Nei giorni scorsi è stata resa pubblica la lettera apostolica che il Papa ha inviato al cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia, per ricordare il settimo centenario della morte avvenuta l’8 novembre 1308 del beato Giovanni Duns Scoto, filosofo e teologo francescano, e per sostenere l’iniziativa del convegno di studi che si è tenuto proprio a Colonia dal 5 al 9 novembre. Benedetto XVI ha ricordato che Duns Scoto «associando la pietà con la ricerca scientifica, secondo quella sua invocazione: "II primo Principio degli esseri mi conceda di credere, gustare ed esprimere quanto è gradito alla sua maestà e innalza le nostre menti alla sua contemplazione", con il suo raffinato ingegno così profondamente è penetrato nei segreti della verità naturale e rivelata e ne ha ricavato una dottrina tale da essere chiamato "Dottore dell'Ordine", "Dottore Sottile" e "Dottore Mariano", divenendo maestro e guida della Scuola Francescana, luce ed esempio a tutto il popolo cristiano».
Non voglio scendere nella controversia che da secoli contrappone la metafisica di San Tommaso d’Aquino a quella di Giovanni Duns Scoto. Se la prima è indicata dalla Chiesa come base sicura per lo studio della teologia, quella di Duns Scoto non ha mai ricevuto un avvallo così esplicito dal Magistero. Bisogna però ricordare in questo tempo, nel quale si celebra la venuta di Cristo e il mistero dell’Incarnazione, che il beato Duns Scoto fu uno dei grandi teologi che approfondirono tale mistero e, soprattutto, fu il grande sostenitore del dogma dell’Immacolata Concezione. Duns Scoto al suo tempo dovette combattere contro la maggioranza dei teologi parigini i quali sostenevano che nessuna creatura poteva essere preservata dal peccato originale, nemmeno la Madre di Dio, secondo l’insegnamento di San Paolo sull’universalità del peccato originale. Già Sant’Agostino si rendeva conto della particolare condizione di Maria la cui condizione esigeva una purezza assoluta. Giovanni Paolo II nell’udienza generale del 5 giugno 1996 spiegò che: «Duns Scoto, al seguito di alcuni teologi del XII secolo, offrì la chiave per superare queste obiezioni circa la dottrina dell’Immacolata Concezione di Maria. Egli sostenne che Cristo, il mediatore perfetto, ha esercitato proprio in Maria l’atto di mediazione più eccelso, preservandola dal peccato originale. In tal modo egli introdusse nella teologia il concetto di redenzione preservatrice, secondo cui Maria è stata redenta in modo ancor più mirabile: non per via di liberazione dal peccato, ma per via di preservazione dal peccato. L’intuizione del beato Duns Scoto, chiamato in seguito il “Dottore dell’Immacolata”, ottenne, sin dall’inizio del XIV secolo, una buona accoglienza da parte dei teologi, soprattutto francescani. Dopo l’approvazione da parte di Sisto IV, nel 1477, della Messa della Concezione, tale dottrina fu sempre più accettata nelle scuole teologiche. Tale provvidenziale sviluppo della liturgia e della dottrina preparò la definizione del privilegio mariano da parte del Supremo Magistero. Questa avvenne solo dopo molti secoli, sotto la spinta di una intuizione di fede fondamentale: la Madre di Cristo doveva essere perfettamente santa sin dall’origine della sua vita. A nessuno sfugge come l’affermazione dell’eccezionale privilegio concesso a Maria pone in evidenza che l’azione redentrice di Cristo non solo libera, ma anche preserva dal peccato. Tale dimensione di preservazione, che è totale in Maria, è presente nell’intervento edentivi attraverso il quale Cristo, liberando dal peccato, dona all’uomo anche la grazia e la forza per vincerne l’influsso nella sua esistenza. In tal modo il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria non offusca, ma anzi contribuisce mirabilmente a mettere meglio in luce gli effetti della grazia edentivi di Cristo nella natura umana». Per questo Giovanni Paolo II proclamando beato Giovanni Duns Scoto lo proclamò anche «cantore del Verbo Incarnato» e «difensore dell’Immacolato Concepimento di Maria» (Omelia della messa di beatificazione, 20 marzo 2003).
La Chiesa indica Duns Scoto anche come modello di pensatore che ha saputo sostenere nella pratica l’armonia tra fede e ragione. Benedetto XVI nella lettera apostolica all’arcivescovo di Colonia ha voluto «richiamare gli animi degli studiosi e di tutti, credenti e non credenti, all’itinerario e al metodo che Scoto ha seguito per stabilire l’armonia tra fede e ragione, nel definire in tale maniera la natura della teologia da esaltarne costantemente l’azione, l’influsso, la prassi, l’amore, piuttosto che la pura speculazione; nel compiere questo lavoro – continua il Papa -, egli si fece guidare dal Magistero della Chiesa e da un sano senso critico in merito alla crescita nella conoscenza della verità, ed era persuaso che la scienza ha valore nella misura con cui viene realizzata nella prassi. Ben saldo nella fede cattolica, egli si è sforzato di comprendere, spiegare e difendere le verità della fede alla luce della ragione umana. Pertanto null’altro si sforzò di fare se non di dimostrare la consonanza di tutte le verità, naturali e soprannaturali, che promanano da un’unica e medesima Fonte». Duns Scoto non fu solo grande teologo sottomesso all’insegnamento della Chiesa che è il Corpo Mistico di Cristo, ma un esempio per gli studiosi dei nostri giorni e anche un protettore di tutti coloro che difendono la vita fin dal suo concepimento. Dio, infatti, incarnandosi ha elevato infinitamente il grande mistero e la grande dignità della vita umana. Gian Pietro Soliani