La formidabile intuizione di Silvio Berlusconi che ha portato alla nascita del Popolo della Libertà e il suo processo di formazione portano a delle importanti e necessarie riflessioni circa il modo d’essere culturale del centrodestra, riflessioni di grande, direi epocale, portata. Penso che la prima cosa che la nuova formazione dovrà considerare è la necessità di rovesciare una fastidiosissima convinzione che primeggia nell’immaginario comune e che serpeggia trionfante ormai da decenni nelle membra della nostra società e non solo, cioè la convinzione che la “cultura” sia una prerogativa appartenente all’universo della sola sinistra, e che il centrodestra al contrario sia invece costituito da un gregge di pecore che non vede l’ora di tornare a casa a guardare qualche programma spazzatura o che non pensa ad altro che ai famigerati “danè”. Una considerazione falsa e pericolosa, che affonda le sue radici nelle miracolose mistificazioni compiute da quei “geniacci” del 68 e nella scarsa visibilità di quegli intellettuali che non appartengono alla corrente dominante e che finiscono quasi sempre per essere soppraffatti dal fracasso dei tiranni del pensiero. Una tirannia che ha come conseguenza la cosidetta e tanto sventolata “superiorità morale” di una certa e dominante tipologia di pensatori, che così si impongono come portatori di una presunta verità davanti alla quale molti si inginocchiano ciecamente, colti da un abbagliante timore reverenziale. Nel tentativo di ristabilire cos’è il vecchio e cos’è il nuovo, il centrodestra deve recuperare quell’”élan vital” necessario per scardinare questa ridicola convinzione e investire in una forza capace di fronteggiare i luoghi comuni sesantottini che, come spesso accade, non si traducono in altro che noiosi (ma purtroppo efficaci) slogan da piazza. In altre parole, deve rinconquistare quella “Grandeur culturale” che legittimamente gli spetta. Per fare questo, sarà importante investire nella formazione giovanile, in quei giovani che rappresenteranno la sintesi vivente delle varie correnti culturali che sono il corpo e l’anima del nuovo soggetto politico all’insegna di un moderno e vincente conservatorismo, che forte e orgoglioso del suo background filosofico-politico, tenga lo sguardo rivolto al futuro. Ma vi è di più, bisogna creare (o riscoprire) un modello di agire politico nuovo, connotato da una “forma mentis” che sappia coniugare il successo del pragmatismo, con l’eleganza, lo spessore spirituale e quel “Je ne sais quoi” che solo l’amore per la Storia, la Letteratura, la Filosofia e una giusta percezione della centralità della religione Cristiana possono dare. Molti in Italia si muovono già in questa direzione, ma è interessante guardare anche all’estero, come ad esempio alla mia amata Inghilterra. Prendete Boris Johnson, Sindaco di Londra, deputato Tory, giornalista, Storico, una persona dotata di quella nobile schiettezza, così preziosa e rara. Il suo ultimo libro, “The dream of Rome”, con uno stile frizzante e piacevole fa un confronto tra gli odierni tentativi di integrazione Europea e l’unificazione dell’Europa sotto Ottaviano Augusto, rilevando come i primi (da buon Inglese) sono destinati al fallimento per il fatto che si fondano pressocchè solamente su motivi economici, e i secondi invece trionfarono grazie all’irresistibile appeal della “Romanitas” esaltato dall’estetica imperiale che spesso attraeva e unificava i popoli, rendendoli desiderosi di far parte dell’universo Romano. Al di là delle teorie esposte, che alcuni possono non condividere, cio che affascina è che la sua passione per la storia non si riduce ad un’asettica e noiosamente accademica analisi dei fatti, ma è una fonte inesauribile d’ispirazione e di idee che non lo distolgono dall’esperienza politica pratica, un impostazione che richiama quella “Lunga experienza delle cose moderne et una continua lectione delle antiche” che sta alla base del più importante libretto di istruzioni per governanti che è “Il Principe” di Macchiavelli. Un modello di conservatorismo dunque, che fugge sia dal gretto pragmatismo dei politicanti senza anima che dal grigio immobilismo di alcuni intellettuali sconnessi dal mondo, un modello per i giovani del centrodestra che col tempo potrà gettare nell’ombra e schiacciare il rozzo snobbismo e l’arroganza della maggior parte intellettuali di sinistra e far (ri)emergere una forte e raffinata aristocrazia culturale, nutrita di principi consolidati nella storia, ancorati al buon senso e necessari per migliorare il futuro. Spero dunque che il Popolo della libertà agisca in questo senso e che anche questo sia motivo di ispirazione per i giovani del Pdl. I giovani conservatori britannici, proprio in questa prospettiva si sono dati il nome di Conservative Future e i Jeunes de l’UMP, formazione giovanile del partito di Sarkozy, proprio per evidenziare la “rupture” rispetto ai vecchi schemi sesantottini tanto auspicata dall’attuale capo di stato francese e nella convinzione che la rivoluzione non è ne di destra ne di sinistra ma di chi la fa, hanno adottato l’azzeccatissimo slogan: “La Revolution c’est nous”.