La Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittima la legge 40 sulla fecondazione assistita. I giudici della Consulta hanno bocciato l'articolo 14, comma 2, della norma, nel punto in cui prevede che ci sia un "unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre" di embrioni. Viola la Costituzione anche il comma 3 dello stesso articolo, nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna. La Corte, infine, ha dichiarato inammissibili, per difetto di rilevanza nei giudizi principali, la questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 6, inerente l'irrevocabilità del consenso della donna, e dei commi 1 e 4 dell'articolo 14. La decisione della Consulta è stata anticipata oggi con una breve nota.
«Così si apre all’eugenetica. E le donne sono più a rischio»
L'intervista a mons. Sgreccia dopo la sentenza della Consulta sulla legge 40 in merito alla fecondazione assistita
Che ne pensa, eccellenza?
«Mah. Così non va, né per il bene degli embrioni né per il bene della donna. È contraddittorio. Ora si toglie il limite di tre embrioni, giusto? In questo caso si rischia di arrivare alla selezione eugenetica, che però la stessa legge, in un articolo rimasto integro, continua a proibire! E poi: la Corte osserva che manca il riferimento alla tutela della salute della donna proprio mentre, con questa sentenza, viene messa in pericolo! Che senso ha? Guardi, non conosco le motivazioni e sarà anche la ristrettezza del comunicato. Però... ».
Però?
«Francamente, riesco a capire il significato letterale della bocciatura decisa dalla Consulta ma non il senso. Che motivo ha, quale intenzione?».
Tra i sostenitori della legge 40 c’è chi dice: poteva andare peggio.
«Non è una mai una grande consolazione. Comunque, sia chiaro: questa non è una legge cattolica né siamo stati noi a volerla. Il pensiero della Chiesa è contrario alla fecondazione assistita, sconsigliamo alle donne di farla».
E allora?
«E allora questa soluzione evita almeno disastri peggiori e salva le cose più importanti. Perché si metteva un limite di tre embrioni al massimo?».
Già, perché?
«Per limitare il danno agli embrioni, è evidente. Ridurre il sacrificio, il rischio di soppressione indiretta. La legge, tra l’altro, non impediva di impiantarne uno per volta, come stanno facendo in molti: la soluzione più efficace, perché più sono e più s’impicciano tra di loro. Ma non basta: si trattava di proteggere le donne, la loro salute».
Chi ha presentato ricorso vedeva nel limite un vincolo contro le donne che desiderano figli.
«Togliendo quel limite, impiantando 4, 5, 6 embrioni e così via, ci saranno rischi di gravidanze plurime, difficili. E in più aumenteranno le gravidanze "ectopiche", cioè fuori posto, fuori dell’utero, con la necessità di intervenire chirurgicamente. Non riesco davvero a capire la logica: è in contraddizione con quanto prescrive la Corte, quando poi dice che il trasferimento di embrioni va fatto "senza pregiudizio della salute della donna". Appunto! Così, invece, i danni aumentano».
E il rischio eugenetica?
«Senza limite è chiaro che saranno sacrificati molti più embrioni. Il medico può essere tentato di selezionarli. E rispetto all’impianto della legge non ha senso: si espongono gli embrioni allo spreco o alla necessità di congelarli, ma il testo vieta tali pratiche e riconosce i diritti del concepito».
Diceva di non capire lo scopo di tutto questo...
«Aspetto le motivazioni. Qual era l’intenzione della sentenza? Non certo di favorire l’impianto, dato che meno embrioni si mettono e più è facile. Visto così sembra una specie di gioco a peggiorare le cose senza dirlo. Di arrivare a un obiettivo senza dichiararlo, visto che la legge proibisce l’eugenetica»,
Che conseguenze potranno avere queste modifiche?
«Staremo a vedere. Certo, se si vuole buttare all’aria la legge per rifarla allora è tutto chiaro. Ma non può essere questo lo scopo della Consulta. Questione di serietà. Se voleva bocciare tutto allora doveva dirlo, ma un ritocco marginale che lascia in piedi il più della legge...Non so, è tutto un po’ strano».
Corriere della Sera, 02/04/09
Continua il disinteresse riguardo a :
-conseguenze della fiv sulla donna (tumori ecc.);
-consueguenze della fiv sui nati vivi:
http://www.adnkronos.com/IGN/Esteri/?id=3.0.3133456278
http://salute.agi.it/primapagina/notizie/200903211502-hpg-rsa0010-art.html
http://www.italianotizie.it/leggi.asp?idcont=2574
-mortalità embrionaria e fallibilità della tecnica (ci sarebbero cure per la sterilità molto più efficaci, meno rischiose, ma meno redditizie: http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=971 ):
(La fecondazione artificiale) pratica che per l’anno 2007 - e sono i dati forniti dalla relazione del sottosegretario - è stata messa in atto su 55.000 coppie per un totale di 75.000 tentativi e che ha visto l’inizio di 11.685 gravidanze con la nascita di ben (sic!) 9137 bambini. Ciò significa che delle 55.000 coppie che hanno fatto ricorso alla fivet ben 45863 sono tornate a casa senza il bambino desiderato, nonostante la reiterazione per molte di esse dei tentativi ( 75.000 per 55.000 coppie). Significa inoltre che, se 75.000 tentativi hanno ottenuto la nascita di 9137 bambini, gli embrioni appositamente prodotti e avviati a morte sono stati più di 190.000 se per ogni ciclo se ne sono usati 3, come consentito dalla legge, e circa 140.000 se ne sono stati prodotti e impiantati solo due, ipotesi che può valere per una parte minoritaria dei tentativi, nel caso, meno frequente, in cui la donna non sia vicina ai 40 anni d’età. ( Marisa Orecchia)
Fecondazione, bocciata la legge 40
Consulta: "No a limite di tre embrioni"
ROMA - La Corte Costituzionale boccia la legge 40 sulla fecondazione assistita. I giudici della Consulta hanno infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 2, della norma, nel punto in cui prevede che ci sia un "unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre" di embrioni. Viola la Costituzione anche il comma 3 dello stesso articolo, nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna. La Corte, infine, ha dichiarato inammissibili, per difetto di rilevanza nei giudizi principali, la questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 6, inerente l'irrevocabilità del consenso della donna, e dei commi 1 e 4 dell'articolo 14.
Il ricorso. A fare ricorso alla Corte, con tre distinte ordinanze, sono stati il Tar del Lazio e il Tribunale di Firenze, ai quali si erano rivolti, rispettivamente, la World association reproductive medicine (Warm) e una coppia non fertile di Milano affetta da esostosi, una grave malattia genetica (con tasso di trasmissibilità superiore al 50%) che genera la crescita smisurata delle cartilagini delle ossa. Le questioni di legittimità costituzionale riguardano, in particolare, l'articolo 14 (commi 1,2,3 e 4) che prevede la formazione di un numero limitato di embrioni, fino a un massimo di tre, da impiantare contestualmente, e vieta la crioconservazione al di fuori di ipotesi limitate. Davanti alla Consulta è stato impugnato anche l'art.6 (comma 3) della legge 40 nella parte in cui obbliga la donna, una volta dato il proprio consenso alle tecniche di fecondazione assistita, all'impianto degli embrioni, escludendo così la revoca del consenso. Queste norme - secondo i giudici del Tribunale di Firenze e del Tar del Lazio - sono in contrasto con diversi principi tutelati dalla Costituzione. In particolare con l'art.3, sotto il profilo della ragionevolezza per il mancato bilanciamento tra la tutela dell'embrione e la tutela della esigenza di procreazione visti la "mancata valutazione della concreta possibilità di successo della pratica da effettuare" e il "mancato riconoscimento al medico curante di ogni discrezionalità nella valutazione del singolo caso".
La legge 40, secondo i ricorsi, realizzerebbe una "irragionevole disparità di trattamento" tra le donne in condizioni fisiche diverse che si sottopongo alla fecondazione assistita. E ancora: il diritto alla salute verrebbe leso in caso di insuccesso del primo impianto, in quanto la donna è costretta a sottoporsi a un successivo trattamento ovarico, ad "alto tasso di pericolosità per la salute fisica e psichica". Infine, anche la prevista irrevocabilità del consenso sarebbe in contrasto con l'art. 32 della Costituzione che "vieta i trattamenti sanitari obbligatori se non imposti per legge nel rispetto della dignità umana". Dinanzi alla Corte si erano costituiti, oltre alla Warm, numerose associazioni favorevoli a una pronuncia di illegittimità (Hera onlus, associazione Luca Coscioni, Cecos Italia, Sos infertilità, Amica Cicogna, Madre provetta e, tra le altre, Cittadinanzattiva), mentre a chiedere che la legge non venisse toccata, e che dunque la Corte si pronunciasse per l'infondatezza o l'inammissibilità, erano stati il Comitato per la tutela della salute della donna, la Federazione nazionale dei centri e dei movimenti per la vita. Ma anche il governo, attraverso l'avvocatura generale dello Stato, ha chiesto ai giudici costituzionali che la legge 40 rimanesse tale e quale perché "il legislatore ha effettuato una ragionevole comparazione tra l'interesse della donna al buon esito della procedura di procreazione medicalmente assistita e la tutela dell'embrione". Relatore delle cause era il giudice costituzionale Alfio Finocchiaro.
Reazioni. "Una bella notizia, non c'è che dire e la magistratura non è la prima volta che ci salva". E' il commento sulla decisione di illegittimità della Corte Costituzionale del ginecologo Carlo Flamigni che aggiunge, parafrasando Alessandro Manzoni per il quale "la c'è la provvidenza" e "noi diciamo la c'è la giustizia".
"Se, come pare, la decisione della corte ha come obiettivo quello di eliminare il divieto di creare più di tre embrioni e dell'obbligo di impianto degli embrioni creati, si produrrà come inevitabile conseguenza la possibilità di selezionare gli embrioni migliori e scartare gli altri", avverte il professor Alberto Gambino, ordinario di diritto privato e direttore del Centro di ricerca in scienze umane dell'Università europea di Roma.
"Ciò - insiste il giurista - finisce per stravolgere la disciplina in materia di procreazione assistita dettata dal parlamento, in quanto il legislatore ha previsto la procreazione artificiale come uno strumento per porre rimedio a problematiche relative alla capacità di procreare e non invece - conclude Gambino - come strumento per operare soluzioni eugenetiche". (Il Foglio, 2 aprile)