono pezzi di carta simboli del sacrificio. Gli aztechi ritenevano che Tlaltecuhtli divorasse i corpi delle vittime sacrificali e ogni giorno ingoiasse il Sole al tramonto. Questo spiega la presenza dell' immagine della dea sulla tomba reale: al momento della morte il sovrano veniva metaforicamente comparato al Sole del tramonto o delle eclissi. Ma il monumento fornisce anche altre informazioni. Tra gli artigli della zampa destra è scolpito un glifo composto dalla testa di un coniglio collegata a dieci pallini, che per gli aztechi indicava la data 10-Coniglio, cioè l' anno 1502 della nostra era, quello della morte del sovrano. Altri due pallini escono dalla parte opposta della testa e indicano l' anno 2-Coniglio che, oltre ad essere una data calendariale, è anche il nome del dio del pulque, una bevanda alcolica prodotta col succo dell' agave. La presenza di questo glifo non sembra casuale: proprio la divinità del pulque era infatti associata all' anno 1500, quando la città fu devastata da una violenta alluvione e il re rimase ferito sbattendo la testa contro una colonna mentre cercava di fuggire dal suo palazzo invaso dalle acque. Furono proprio le conseguenze di quell' incidente, avvenuto sotto l' egida del dio del pulque, a causare la morte del potente Ahuitzotl nel 1502.

La scoperta della lastra scolpita era in qualche modo attesa perché l' area centrale di Città del Messico è sovrapposta ai resti di Tenochtitlan, la capitale degli aztechi, la cui mappa è perfettamente conosciuta grazie alla documentazione lasciata dai antichi cronisti. Questo fa sì che gli archeologi sappiano esattamente sotto quale palazzo della città attuale sia nascosto questo o quel monumento azteco; ciò spiega perché sono andati a cercare la tomba reale sotto le macerie di un palazzo recentemente abbattuto Corriere della sera, 23/11/2006