Dopo le prime indiscrezioni, che parlavano di ospedali toscani e piemontesi, ora pare anche la casa di cura “Città di Udine”, in Friuli, sia sul punto di rifiutarsi di ospitare Eluana Englaro. A farsi avanti, si mormora, sarebbe a questo punto la regione Emilia Romagna, nella quale - se tali voci troveranno conferma – la povera Eluana verrà trasportata, e lì le verranno tolti i sostegni vitali che la mantengono in vita, e cioè alimentazione e idratazione. Non c’è infatti – urge ribadirlo – alcuna spina da staccare: Eluana dorme, si sveglia, apre gli occhi, respira autonomamente, e da qualche settimana le è tornato, dopo anni, anche il ciclo mestruale. A detta di medici che l’anno visitata, sarebbe in grado persino di deglutire autonomamente. Insomma, Eluana è viva, non è affatto in coma. E non è nemmeno, come molti media si accaniscono a ripetere, in stato vegetativo permanente: a partire dal 1996, infatti, a “permanente” – su indicazione dell'International Working Party di Londra - larga pare della letteratura medica internazionale ha preferito adottare il termine “persistente”. Una scelta, questa, dettata in particolare dai diversi miracolosi “risvegli” verificatisi: Patricia White Bull, ad esempio, è uscita dallo stato vegetativo dopo 16 anni, lasciando senza parole gli stessi medici che la seguivano. Questi ed altri straordinari casi, dicevamo, per quanto rari hanno di fatto costretto medici e ricercatori a ripensare molte delle categorie e delle classificazioni adottate sino a pochi anni addietro. All’indomani della sentenza n. 21748, che la Corte di Cassazione emanò lo scorso 10 Ottobre, peraltro facilitando di molto i successivi pronunciamenti su Eluana, Vincenzo Carpino, presidente dell’A.a.r.o.i. - acronimo che sta per Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani - si trovò non a caso costretto ad ammettere che in realtà “non esistono criteri precisi per accertare con sicurezza uno stato vegetativo permanente. Mancano parametri scientifici e quindi protocolli di riferimento”. Se poi si desse un’occhiata all’articolo 1 della recente Convenzione Onu sui diritti delle persone disabili, definite come soggette a “menomazioni fisiche fisiche, mentali, intellettive o sensoriale di lunga durata”, si potrebbe inoltre comprendere come, di fatto, Eluana sia da considerarsi a tutti gli effetti una persona disabile, dal momento che lo stato vegetativo persistente non è di per sé una malattia, bensì una gravissima forma di disabilità. Questo è talmente vero che se alla povera giovane venissero sospese alimentazione e idratazione, la causa della morte risulterebbe essere la disidratazione, non certo altro; la stessa disidratazione che ucciderebbe qualunque essere umano privato di cibo ed acqua. Ci vuole quindi un bel coraggio a definire alimentazione e idratazione “terapie” o, peggio ancora, “accanimento terapeutico”: se proprio si volessero etichettare cibo ed acqua come terapie, sarebbe curioso capire di quale patologie, dette terapie, sarebbero il rimedio; la vita umana, in specifiche condizioni, sarebbe forse da considerarsi una patologia da curare? Il solo buon senso, evidentemente, basta e avanza a ripudiare ogni ipotesi simile. Ma l’aspetto forse più grave di tutta la vicenda di Eluana, a parer mio, è la sovraesposizione mediatica del padre Beppino, sempre pronto a ripetere ai microfoni le proprie ragioni, a scapito dell’immagine della madre della giovane. Eluana, ad oggi, ha una madre? Se sì, che cosa pensa la signora Englaro delle battaglie del marito? E’ curioso notare come le telecamere, all’occorrenza invadenti fino al punto di mostrare, quasi in diretta, l’agonia del Welby di turno, non solo evitino accuratamente di mostrare Eluana – forse perché così l’Italia intera capirebbe che si tratta di una persona, non certo di un “vegetale” – ma non si siano pressoché mai interessate del parere della madre. In tempi di incessanti “fughe di notizie” e di quotidiane violazioni della privacy, un simile atteggiamento, educato e rispettoso, non può che meravigliare. E insospettire. Ripeto: quand’anche la signora Englaro sposasse in toto le posizioni del marito – cosa verosimile – questo non costituirebbe comunque una valida ragione per infliggere alla poveretta il supplizio della disidratazione, ma certo aiuterebbe, giacchè si tratta di una vicenda di pubblico dominio da anni, ad inquadrare meglio la situazione. Allo stesso modo, sarebbe tempo di capire, se c’è, quale ragione spinge i media ad intervistare solo vescovi, cardinali e più in generale membri del clero. Ci sono fior di magistrati, professori universitari, medici e studiosi pronti a spiegare le ragioni per cui trovano ripugnante e inumano sottrarre a Eluana alimentazione e idratazione; eppure, a loro, viene puntualmente preferito il pur autorevole parere di alti prelati vaticani: per quale ragione? Sorge il sospetto che l’immagine della Chiesa onnipotente e onnipresente sia, dopotutto, un artefatto mediatico gradito a molti, a partire dai quotidiani nazionali, abilissimi nel far passare l’idea dell’epocale duello che vedrebbe oggi contrapposti da un lato Beppino Englaro, la magistratura, i medici e la società civile tutta, persino taluni sacerdoti e suore “al passo coi tempi”, e dall’altro un’esigua ma potentissima pattuglia di prelati, il tutto - è il caso di dirlo – in perfetto stile Dan Brown. Posto che valori quali la dignità umana non possono in alcun modo e per nessuna ragione esser mai messi ai voti, andrebbe poi chiarito che senso abbia riproporre in continuazione sondaggi volti a sottolineare, per Eluana e per per altre delicate vicende, come la maggioranza delle persone sarebbe favorevole dell’eutanasia. Perché un sondaggio possa dirsi credibile andrebbero ricordati “dettagli” puntualmente taciuti, e cioè l’entità campione scelto, i metodi con i quali è stato ricavato, quali quesiti sono stati sottoposti e quanti soggetti hanno effettivamente risposto; può sembrare pignoleria ma non lo è affatto: da decenni la sociologia ha dimostrato come il consenso virtuale - chiamiamolo così - quando viene ribadito con insistenza, anche se non è tale, finisce col generare un consenso reale e diffuso. Ciò è tanto più ingannevole se si considera come questi sondaggi vengano di fatto somministrati focalizzando l’attenzione esclusivamente sul singolo caso pietoso, ignorando quindi come una eventuale Legge, giacchè la legge è per definizione sempre astratta e generale, potenzialmente andrebbe a normare non una, bensì infinite situazioni. Soprattutto innescherebbe quello che in gergo si chiama “china scivolosa”, ovvero una inevitabile degenerazione per cui, se all’inizio l’eutanasia venisse pensata per casi giudicati estremi, in un secondo momento andrebbe verosimilmente ad allargarsi, fino a generare scenari quali quelli visto in Belgio, dove pochi mesi addietro è stata depositato un disegno di legge che proponeva eutanasia attiva per i ritardati mentali, a prescindere da età e circostanza. L’imbianchino austriaco che scatenò la Seconda Guerra Mondiale era dello stesso avviso, tanto è vero che i primi ad essere spediti nelle sue camere a gas furono, guarda caso, i menomati e i portatori di handicap. Al di là di queste terribili ma innegabili analogie, reali ragioni per legalizzare l’eutanasia per le persone in stato vegetativo, in un futuro purtroppo non lontano, potrebbero divenire anche i costi: la gestione di una persona in stato vegetativo, infatti, può arrivare a costare fino a 150.000 Euro annui,e se si considera che in Italia vi sono almeno 3.000 persone come Eluana, non ci vuole molto a immaginare come, a maggior ragione in tempi di crisi economica, a qualche cinico politico certi risparmi apparire allettanti. Tornando alla nostra analisi su come viene gestito il dibattito in Italia, non si capisce infine per che motivo, quando si parla di Eluana, i primi a finire in televisione in rappresentanza del mondo medico siano sempre Umberto Veronesi e Ignazio Marino, e cioè un oncologo e un chirurgo. Senza nulla togliere alla loro riconosciuta autorevolezza, sarebbe tempo che le televisioni dessero spazio a chi, di persone in stato vegetativo persistente, si occupa da tanti anni, come ad esempio Giovanni Battista Guizzetti, responsabile di un reparto che accoglie ben venti soggetti in stato vegetativo presso il Centro don Orione di Bergamo. Diversamente, perché non chiamare a Porta a Porta a parlare di Eluana anche un buon ortopedico o un ginecologo di fama? Si tratterebbe, con ogni evidenza, di un parere fuori luogo; stranamente, però, detto ragionamento sembra non valere per Marino e Veronesi, che in qualità di medici prestati alla politica si atteggiano pure - non si è mai capito in base a che titolo - a esperti di bioetica. Occorre ripensare, e in fretta, il nostro modo di guardare a situazioni difficili come quella che vive la povera Eluana, dando realmente la precedenza ad una informazione corretta e completa, altrimenti finiremo tutti col convincerci che, al di fuori di una vita produttiva e vincente almeno in apparenza, non esistano altre soluzioni che cercare la morte, mentre invece, l’unica vera soluzione rimane, prima di ogni terapia medica, sempre la stessa: l’amore. Bertrand Russel ha scritto:”Temere l'amore è temere la vita, e chi teme la vita è già morto per tre quarti”.