Di fronte ai fatti dell'attualità, è bene riscoprire le radici della nostra storia, e riandare alle origini di quell'istituzione ospedaliera che è una delle grandi novità del cristianesimo, come ho scritto qui: http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=753
A tal fine riporto la bellissima tratatzione fatta dal medico Luca Poli, sull'opera caritativa ed assistenziale che ancora caratterizza la nostra civiltà:
Troppo arduo sarebbe tracciare in questa sede anche solo i lineamenti più generali dell'opera caritativa creata dalla Chiesa nel corso della sua gloriosa bimillenaria esistenza. Trovo però indispensabile darne almeno qualche direttiva del tutto generale (e per forza di cose, largamente incompleta), per almeno alludere alla incarnazione storica - di cui tutti i figli della Chiesa dovrebbero essere fieri - dei principi ispiratori sopra illustrati. In estrema sintesi, è possibile suddividere questa veloce ricognizione in tre periodi: Periodo ecclesiastico: dall'età apostolica alla fine del Medioevo; Periodo statale o laico: dalla fine del Medioevo (Umanesimo e Rinascimento) al secolo dei lumi culminato con la Rivoluzione Francese; Periodo illuministico e liberale (la medicina nella "Società degli uomini liberi") perdurante ad oggi.
Periodo ecclesiastico
In questa prima fase, che va - come ricordato - dall'età apostolica alla fine del Medio Evo, la carità della Chiesa presiede e determina direttamente le istituzioni assistenziali. Nasce l'Istituto Ospedaliero, in cui troviamo tutte le caratteristiche delle fondazioni religioso ecclesiastiche (ispirazione soprannaturale, organizzazione tecnica locale, amministrazione fiduciaria). La medicina monastica e gli Ordini Ospedalieri sembrano rappresentare i due elementi più rappresentativi di questa epoca.
L'alto Medioevo e la Medicina monastica
Dopo che nell'anno 326 Costantino ebbe dichiarato il Cristianesimo religione ufficiale, la Chiesa trovò finalmente via libera nelle proprie espressioni sociali: i benefici effetti che ne conseguirono non tardarono certo a rendersi evidenti. Infatti, nella generale decadenza di ogni istituzione seguita alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, ed alla travolgente bufera delle invasioni barbariche in Italia, nessun autorità civile si preoccupava dei popoli vessati ed immiseriti, decimati dalle stragi e dalle epidemie devastanti (specie di malaria e di vaiolo) che minavano le popolazioni e l'economia. Per merito delle chiese e dei fedeli prima, e – dopo il rifiorire dell’VIII secolo – a cura dei monasteri, si ha un fervido intensificarsi di iniziative tendenti a sopperire alle gravi deficienze dei tempi. Il Cristianesimo manifesta in quest'epoca una particolare opposizione - oltre che alle superstizioni ed alla magia, come ricordato - anche allo scetticismo dilagante, ridonando anzi agli uomini la fiducia in se stessi, spronandoli all'azione, responsabilizzandoli nelle loro opere con il premio promesso a chi meglio operava e rendeva. Nei libri di medicina scritti dai Padri della Chiesa il corpo umano viene considerato come manifestazione armonica e sensibile dei fini della creazione. Accanto a nomi come Clemente Alessandrino (150-215) e Lattanzio Firmiano, figurano quelli di S. Basilio (329-379), S. Ambrogio (340-397), S. Gregorio di Nissa (335-394), Teodoreto (397-457) e in particolare di Teodoro di Siviglia. Costui si occupò dell'etimologia dei termini usati nel linguaggio medico; ma in altri libri trattò anche dell'anatomia, della patologia umorale, del trattamento delle discrasie e del problema della generazione.
Sul piano operativo, è innanzitutto documentata una primitiva forma di carità ecclesiastica ed episcopale diretta, per la cui conoscenza l'agiografia è fonte inesauribile. Quanto profondamente fosse sentita questa responsabilità lo mostra un passo della Vita di San Gregorio Magno (di Giovanni Diacono, II, 29) ove il Santo Pontefice (540 ca.-604, papa dal 590) si proclama assassino, perché un povero in Roma era morto di fame. La Chiesa inoltre fin dai primi secoli proclama l’obbligo giuridico, non soltanto caritativo, dell’assistenza ai poveri. Il Decretum Gratiani riporta vari testi patristici consacranti l’obbligo della hospitalitas. La quadripartizione del patrimonio ecclesiastico, di cui alla nota epistola gelasiana (San Gelasio I, Papa dal 492 al 496), prelude, con l’individuazione dello scopo “cura pauperum”, alla futura personificazione delle molteplici fondazioni a scopo ospedaliero. È ancora in questo periodo che nel silenzio e nella pace dei chiostri si verifica un evento nuovo, rivoluzionario, destinato a sconvolgere radicalmente in tutto il mondo le usanze ormai millenarie dell'assistenza e della cura dei malati: sorgono, ad opera di religiosi, ospizi per pellegrini o senodochi per forestieri. Era stato S. Pacomio (292-348) a fondare il Monachesimo in Oriente. Egli aveva riunito nella Tebaide circa 5000 cristiani dando loro una Regola.
Il Monastero pacomiano era in origine costituito da un complesso di capanne circondate da un muro, nel quale erano contenuti i vari servizi tra cui l'infermeria, severamente separata dal resto della comunità. Per accedervi occorreva un permesso speciale da presentare ai "ministri degli infermi", i quali vivevano nell'ambito dell'infermeria. In Occidente, il fondatore della medicina monastica fu invece S. Benedetto da Norcia (480-547). I monaci benedettini praticavano un vero culto della ospitalità che a loro proveniva da un assoluto dovere religioso. Infatti la Regola al Cap. 53 sanciva: “Omnes supervenientes hospites tamquam Christus suscipiantur”: a ciò S. Benedetto volle accoppiata una cura disinteressata degli infermi, tanto che il Capitolo 36 della Regola stabilisce: “Infirmorum cura ante omnia et super omnia adhibendum est”. Prima di recarsi a Montecassino, S. Benedetto aveva fondato a Subiaco il primo dei suoi monasteri dedicandolo ai SS. Cosma e Damiano (il Monastero avrebbe poi preso il nome di S. Scolastica, sorella gemella di Benedetto). I SS. Cosma e Damiano, gemelli, medici di professione, dopo essere divenuti cristiani avevano sofferto il martirio nel III secolo, e vennero subito considerati patroni della chirurgia e delle malattie infantili.
A Montecassino, per l'assistenza medica esistevano le infermerie. Ma curare un malato non voleva dire solo assicurargli un giaciglio, dargli da mangiare e da bere: significava anche saper lenire i suoi dolori, medicargli le piaghe, curare le malattie "interne", le più difficili da capire. Per tutto ciò occorreva una conoscenza medica che non si può improvvisare: e occorreva soprattutto una "continuità" in questa assistenza, anche per quanto riguardava la disponibilità di medicamenti. Nacque allora la figura del Monacus infirmarius (o “custos infirmorum”), a cui ricorreva pure, specie nei casi di malattie gravi, anche la popolazione locale per avere cura ed assistenza. Egli aveva tra l'altro l'incombenza di istruire i novizi che avrebbero dovuto proseguire la sua opera: un principio di scuola per l'insegnamento della medicina. E nel monastero nacquero anche gli "orti dei semplici" per coltivare le piante medicamentose, da essiccare poi e conservare nei massicci armadi dell'armamentarium pigmentariorum, prototipo della futura farmacia monastica. L'assistenza fu in primo tempo limitata entro le mura del monastero, ma in seguito il monaco infirmario uscì all'aperto per curare anche i malati non monaci. Tra i tanti meriti di coloro che animavano i conventi - non solo benedettini - v'è anche quello di aver raccolto, conservato e copiato antichi codici. Nelle celle e nelle biblioteche gli amanuensi copiarono sulle pergamene con pazienza e perizia i testi di Galeno, di Celio Aureliano, di Rufo d'Efeso, di Plinio. In breve Montecassino divenne un centro importantissimo di studio, specie verso la fine del IX secolo, dove accorrevano studiosi da ogni parte d'Italia e d'Europa. Lo stesso si verificò per altri monasteri, come quello di S. Gallo, di Bobbio, di Fulda, di Chartres, della Germania e dell'Irlanda. A questo punto fece la sua comparsa nel linguaggio comune un neologismo d'ispirazione classica, che a prima vista potrebbe sembrare un po' ermetico: xenodochio. Ma è presto detto: significa semplicemente ospizio, al quale fecero presto corona altri termini più comuni come le case di Dio, gli ospizi per Crociati, quelli di confraternita e corporazioni, gli ospedali, i lebbrosari. Sono l'espressione più viva ed eloquente dello spirito delle prime comunità cristiane, che traducono il concetto che il malato - accettato in nome di Dio - dev'essere "servito" in ogni modo. Egli è il vero signore dell'Istituto di ricovero.
Per merito del Cristianesimo il Medioevo diviene quindi l'espressione massima della carità verso il prossimo, come pacificamente ammesso da tutti gli storici della Medicina. Le grandi epidemie, le malattie, la povertà, sono rese più tollerabili proprio dall'opera delle confraternita e delle congregazioni, degli ospizi, delle infermerie, degli ospedali, degli ordini cavallereschi creatori di xenodochi. Gli antichi ospedali sorgono – tutti – sulle grandi strade di comunicazione, sulle vie del pellegrinaggio, fossero queste dirette a Compostela, a Roma o in Terrasanta: lungo il «Camino» attraverso la bassa Francia, i Pirenei e i Cantabrici, lungo la via Francigena attraverso le Alpi e gli Appennini, e lungo la via Romea da Aquileia attraverso l'Umbria e l'Alto Lazio c'era la possibilità di soggiornare ed essere sfamati, ma anche di essere curati e assistiti in caso di malattie e di ferite provocate dalla presenza di rapinatori e banditi. Gli ospedali in origine furono nient’altro che ospizi per pellegrini, e scaturirono dalla carità dei religiosi, o dalla carità privata coordinata dalla Chiesa (munificenza di principi o carità di popolo, donazioni, etc), o per alienazione diretta di beni della Chiesa per costruire Ospedali etc (Ospedali di S. Lazzaro lungo la Via Emilia).
Complesso degli Ospitalieri, antico xenodochio, Altopascio.
Gli Ordini Ospedalieri - loro Statuti e Regole
A partire dal secolo XII hanno un singolare rilievo gli Ordini Ospedalieri: il loro atto di nascita ed il loro punto di partenza, dai più antichi ai più recenti, furono e rimangono gli stessi per tutti: la "magna charta" della carità e il mandato evangelico "curate infirmos": in concreto: "Caritas et scientia". Storicamente l'origine degli Ordini Ospedalieri è da ricercarsi negli ordini religiosi cavallereschi o militari sorti dall’ambiente della Terrasanta nel periodo delle Crociate e del Regno franco cristiano latino di Gerusalemme. Gli Ordini Ospedalieri fanno dapprima sorgere le loro case sulla via litoranea dei pellegrini in Puglia dal 1096 al 1270. Sul Gargano erano già sorti - sulla via che porta al santuario di S. Michele Arcangelo - ospizi per i pellegrini longobardi.
Tra i secoli XI e XIII le coste del basso Adriatico furono basi di imbarco e sbarco per i crocesignati. Sulla via litoranea detta “dei pellegrini” sorsero, a sistematiche distanze, le case degli Ordini Ospedalieri, che ebbero una spiccata funzione sociale religiosa. Creando una fitta maglia alla penetrazione delle epidemie in Europa, abbinando alla missione sociale quella di preparazione religiosa, gli ospedali e gli ospedalieri del basso Adriatico ebbero grande importanza per la storia della medicina, con spunti particolari di psicoterapia ed igiene. Primo e sovraeminente tra di essi lo “Ordine religioso militare degli Ospedalieri o dei Gerosolimitani di San Giovanni” poi detto di Rodi o di Malta, che aveva allora a Barletta la casa madre d'Italia e d'Europa. Gli altri più antichi Ordini Ospedalieri, quelli che sopra gli altri hanno operato maggiormente in campo europeo (Santo Spirito di Montpellier, Sant'Antonio, S. Giacomo di Altopascio, SS. Maurizio e Lazzaro, S. Maria della Mercede, Ospedalieri di Roncisvalle, Trinitari ed altri), vivono - come religiosi - con la regola di S. Agostino, e come ospedalieri con gli Statuti dei Gerosolimitani (1125-1153). Molti ospedali, specie nelle regioni d'Europa più lontane da Roma, sono indipendenti l'uno dall'altro, governati e assistiti da altrettante piccole congregazioni maschili e femminili, germinate in genere dai grandi Ordini Monastici, quali i Benedettini, i Canonici Regolari, i Premostratensi, i Crocigeri, i Domenicani, gli Agostiniani. Anche i loro Statuti, quelli che a tutt'oggi si conoscono, ci danno le proporzioni della carità a cui si ispirano, e l'alta tonalità e validità della deontologia sanitaria-assistenziale da essi indicata e prescritta.
1.L' Ordine gerosolimitano degli Ospedalieri di S.Giovanni
L'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme (divenuto successivamente Ordine dei Cavalieri di Malta), gestiva in origine ad Amalfi un ospizio per ricovero dei pellegrini. Dopo che nel 1099 i crociati conquistarono Gerusalemme, l'ospizio fu ingrandito nell'ospedale di S. Giovanni Battista. Successivamente per merito di questo stesso Ordine sorsero altri ospedali e ospizi in altri luoghi. "L'ordine di Malta - è stato scritto dallo storico prof. Sterpellone - ha svolto nella storia dell'assistenza sanitaria e del soccorso ai bisognosi pagine meravigliose". La loro regola fondamentale non porta il nome del fondatore (il beato Gerardo, italiano di Amalfi), ma dell’organizzatore dell’Ordine, il francese Raimondo Dupuy che visse e dettò le sue norme nei primi anni del secolo XII in Terra Santa, ove l’Ordine ebbe vita e fortuna nel quadro delle organizzazioni promosse dal movimento e dalle funzioni delle crociate sviluppandosi in un primo nucleo di “fratres hospitarii” fioriti all’ombra dell’Ospizio di Santa Maria Latina in Gerusalemme. La regola raimondiana, approvata da papa Eugenio III prima del 1153, è databile attorno al 1118, ma l’Ordine è già citato come operante in una bolla di papa Pasquale II del 1113. Erano dei fratres che erano divenuti – per ragioni storiche – anche dei veri milites che lottavano armi alla mano per la difesa del regno latino di Gerusalemme. Al Cap. 16 della Regola c’è l’obbligo al ricevimento dei malati, si tratta quindi di un ordine ospedaliero; altri capitoli della regola riguardano i doveri fondamentali (i tre voti della professione religiosa), le prescrizioni relative al vitto ed all’abito, e le preghiere dovute al confratello dopo la morte.
2.L'Ordine Ospedaliero di S. Spirito
Questo Ordine, contemporaneo di un altro Ordine Ospedaliero (quello dei Trinitari, approvato come il precedente dal Papa Innocenzo III), viene unanimemente indicato come il vero precursore dell'assistenza ospedaliera e sociale. Ad esso, fondato a Montpellier alla fine del XII secolo da Guido di Montpellier, il Papa Innocenzo III concesse nel 1204 il nuovo Ospedale romano di S. Maria in Saxia (Arcispedale Apostolico), che nel 1228 con Gregorio IX diverrà l'Ospedale di S. Spirito in Saxia, casa generalizia o priorato, cui provvidero in seguito per la successione di autorità i Pontefici. L' Ordine si allargò poi ed estese in tutta Europa, Asia, Africa, America del Sud con oltre 1250 fondazioni ed aggregazioni. Essendo lo scopo precipuo di quest'Ordine quello di alleviare le sofferenze umane, sotto qualsiasi aspetto, i suoi ospedali pullulavano continuamente di malati, di bambini abbandonati, di ragazze-madri, di viaggiatori bisognosi.
A Montpellier gli stessi frati andavano una volta la settimana nelle case e per le strade a scovare coloro che avevano bisogno di assistenza o di ricovero. I suoi Statuti ci sono tramandati nel famoso "Liber Regulae S. Spiritus". Fu il primo Ordine a professare lo specifico quarto voto di assistenza agli infermi (imitato molto più tardi dai Camilliani, il cui fondatore, S. Camillo de Lellis, aveva fatto il tirocinio proprio nell'Ospedale di S. Spirito di Roma). Notevole la sua multiforme attività assistenziale, nella quale scorgiamo l'azione precorritrice nei confronti dei grandi Ospedali del Quattrocento e di successive istituzioni a carattere sociale.
Nelle Case di S. Spirito infatti si ravvisano, oltre l'ospedale: il "reparto di maternità", la "ruota" con il "brefotrofio" e il "baliatico", lo "orfanotrofio", il "gerontocomio", il "lazzaretto", la "casa di salute" per gli abbienti, un abbozzo di "istituto di redenzione sociale", lo "ambulatorio", il "posto di pronto soccorso" e il "dispensario" ove si curavano, si rifocillavano e assistevano ambulatoriamente ammalati e poveri (nella "casa" di Roma circa un migliaio al giorno). Una volta ricoverato, il malato diveniva il "padrone", e i frati si mettevano al suo "servizio" (erano semplicemente laici che avevano professato i tre voti classici dell'obbedienza, della povertà e della castità).
Gli infermi venivano trattati da "signori" non solo perché in loro si intravedeva Nostro Signore, ma anche perché essi erano considerati "padroni" dell'Ospedale, dei suoi beni e dei frati. Pertanto i ricoverati venivano serviti con sollecitudine scrupolosa: … "domini sunt pauperes quorum servos nos esse fatemur … fratres non querant amplius ex debito nisi panem et aquam" (Cap. VI: “I poveri sono i padroni di cui noi ci dichiariamo servi … i frati non chiedano nulla più del dovuto all’infuori di pane ed acqua”). Come per la prima volta nella storia della ospitalità si assiste al quarto voto di assistenza agli infermi, così pure si rileva l'obbligo ai frati di andare a cercare gli ammalati e trasportarli all'ospedale con una specie di carriola a quattro ruote: primo tipo di lettiga ambulanza: "Pauperes infirmi per vicos una die cuiuslibet ebdomade et per plateas querantur et in domum Sancti Spiriti deferantur, et cura eorum diligentissime habeatur" (Cap. XL: “Un giorno stabilito in settimana si cerchino i poveri ammalati nelle vie e nelle piazze, e vengano portati nella casa di Santo Spirito, e si abbia di loro diligentissima cura”). Con l'esplicito obbligo … "ad curam et servitium pauperum principaliter intendendo" (“occupandosi principalmente della cura e del servizio dei poveri”), la Regola sottintende il possesso da parte dei frati o di alcuni di essi, delle cognizioni mediche e chirurgiche del tempo da attuare nei loro ospedali.
Tant'è che nei primi secoli non comparvero nomi di medici estranei nelle "Case" di questi religiosi, la cui fama aveva invogliato ad accorrervi persino nobili ed abbienti. Gli Statuti - attuati nelle norme essenziali fin dalla seconda metà del sec. XII e perfezionati nella riforma del sec. XIII - si limitano a norme generiche di assistenza tecnica, perché modificabili nel tempo; tuttavia un certo interesse suscitano alcune sue disposizioni igienico-sanitarie.
Così la pulizia degli infermi, fin dall'accettazione era demandata alle suore: "Sorores infirmis die Martis capita, die Jovis pedes abluant (Cap. XLII: le suore lavino ai poveri il martedì la testa, il giovedì i piedi”). I lebbrosi e gli altri infetti venivano segregati in reparto di isolamento "… in domo Sancti Spiritus provideatur … in aliquo loco domus" (Cap. LI). Si evitavano i rigori dell'inverno distribuendo … "in hieme lancis vestibus" (Cap. XXXIX). Per norma cautelativa di constatazione di decesso i morti, fino alle esequie, dovevano essere assistiti vis a vis con le candele accese ed essere sepolti il giorno successivo al decesso: "non sine lumine jaceant in feretris … sepeliri usque in crastinum differantur" (Cap LVIII: non era in voga la pratica dei trapianti d’organo). La dietetica veniva somministrata secondo le necessità e la carne, al bisogno, non mancava tutti i giorni, poiché riguardava soltanto i frati la norma: "carnes vero non comedant nisi ter in hebdomada … nisi causa infermitatis" (Cap. XLI: “non mangino carne più di 3 volte in settimana se non per causa di malattia”). L'assistenza spirituale - con la benedizione lustrale, la celebrazione della S. Messa in corsia, la confessione, la mensa eucaristica dispensata a letto, le varie processioni e funzioni religiose (contemplate nei Capp. XII, XIV e XVIII) - ravvivava la fede, induceva conforto, rassegnazione e speranza nella guarigione: fattore non trascurabile anche di indole psico terapeutica. Ben precise erano contemplate le norme riguardanti il buon funzionamento dell'Ospedale e persino le pene per i frati, le suore e gli inservienti inadempienti. Ricordiamo soltanto che gli orari e la disciplina venivano rispettati con scrupolosità; e che ogni "Casa" disponeva di tutti i servizi igienici ben appartati e della spezieria.
Quella di Roma, per esempio si rese famosa per la preparazione della corteccia di china, introdotta sotto il Pontificato di Urbano VIII (1623-1644) e sperimentata proprio in S. Spirito. Nello stesso Ospedale (e forse anche negli altri) riscontriamo la prima organizzazione dei cooperatori-benefattori: ne ricorda l'istituzione in Roma il "Liber fraternitatis", considerato, con i suoi 500 fogli, la più vasta raccolta di autografi, con i più bei nomi di regnanti, di principi e della più eletta aristocrazia religiosa e civile d'Europa. Continuando a spigolare il "Liber regulae" restiamo edificati dalle norme di carattere anche squisitamente sociale praticate nelle "Case" di S. Spirito. Come è ancor visibile nel prototipo di quella di Roma, esse disponevano provvidenzialmente di una "ruota" e di un "baliatico" per raccogliere ed allevare, senza pericolo di possibili infanticidi, il frutto di connubi irregolari. Questi bambini poi, insieme con gli orfanelli e gli abbandonati, davano vita ad un "orfanotrofio"; mentre le donne gestanti formavano un "reparto di maternità" in cui era consentito il velo al viso onde permettere loro di sbarazzarsi, senza preoccupazioni, dell'ingombrante fardello … "orphani, infantes proiecti … pauperes feminae pregnantes sucipiantur et eis charitative ministretur" (Cap. XLI: “gli orfani, i bambini abbandonati e le povere donne incinte vengano accolti e serviti con carità"). Di non trascurabile interesse troviamo l'assegnazione di una singola culla ad ogni bambino: … "ad opus infantium peregrinarum mulierum qui in domibus Sancti Spiritus nascuntur, parva cunabola fiant ut seorsum soli iacentes ne aliquid incommodi infantibus possit evenire (Cap. LIX: “per i neonati delle donne ospiti che nascono nelle case di Santo Spirito siano disponibili piccole culle in cui possano giacere da soli, affinchè non possa venire ai piccoli nessun disturbo). La continuità poi della permanenza nell'istituto - sia per i bambini divenuti grandicelli, come per i vecchi, guariti - era subordinata al parere del Superiore, relativo anche al bisogno di inservienti e alla disponibilità nel "gerontocomio": "senes et pueri in discrezione preceptori permaneant" (Cap- LXI). Per le ragazze invece la Regola permetteva che, all'età propizia, "maritali coniugio copulentur" (“si uniscano in matrimonio”), dandole in spose, con relativa dote e corredo, dopo una pittoresca cerimonia di tre processioni all'anno, durante le quali le candidate venivano adocchiate e scelte dai giovinotti. Quelle però che … "ad servitium pauperum rimanere desiderant" dovevano votarsi alla professione religiosa: … "vivere sub oboedientia et in castitate et sine proprio ad curam pauperum principaliter intendendo, promittunt" (Cap. LXXVI). Non sfugge poi l'importanza sociale del collocamento di questi trovatelli presso famiglie di contadini e di cittadini, che generalmente li adottavano facendo loro dimenticare l'origine irregolare della nascita di cui erano vittime.
Tra le altre iniziative morali e sociali, la missione dell'Ordine si estendeva anche a redimere le donne traviate, permettendo ogni anno un ritiro quindicinale … "mulieres peccatrices, quae pro conservanda castitate in domo Sancti Spiritus per sectimanam sanctam abitare voluerint, usque post octavas pasce, sine contradictione concedatur eis” (Cap. XLVI: “alle donne peccatrici che desiderassero abitare durante la settimana santa nella casa di Santo Spirito fino a dopo l’ottava di Pasqua, per osservare la castità, sia concesso senza discussioni”). Con questo ritiro spirituale, oltre all'adempimento del precetto pasquale, si tentava di ricondurre le poverette a vita onesta e, all'occorrenza, di curarle dalle malattie, evidentemente per lo più veneree. Ricordiamo a proposito l'esortazione di Innocenzo III tendente a favorire la riabilitazione di queste femmine con il matrimonio: … "ut caste vivant ad legitimi tori consortium invitare … "; per facilitarne il compito il buon pontefice elargiva addirittura delle speciali indulgenze a chi le sposava: "… statuimus ut omnibus qui publicas mulieres de lupanari extraxerint et duxerint in uxore, quod agunt, in remissionem proficiat peccatorum" (Balutius S: Epistolarium Innocenti III, Parisiis, Mugnet, 1682, Litt. 112: “stabiliamo che per tutti coloro che fanno uscire le pubbliche donne dal postribolo e le prendono in moglie, ciò giovi per la remissione dei peccati”).