Col suo proverbiale senso dell’umorismo, Woody Allen ha detto che si vive una sola volta, e qualcuno, a ben vedere, neppure una. Niente di più vero. Il mal di vivere, e quindi il vivere “relativo” cui accennava Allen, oggi, contamina le coscienze di milioni di giovani fino a tramutare, agli occhi loro e non solo, la galera spirituale del nichilismo in una prospettiva tutto sommato piacevole, o quanto meno consolante.
I segni della svalutazione della vita sono ravvisabili ovunque: dall’impennata del consumo di droghe alla pornografia, giusto per rimanere a livello individuale, per poi giungere, sul piano collettivo, ai cosiddetti nuovi “diritti”, vale a dire divorzio, aborto ed eutanasia; il tutto sigillato – e non potrebbe essere altrimenti - da quello che Giovanni Paolo II chiamava ateismo pratico di massa, la potentissima chiesa del nuovo millennio.
Questo già immane disastro si accentua all’idea, purtroppo suffragata dalla realtà, che nel momento in cui uno disprezza la propria esistenza maltrattandosi e immolando sé stesso sull’altare del piacere, fatica pure a dare un senso alla vita altrui. Il nostro essere persone e non animali qualsiasi, infatti, è primariamente fondato sulla relazione: siamo sempre frutto di una relazione, dal concepimento al parto, dall’amicizia al matrimonio.
Dequalificando o anche solo relativizzando il valore costitutivo della relazione in nome di una non meglio precisata libertà, non facciamo altro che spalancare le porte a quel vuoto, ancorché seducente nell’immediato, di certo incapace di orientarci sulla lunga distanza. Ecco, allora, che fanno il loro ingresso le suggestioni del nichilismo, così ammalianti e letali. Da questo punto di vista, l’ultimo lifting del Nulla è il benessere economico, ovvero il grande inganno del danaro; emo ergo sum: compro dunque sono, guadagno quindi esisto. Senza inoltrarci in questi pur stimolanti terreni di riflessione, ci limitiamo per adesso a constatare che in verità nemmeno il Nulla trancia la relazione, bensì la incatena: anziché a persone, iniziamo infatti ad affezionarci a cose, zavorrandoci al materiale più di quanto, per ovvie ragioni, lo fossimo da prima.
Appesantiti dal materialismo, una volta che nelle relazioni anteponiamo la convenzione alla convinzione, l’interesse al sentimento, subiamo progressivamente il fascino prometeico del potere, dentro e fuori: l’anarchia divampa in noi e fatichiamo, anche nei momenti di difficoltà, ad accettare consigli che non siano incitamenti, parole che non siano lodi. Chiunque osasse, tanto a più fin di bene, mettere in discussione il nostro sospirato isolamento, incorrerebbe in sonori ammonimenti. Questo, insieme alla svalutazione della relazione, spiega perché si corre sempre più il rischio di rapporti fragili: ciascuno è disponibile ad ogni confronto, purché questo non implichi una rimessa in discussione del proprio mondo e della propria inviolabile “libertà”.
Dopotutto, la grande offensiva del Nulla, come accennavamo poc’anzi, trova un gran punto di forza proprio in questo suo esser divenuta invisibile. Anzi, peggio ancora: gradevole, stimolante, divertente. Come rinunciare a qualcosa di bello per dar retta a precetti morali dagli accenti masochistici? Messa così, in effetti, sarebbe arduo anche per il più abile trascinatore proporre alternative alla ricetta individualistica della vita. Il punto spesso e volentieri taciuto è che, talora ignorandolo, nel momento in cui decidiamo di ripudiare ogni morale per ritagliarcene una su misura, compiamo a nostra volta una scelta moralmente definibile. Ecco perché occorre diffidare di quanti, ebbri di un certo buonismo, affermano di battersi affinché tutti abbiano una propria morale: costoro lo fanno esclusivamente per lavarsi una volta di più la coscienza, e per scongiurare il rischio che un domani qualcuno possa, a buon diritto, ammonirli e correggerli. Lo fanno per paura.
A questo punto disponiamo di diversi elementi utili per decifrare l’inganno soggiacente al piacevole orrore del Nulla, ossia quella Libertà assoluta e incondizionata, impermeabile per antonomasia a tutto, anche all’amore. Se difatti accettassimo l’idea che i sentimenti possano condizionare – com’è giusto – , forgiandola, la libertà di ciascuno, allora saremmo portati a concludere che un assoluto, se c’è, non può che essere la Verità, non altro. Ma così facendo vibreremmo un colpo mortale al Nulla, che verrebbe spogliato – si perdoni il paradossale gioco di parole – della sua invisibilità, il che ci costringerebbe, non senza fatica, a ridisegnare l’architettura della nostra esistenza. Ma la pigrizia e la paura cui accennavamo poc’anzi, sono scorciatoie troppo comode.
Possiamo dunque comprendere le ragioni per cui taluni, purtroppo sempre più, dedicano di sacrificare la propria vita e di viverla fino ad un certo punto, e mai del tutto. Vivere pienamente costa, non ha senso nasconderlo. Ma è anche l’unica strada che possa compiutamente portarci ad un’autorealizzazione non individualistica, bensì personale, in grado cioè di riconosere alla relazione e al dono il valore essenziale che rivestono per ciascuno di noi.
Esistiamo nella misura in cui sappiamo aprirci al prossimo, tutto il resto è una stupenda perdita di tempo.