Viste le continue polemiche sollevate da sinistra e da personaggi come Igino Rogger contro le decisioni del PATT e dell'assessore trentino Panizza di ricordare l'anniversario di Andreas Hofer, riteniamo opportuno ripubblicare la storia di un uomo che si spese per nobili ideali, con senso della patria, ma nessuna velleità nazionalista. Un uomo di fronte a cui l'ambiguo Cesare Battisti , socialista, ferocemente anticlericale, grande amico di Mussolini, sostenitore indefesso dell'entrata dell' Italia nella I guerra mondiale, contro il parere dei trentini e degli italiani, fa una povera figura. Nonostante gli sforzi, iniqui, di una certa storiografia ideologica, di esaltarlo, e , nel contempo, di dimenticare i veri eroi della nostra terra.
1796, 1799, 1806, 1809, date che segnano i momenti esplosivi della resistenza delle popolazioni italiane all’invasione delle armate francesi, repubblicane prima, imperiali poi, e al tentativo di impianto e diffusione del sistema politico e sociale uscito dalla rivoluzione francese, sentito come estraneo e, quindi, avversato, tanto nella originaria versione giacobina, rappresentata in Italia dal Bonaparte generale del Direttorio, quanto in quella, in apparenza moderata e addirittura antirivoluzionaria, che ha il suo campione sempre nel Bonaparte, divenuto intanto Primo Console e Imperatore.
Grazie a questa nuova apparenza Napoleone, se da una parte si aliena le simpatie dei repubblicani duri e puri, dall’altra conquista il consenso di un buon numero di esponenti dei ceti dominanti che al momento della prima invasione nel 1796 si erano mostrati avversi alle idee rivoluzionarie. Si tratta però di ambienti ristretti, nobiliari e borghesi, particolarmente sensibili agli allettamenti del denaro, degli onori, del potere. Il popolo si mantiene radicalmente avverso e ogniqualvolta si apre uno spiraglio di speranza passa dalla resistenza passiva a quella armata. Se nel 1796 e nel 1799 le insorgenze popolari accompagnano passo passo le tappe dell’occupazione francese fino ad investire, nel ’99, in un’unica fiammata l’intera penisola, nel 1806 la resistenza, condizionata dalla diversità di eventi e situazioni, si localizza. Prendono così le armi a sostegno dei loro sovrani legittimi (legittimi in quanto garantiscono la religione, l’appartenenza, i costumi) a nord gli abitanti del Ducato di Parma e Piacenza, a sud le popolazioni del Regno di Napoli, sottoposte, dopo quella effimera del 1799, ad una nuova e più durevole invasione. Questa volta si tratta non di instaurare una utopica repubblica giacobina, ma, in apparenza, solo di sostituire un nuovo sovrano all’antico. Tuttavia i popoli non si lasciano ingannare e intuiscono non esservi differenza di sostanza fra la repubblica partenopea degli intellettuali utopisti e feroci e la impennacchiata monarchia murattiana.
Questa consapevolezza è comune agli abitanti del Tirolo, che, a cavalcioni delle Alpi, unisce popolazioni di lingua tedesca ed italiana. Fra la fine del 1805 e l’inizio del 1806 i tirolesi debbono, come i napoletani, subire un mutamento di governo. La pace di Presburgo (26 novembre 1805) sancisce la vittoria di Napoleone sull’Austria e assegna, il Tirolo ad un alleato della Francia, il re Massimiliano di Baviera, il cui governo, guidato da un affiliato alla setta degli Illuminati, il conte Maximilian-Joseph von Montgelas, si è fatto strumento della rivoluzione. In realtà i tirolesi, gente di pace, non si sottraggono, attraverso i loro rappresentanti, al giuramento di fedeltà al nuovo sovrano, richiesto dai costumi dell’epoca. Pretendono però l’impegno a rispettare i loro ordinamenti civili e religiosi. Tuttavia le promesse del re bavarese si rivelano ben presto di gamba corta.. Già all’inizio della primavera 1806 il Montgelas, attraverso l’opera del conte Carlo d’Arco, nominato governatore della nuova provincia (ribattezzata Baviera del Sud), dà inizio alla politica di ostilità alla Chiesa cattolica auspicata da una setta che intende estirpare il cristianesimo dalla faccia della terra.
Primo obiettivo il controllo della gerarchia ecclesiastica e delle manifestazioni religiose tanto radicate nel costume popolare tirolese. Il programma perseguito è efficacemente sintetizzato dal segretario del conte d’Arco in questa breve formula: “La separazione dei due poteri che reggono la società non è più neppure concepibile e invece tutto esige la più completa centralizzazione dell’autorità”. Dal momento che viene messa a rischio la religione il governo bavarese perde ogni legittimità agli occhi dei tirolesi, che se ne sentono confermati nella loro tradizionale fedeltà agli Asburgo. L’antica casa regnante qualche anno prima, di fronte ai primi segni dell’irritazione popolare, aveva avuto l’abilità di comprendere il mortale pericolo annidato nelle idee dei philosophes di Francia e di Germania, dalle quali quasi tutte le case regnanti europee si erano lasciate contagiare, e di rinunciare alla politica ecclesiastica, anche questa di ispirazione illuministica, degli imperatori Giuseppe II e, soprattutto nella fase iniziale del suo regno, Leopoldo II. Qui la radice del Tirol’s Erhebung, la sollevazione del Tirolo, nella quale assume un ruolo dapprima relativamente modesto, poi via via di sempre maggiore importanza Andreas Hofer, titolare di una avviata osteria a Sand in Passiria, che ne riassume le ragioni nel motto “per Dio, l’Imperatore, la Patria” e nell’invito ai compaesani a prendere le armi per “ciò che a ciascuno è caro”. Scrive Lorenzo Dal Ponte, discendente di uno dei comandanti degli “sizzeri” (versione trentina del tedesco schutzen), che “protagonista della storia è il popolo”, affermazione che trova proprio nelle insorgenze la miglior conferma.
Il popolo ha però necessità di simboli intorno ai quali riunirsi, e di uomini ai quali concedere la propria fiducia, facendone i rappresentanti degli ideali e delle passioni per i quali in quel momento tutti sono disposti a combattere e a morire. Sta negli autori e nella ragione della scelta la radicale differenza di questi capi usciti dalle fila del popolo, nel quale quasi sempre rientrano non appena passata la necessità che li ha evocati, rispetto agli Alessandro, ai Cesare, ai Napoleone. Tuttavia ciò non significa che la loro presenza, il loro carattere, le loro personali convinzioni siano prive di effetti sullo svolgersi degli avvenimenti e, in bene e in male, sul modo di operare degli uomini che ne riconoscono l’ autorità.
Nel caso dei tirolesi la scelta, inspirata dalla loro profonda e tenace fede cattolica , fu particolarmente felice. Andreas Hofer, al pari della grande maggioranza degli altri capi delle insorgenze antirivoluzionarie di tutta Europa, pur godendo del rispetto e dell’ammirazione di quanti lo seguono e obbediscono, non è stimato per le sue qualità di grand’uomo o, ancor meno, di grande generale. Al contrario di quanto avviene in quegli stessi anni per Napoleone, nessuno dei suoi montanari si batte per lui, perché trascinato da un suo particolare carisma, da una di quelle forme di fascinazione che talvolta emanano anche dai personaggi più oscuri della storia (o forse soprattutto da loro). E’ ragionevole credere che Hofer non sarebbe stato scelto quale comandante prima dei volontari della sua Passiria, poi di tutti gli insorti e infine insediato per comune consenso a Innsbrck nel breve momento del trionfo quale “Comandante Superiore del Tirolo”, se fosse stato diverso da quello che era, ma è altrettanto certo che solo perché Hofer era Hofer e perché l’orgoglio, l’ambizione e, nonostante tutto, nemmeno lo spirito di vendetta, non avevano presa su di lui che l’insorgenza tirolese conservò le caratteristiche di una guerra conforme alla definizione cristiana di guerra giusta1, combattuta senza odio per un nemico che per quanto feroce e crudele restava pur sempre figlio dello stesso Dio. Hofer, che alla volontà divina riporta vittorie e sconfitte, non perde, difatti, occasione per sottolineare le ragioni essenzialmente religiose della sollevazione ai suoi montanari, ai quali in un momento drammatico, quando lo sconforto invade gli animi, ricorda che “si tratta di religione e di Cristianesimo”.
Senza dubbio Hofer, che già nel 1796 aveva preso parte alla difesa del passo del Tonale in occasione della prima invasione francese, possedeva virtù militari e capacità di comando. Ne dà prova fin dall’inizio della sollevazione, nell’aprile 1809, partecipando, alla testa dei reparti della Passiria e del Sarentino, alla prima liberazione di Innsbruck e, alla fine dello stesso mese, a fianco delle truppe austriache del generale Chasteler, a quella di Rovereto, che determina l’abbandono di tutto il Trentino da parte dei franco-bavaresi (in questa circostanza sono con lui anche i montanari delle valli di Sole e di Non e delle Giudicarie). Ricaduta Innsbruk nelle mani dei francesi a seguito della sconfitta patita dagli austriaci a Eckmuhl, Hofer è alla testa dei montanari nelle due battaglie dell’Iselberg (25 e 29 maggio), che consentono il recupero della capitale del Land. Tuttavia il successo è di breve durata. L’Austria, sconfitta a Wagram, è costretta ad accettare la tregua di Zuaim (12 luglio), preludio alla pace di Vienna (14 ottobre), che sembrerà sancire il dominio napoleonico sull’intera Europa continentale. Il maresciallo François-Joseph Lefebvre, duca di Danzica, entrato in Tirolo alla testa di 40.000 uomini (francesi, bavaresi e sassoni), il 31 luglio rioccupa Innsbruck.
Tuttavia i tirolesi, rimasti soli a fronteggiare la super-potenza francese, non si rassegnano. Il 4 agosto un gruppo di montanari, al comando di un altro celebre insorgente, l’oste Peter Mayr, attacca e volge in fuga un forte reparto di sassoni in marcia su Bressanone. Appresa la notizia Hofer, ritiratosi nella sua Passiria in attesa di riunirsi ai compaesani se questi “si riuniranno e diranno: combattiamo per Dio la Religione e la Patria”, come si legge in un suo proclama, raggiunge i combattenti. Alla loro testa il giorno 7 infligge a Mauls una cocente sconfitta all’orgoglioso maresciallo, che, indignato per la fuga dei sassoni davanti a “contadini”, è uscito in forze da Innsbruck per punire i ribelli. Inseguendo i francesi in ritirata, il 12 agosto Hofer è, alla testa di 18.000 insorti, nuovamente sotto le mura della città due volte presa e due volte perduta. Il mattino del 13, dopo che tutti hanno devotamente assistito alla Messa celebrata dal padre cappuccino Gioacchino Haspinger e si sono comunicati, ha inizio la terza battaglia del monte Isel, la più sanguinosa, perché il duca di Danzica non è disposto ad accettare una nuova umiliazione. Tuttavia, dopo un altro giorno di scontri, il francese, consapevole che la battaglia è perduta, ma anche che la causa tirolese è, dopo la sconfitta dell’Austria, disperata, nella notte fra il 14 e il 15 abbandona la città.
Se sul campo ha dato buona prova di sé è nel breve intervallo di pace seguito alla terza vittoria dell’Isel che Hofer, Oberkommandant del Tirolo, esplica in pieno le pacifiche virtù dell’ autentico cristiano. La sua attività di governatore civile è anzitutto indirizzata alle necessità fisiche e morali di una popolazione duramente provata prima dalle prevaricazioni della oppressiva e odiosa occupazione bavarese, poi dalle difficoltà di quattro intensissimi mesi di guerra con continui ribaltamenti di fronte. Si tratta di provvedere ai bisogni dei corpi in una situazione di mancati raccolti e di continue requisizioni militari, ma anche di evitare o, quanto meno, ridurre, le conseguenze negative della guerra sulla religione e sui costumi, ciò che gli sta sommamente a cuore, perché Hofer è prima di tutto e in sommo grado un uomo religioso. Sono significativi al riguardo i suoi provvedimenti che vietano il ballo e ordinano la chiusura delle osterie in occasione delle feste e delle cerimonie religiose. Altri, ancora più penetranti, mirano a sostenere le famiglie e a rimettere ordine in quelle sconvolte dalla guerra e dal continuo passaggio di truppe straniere e ad imporre ai padri di bambini nati da relazioni illegittime di prendersi cura dei figli e delle madri. Si tratta di una breve parentesi. Napoleone padrone d’Europa non può tollerare l’eccezione tirolese adesso che ha tutte le truppe a disposizione per cancellarla. Già alla fine di settembre il Tirolo è aggredito dal Salisburghese, dalla Carinzia e dal Trentino, che per primo è preso d’assalto dalle truppe del Viceré Eugenio. Ai primi di novembre tutto sembra finito e Hofer offre la resa, pregando di “trattare il popolo con bontà e riguardo” e assicurando che “in tal caso nessun individuo delle truppe proverà il minimo fastidio”.
Al contrario la repressione è terribile e quando due colonne francesi invadono la Val Passsiria, movendo una da Merano l’altra da Vipiteno, i valligiani condotti da Hofer le sconfiggono entrambe. E’ l’ultima fiammata. In dicembre Andreas, che ha rifiutato salvacondotti per riparare in Austria, si è ritirato in una baita del Riffel (boscosa montagna nei pressi di San Martino in Passiria). Qui trascorre il Natale 1809 in compagnia della moglie e del figlio Giovanni. Qui, tradito per denaro da un certo Raffl (passerà alla storia col nome di “Giuda del Tirolo”), viene arrestato il 27 gennaio 1810. Condotto a Mantova vi è sottoposto ad un processo farsa, il cui esito è già stato fissato da Napoleone, che ha ordinato al Viceré Eugenio Beauharnais di “giudicarlo e fucilarlo sul posto dove arriverà il vostro ordine. Che tutto venga conchiuso in ventiquattro ore”. Inutilmente i mantovani si tassano per pagare un avvocato che gli garantisca una effettiva difesa. Andreas Hofer viene condannato e fucilato il 20 febbraio.
Sono queste eroiche virtù cristiane ad imporre a contemporanei e posteri rispetto e ammirazione per la figura di Hofer, campione della fede. Fra i contemporanei Carlo Botta, che pure militava dall’altra parte della barricata, avendo partecipato nel 1799 come medico dell’armata francese alla prima invasione del Regno di Napoli, scrive di lui: “Andrea… era uomo di retta mente e di incorrotta virtù. Vissuto sempre nella solitudine dei tirolesi monti, ignorava il vizio e i suoi allettamenti… non era in lui ambizione, comandò richiesto, non richiedente. Di natura temperatissimo non fu mai veduto né nella guerra sdegnato né nella pace increscioso… Le palle soldatesche ruppero in Mantova il patrio petto d’Andrea, lui non che intrepido, quieto in quell’estrema fine. Ostò ad Andrea l’età perversa; fu chiamato brigante, fu chiamato assassino. Certo se le lodi sono stimolo alla virtù, lacrimevole e disperabil cosa è il pensare al destino d’Andrea”.
Centocinquant’anni più tardi Albino Luciani, allora Patriarca di Venezia, gli indirizza una delle sue splendide lettere agli “Illustrissimi” che meriterebbe di essere riportata per intero. Vi si legge fra l’altro: “Voi, l’albergatore di S. Leonardo in Val Passiria, avete combattuto due sorta di battaglie: prima siete stato soldato regolare nella guerra contro i francesi nel 1796 e nel 1805; partigiano, siete poi stato il capo e l’anima dell’insurrezione popolare tirolese contro i bavaresi e i francesi del 1809. Ed è la conduzione incredibilmente abile e coraggiosa di questa guerriglia, che ha strappato ammirazione agli stessi generali napoleonici e vi ha fatto entrare per sempre come eroe nel cuore del popolo tirolese “. E ancora: “A Mantova prima del supplizio, benediceste, come un patriarca, i compagni inginocchiati intorno a Voi e, ricusata la benda degli occhi, attendeste in piedi la scarica". Sulla spianata dell’Iselberg, presso Innsbruck, vi hanno eretto una statua. Sul piedistallo è scritto: “Per Dio, per l’Imperatore, per la Patria”. Francesco Mario Agnoli