Matteo Carnieletto (un giovane di 18 anni) e Silvia, di 23, ci scrivono sul caso Eluana.
Il caso di Eluana, come a suo tempo aveva fatto quello di Welby, riporta sotto i riflettori la questione dell’eutanasia. I media non si sono lasciati scappare l’occasione, e ne hanno fatto di un caso una bandiera. Purtroppo come capita troppe spesso, vengono affrontati dei temi complessi con un approccio molto superficiale. Dal punto di vita medico, di fatti la questione non è semplice, e intraprendere l’argomento significherebbe addentrarsi in un campo difficile, che richiede sicuramente delle competenze scientifiche particolari. Ma l’eutanasia, deve essere considerata anche dal punto di vista filosofico. Alcuni mesi fa mi sono interessata all’eugenetica, un argomento che spesso viene ricondotto soltanto alla realtà nazista, mentre, in verità, affonda le proprie radici negli Stati Uniti degli anni ’30. Leggendo i quotidiani riguardo alla vicenda di Eluana, ho sentito riecheggiare l’eco dell’eugenetica. Prima di prendere in considerazione alcuni punti per dimostrare quali siano le connessioni esistenti tra eugenetica e eutanasia, e bene però, fare una piccola introduzione su quest’ultima. Il termine “eugenetica” (dal greco eu, buona, e génos, razza), viene coniato nel 1883 da Francis Galton ricco studioso eclettico nato in Inghilterra, e cugino di Charles Darwin.
Galton, amante della quantistica, aveva sviluppato le sue teorie basandosi sulle ricerche che Darwin aveva condotto. Secondo quest’ultimo, nel mondo animale, esisterebbero degli individui con della caratteristiche fisiche più vantaggiose rispetto ad altri, e l’ambiente, o meglio la cosiddetta selezione naturale, permetterebbe maggiore probabilità di sopravvivenza appunto agli individui più “adatti”. Darwin fu molto attento a non applicare lo stesso concetto alla specie umana, esitazione che invece Galton non ebbe, anzi, quest’ultimo fece un passo vanti: non solo dichiarò l’esistenza di individui superiori e individui inferiori dal punto di vista fisico, ma anche da quello morale e mentale. Secondo lo studioso, che si era basato su statistiche, anche vizi e virtù erano trasmissibili di generazione in generazione. Quindi da una famiglia “per bene”, sarebbero nati figli onesti, mentre da una famiglia di condizioni difficili, i figli sarebbero diventati delinquenti come il padre o la madre. La povertà, come la prostituzione e l’alcolismo, vennero identificati da Galton come un carattere ereditario allo stesso modo del talento e dell’onestà. Ma ben più pericolosa fu l’idea che venne elaborata in seguito. Lo studioso infatti constatò che nella società costruita dagli uomini, la selezione naturale era scomparsa, perché anche gli invidi più deboli, come gli ammalati mentali potevano sopravvivere. Era necessario quindi mettere in moto una selezione “artificiale”, che permettesse la sopravvivenza dei più forti e la scomparsa dei più deboli. Tale idea ebbe grande successo negli Stati Uniti degli ani ’30, dove vennero applicate le cosiddette “politiche eugeniste”. Queste avevano lo scopo se non di eliminare i soggetti più deboli (sia dal punto di vista fisico che morale e mentale) almeno quello di evitarne la riproduzione. Si diede, così, il via alle sterilizzazioni e alle segregazioni di tutti quei soggetti considerati “inadatti”. Le conseguenze furono terribili, migliaia di bambini vennero rinchiusi nelle Scuole Statali (dei veri e propri carceri per ragazzini) e si mise in moto una macchina legislativa per favorire la sterilizzazione di molti individui con non solo problemi fisici, ma anche con soltanto condizioni economiche difficili. Nella società degli anni 30 dagli Stati Uniti, e poi in quella degli anni ’40 della Germania, entrò un concetto di persona molto lontano da quello cristiano, cioè si cominciò a valutare il singolo individuo solo per le sue capacità intellettive e fisiche. Famosa è la scena dei ragazzini tedeschi sotto il regime nazista, dediti alla ginnastica fisica, o i concorsi per le famiglie perfette messi in piedi dai potenti d’America. La stessa idea di Galton, che qui sopra ho cercato di riassumere, si basa sul concetto di persona non in quanto tale, ma piuttosto in quanto essere con delle determinate capacità fisiche e mentali. Insomma, se sei sano, forte e capace vali, altrimenti, se la tua capacità di apprendimento è inferiore a quella dei tuoi coetanei, oppure hai qualche malattia fisica vali meno degli altri. Un idea terribile, questa, che viene estremizzata sotto una dittatura (quella nazista) ma prima nel Paese democratico più grande al mondo. D’antonio nelle tristi storie che raccoglie nel suo libro “la rivolta dei figli dello Stato” rende bene l’idea di quali conseguenze abbia portato il concetto di eugenetica applicato alla realtà. Oggi la sterilizzazione e la segregazione ci appaiono ricordi lontani, ma che a guardar bene, proprio così lontani non sono. La società in cui oggi viviamo, anche se in modo silenzioso e apparentemente innocente, sta piano piano riproponendoci l’idea che una persona valga nella misura in cui è sana fisicamente e mentalmente. I modelli che oggi ci vengono proposti sono ben lontani dal prenderci in considerazione così come siamo, con i nostri difetti e i nostri chili in più. Il diverso viene guardato se non con disprezzo per lo meno con quel senso di pietà con cui si guarda un animale ferito.
Oggi diventa improponibile cercare di non interrompere una gravidanza che poi porti alla vita un bambino malato, non perché ci siano delle leggi che lo vietano, come accadeva in Germania, ma perché nelle persone riecheggia l’idea che una vita così non vale la pena di essere vissuta. La mamma in gravidanza allora si sente isolata, tradita da uno Stato che non l’aiuta economicamente abbastanza, e da delle persone che la riterrebbero sciocca a dare alla luce un “handicappato”. E così avviene anche prima del concepimento, quando le studentesse di Haward mettono in vendita i propri ovuli perché belle e intelligenti, e i futuri genitori si scelgono il figlio per catalogo. Niente di così diverso e lontano da quell’eugenetica voluta da Galton, dove per i deficienti, i poveri e i minorati fisici e mentali non c’era spazio. Ma spazio per loro sembra non essercene nemmeno oggi. Le politiche e la cultura non sono tese certo ad accogliere la vita così com’è, un dono prezioso che non può essere barattato. Allora si capisce perché le persone oggi amano il prossimo soltanto per quello che riescono a fare, e non per quello che è realmente sono. Tristi e purtroppo numerose, sono le coppie che si sposano e poi, quando uno dei due si ammala o fa un incidente grave, viene abbandonato dal partener, o genitori che abortiscono perché il figlio ha delle malformazioni. Sembra che pochi oggi abbiano voglia di amare veramente, di fare quella fatica che ci distingue più di ogni altra cosa dal mondo animale. Amare un figlio intelligente e sano è facile, come amare nostra moglie finché è bella e giovane. È quella fatica in più che ci rifiutiamo di fare, mentre preferiamo accontentarci di quel sentimento facile, che non richiede tanti sforzi. Si, perché amare un figlio disabile o un marito malato è difficile. Portare il proprio bimbo avanti e indietro da un ospedale è difficile, non vederlo imparare a parlare e a leggere come i suoi coetanei è difficile, non poterci fare una partita a calcio insieme è difficile. Tutto è difficile. Anche guardare Eluana nel suo letto tutti i giorni per anni è difficile. È difficile perché si danno valore alle cosa sbagliate, perché la persona che ci è davanti non è più un dono unico e irripetibile, ma soltanto qualcuno che ci rende la vita più complicata, che ci ricorda di quanto fragile è la specie umana e di quanto sciocchi siano quelli che pensano di non avere bisogno di Dio. È questo che oggi non riusciamo a fare: amare anche ciò che è difficile amare. E allora si aprono le porte dell’aborto, dell’eugenetica e dell’eutanasia. Eluana diventa un peso, e così anche chi è malato o minorato.
Ma questa idea è un idea folle e pericolosa, perché inevitabilmente ci coinvolge tutti, sani o malati che siamo. Perché tutti prima o poi diventeremo vecchi e deboli, tutti prima o poi ci troveremo nella condizione di dover diventare un peso per gli altri. E allora vorremmo che “gli altri” ci amassero ancora come ci hanno sempre amato, senza guardare se le scale non siamo più capaci di farle e gli oggetti ci pesano di più. Il nostro cuore si chiede allora che cosa è cambiato, perché per lui non è mutato niente, ha sempre bisogno dello stesso amore che ci veniva dato quando eravamo sani e giovani, ha sempre bisogno delle stesse attenzioni e delle stesse parole. Per il cuore di Eluana nulla è variato, il bisogno di amore rimane sempre lo stesso, anzi è diventato più intenso. Ma al crescere di quel sentimento noi abbiamo risposto con l’opposto, l’abbiamo distanziata e guardata con quello sguardo pietoso, lo stesso che usiamo quando guardiamo un cane moribondo. Chissà come si sente ora il cuore di Eluana, probabilmente solo e tradito, tradito soprattutto da quell’uomo che più di tutti avrebbe dovuto regalarle amore puro e incondizionato, l’ultimo che avrebbe dovuto abbandonarla, l’ultimo che avrebbe dovuto considerarla per quello che riesce a fare e non per quello che è, Eluana.
Silvia
Caro Beppino… Leggo sul Corriere della Sera del 19 gennaio ’09 che a Lecco è stata organizzata dai Radicali una fiaccolata per “liberare” Eluana Englaro. A questo corteo era presente anche il padre di Eluana, Beppino, con diciassette rose in mano, una per ogni anno di stato vegetativo della figlia. Alla sfilata erano presenti i membri dell’associazione Luca Coscioni guidati da Marco Cappato e il socialista Riccardo Nencini, “presidente del consiglio regionale toscano”. È bene notare che la gente presente al corteo ha detto di voler liberare Eluana, “ostaggio della politica partitocratica”, senza scorgere chi era in testa al corteo: i Radicali. A noi non interessa far risaltare la contraddizione di coloro che vogliono liberare Eluana dalla politica partitocratica ma che partecipano ad un corteo organizzato dai Radicali. A noi interessa parlare con Beppino. Caro Beppino, possiamo intuire la tua sofferenza, la sofferenza di un padre che da diciassette anni vede la figlia inchiodata ad un letto ma non possiamo accettare il tuo desiderio di staccarle la spina. Beppino, non so se ci leggerai mai, ma voglio regalarti le parole che una mamma ha scritto per il suo figlio cerebro leso morto pochi giorni prima che compisse ventitrè anni:
Buon compleanno Marty, in tutti questi anni non ho mai smesso di ringraziare il Signore di avermi prescelto per fare la tua mamma. La tua nascita non è stata una disgrazia, ma una grazia che il Signore ci ha dato. A volte, ti ricordi, ti chiamavo Gesù. In ogni istante tu me lo richiamavi. Adesso io sono pronta a lasciarti andare perché ho imparato che questa familiarità con Gesù è quella che tu mi chiedi di vivere con tutti, è l’eredità che mi hai lasciato. Ci dici “io ho assolto bene la missione che il Signore mi aveva affidato e la mia vita sarebbe inutile se non fosse richiamo a voi che a vostra volta avete il compito di vivere ogni istante della vostra esistenza come risposta a ciò che il Signore vi chiede”. Te ne sei andato via fisicamente quando abbiamo capito che la carità deve diventare quotidianità nella nostra vita perché l’amore che Dio ha dato a noi dobbiamo donarlo agli altri perché Ti amino, Ti riconoscano e capiscano che non possiamo vivere senza di Te, Signore. Ti prometto Marty di essere fedele all’opera che hai iniziato perché in questi anni ho sperimentato che seguire il Signore attraverso le circostanze anche faticose, corrisponde al desiderio di felicità che c’è nel mio cuore. Aveva ragione S. Agostino, Marty. Lui diceva “non ti chiedo Signore perché me lo hai tolto, ma ti ringrazio, Signore, perché me lo hai dato”. Ciao Marty
Beppino, spero leggerai le parole di questa mamma che ha sofferto per la morte del figlio che molti non avrebbero nemmeno fatto nascere. Lui aveva un compito, anche la tua Eluana ne ha uno. Quel ragazzo ha insegnato alla sua mamma a vivere la familiarità con Gesù, le ha insegnato che “la carità deve diventare quotidianità nella nostra vita”, che bisogna sforzarsi di amare il prossimo. Tutti i giorni, soprattutto nei momenti in cui sembra non esserci più nulla da fare. Tu puoi ancora aiutare tua figlia, puoi dare un senso al tuo e al suo dolore. Puoi non opporti al compito che Dio le ha affidato su di te, proprio come quella mamma che ha definito “grazia” il dono di un bambino malato che le ha insegnato ad amare.
Matteo Carnieletto