Obbedire alla realtà.
Di Francesco Agnoli (del 19/03/2009 @ 19:12:02, in Scuola educazione, linkato 1358 volte)

Sono reduce da una gita a Roma, nella capitale dell’Italia e della cristianità, con due simpatiche colleghe e le mie care alunne, 33 trentine, in viaggio di istruzione, o, come dicono alcuni, di distruzione. Abbiamo visto la Roma dei Cesari e la Roma dei papi, la loro incomparabile bellezza. Abbiamo anche osservato la Roma risorgimentale: solo lapidi, insegne piene di retorica e l’altare della patria, così eccessivo, pacchiano, artificioso: ingombrante residuo di una ideologia defunta. Vivendo cinque giorni fianco a fianco con le mie alunne ho potuto conoscerle meglio, comprenderle più a fondo.

Nelle gite, come nei campeggi in montagna che facevo da ragazzo e che mancano sempre di più alle nuove generazioni, si conoscono le persone: i piccoli imprevisti, le difficoltà, gli intoppi che le circostanze ci pongono davanti, svelano la solidità dei caratteri, la tempra delle personalità. C’è chi osserva con curiosità le grandezze di un tempo, e si lascia trasportare dall’amore per le nostre radici, e chi, vivendo isolato dalla storia degli uomini che lo hanno preceduto, in una forma di individualismo sempre più drammatica, pensa solamente alla sera, all’uscita nel locale, o alla maglietta firmata da acquistare assolutamente, per poterla sfoggiare al ritorno. C’è, ancora, chi reagisce sempre serenamente, col sorriso, senza lasciarsi turbare, senza dare peso alle cose da nulla. Di solito ha dietro una famiglia bella, unita. E c’è, invece, chi appare in balia degli eventi, e davanti all’imprevisto si arrabbia, perde il controllo, la calma, la gioia di essere lì, con gli amici, in una città splendida. Perché? Perché siamo sempre meno abituati ad obbedire alla realtà. Mi sono reso conto, osservando le mie ragazze più fragili, che l’obbedienza è una virtù fondamentale per fare fronte alla vita. Direi, facendo il verso a Bacone, che alla realtà si comanda solo obbedendole. Le si obbedisce, sino a diventarne “padroni”, a non lasciarsi mai sopraffare troppo da essa, se si è imparato ad obbedire nel corso degli anni. Chi sono i giovani più fragili? Quelli che hanno obbedito di meno, anzitutto ai loro genitori: o perché quest’ultimi erano troppo impegnati altrove, o perché assenti (ahi il divorzio!), o perché così poco credibili da non poter chiedere nulla ai loro figli. Mio padre, mi ha confidato una alunna, mi ha chiesto una sera: con chi esci? Allora lo ho guardato, e poi ho risposto: adesso, a diciassette anni mi fai questa domanda? E prima dove eri? Fino ad ora perché non mi hai chiesto nulla? Ora cosa vuoi? Nella vita ci sono entrata da sola, e continuerò ad affrontarla da sola… Ma non passare, nella vita, attraverso l’obbedienza ai genitori, è qualcosa di tragico: significa non essere accompagnati nella realtà da chi è più forte, da chi ha le gambe solide per camminare e per insegnarci a farlo; vuole dire essere buttati, improvvisamente, nel caos del mondo come un piccolo bimbo che fosse spinto sui grandi viali di Roma, pieni di macchine e traffico, quando ancora non muove i primi passi! Si inizia così una vita che sappia adeguarsi alla realtà, rimanendone padroni: obbedendo. Prima ai genitori, poi a Dio e alle sue leggi, alle leggi dello Stato, e anche alle croci che incontriamo per la strada.

 L’uomo obbediente è quello che dinanzi all’imprevisto, alla difficoltà, alla malattia di un figlio, li affronta, chinando il capo, senza lasciarsi andare, anzitutto, alle recriminazioni. Non perde la trebisonda come quell’alunna che per un piccolo fastidio, o per un po’ di male al pollicione del piede, si infuriava, mandava maledizioni a destra e a manca, divenendo, anzitutto, tiranno di se stessa. Ma quanti piccoli tiranni, dall’asilo all’università, stiamo allevando, oggi, in questa società sfasciata, senza padri, senza autorità, senza famiglia, senza regole, senza Dio? Quanti tiranni che un domani tortureranno se stessi, la loro moglie, i loro amici, la loro vita, dinanzi a questa realtà imperfetta e misteriosa, ma pur tuttavia grande, che vorrebbero sempre forgiare a loro misura?

Se vedessi ora, dopo questa gita, alcuni genitori, ad udienza, direi loro: tornate ad essere presenti, a farvi rispettare, a comandare. Tornate ad essere obbedienti, anzitutto voi stessi, alla realtà del vostro rapporto coniugale, alla realtà del vostro compito di genitori! Crescerete, così, figli forti, persone formate, sicure, capaci dinanzi all’ ostacolo imprevisto, di canticchiare , di ridere, di scherzarci sopra; capaci di quell’antiche virtù dell’autodominio, della temperanza, dell’autocontrollo, del sacrificio, senza le quali tutte le scorciatoie con cui cerchiamo di dominare la realtà, dall’aborto, al divorzio, al buonismo educativo, si rivelano per quello che sono: strade senza uscita, vicoli ciechi, in cui ci si perde e si smarrisce il gusto per l’esistenza. Chi sa obbedire alla realtà e alle sue fatiche, al proprio compito, sa ringraziare per tutte le cose belle che ci sono state donate, e persino per le croci. Gli altri imprecano e maledicono, a vuoto, una realtà che si fa tanto più ostile quanto più noi stessi ci rifiutiamo di accettarla e di viverla, coi suoi limiti, e vogliamo farcene padroni. Il Foglio, 19/3/2009