Il sonno della ragione, si dice, genera mostri, ma i sogni della ragione sono certamente peggio. Il razzismo “scientifico”, infatti, per comune convinzione dei grandi storici che lo hanno studiato, da Leon Poliakov (Il mito ariano) a George Mosse (Il razzismo in Europa), passando per l’ottimo lavoro di Marco Marsilio, “Razzismo, un’origine illuminata” (Vallecchi), è integralmente una creazione moderna, per la precisione un parto dell’illuminismo. Si tratta, secondo la definizione di Mosse, di una “religione laica”: “culla del razzismo moderno è stata l’Europa del XVIII secolo, le cui principali correnti culturali hanno avuto un’enorme influenza sulle fondamenta stesse del pensiero razzista. Questo fu il secolo dell’illuminismo, durante il quale un’elitè intellettuale tentò di sostituire alle ‘vecchie superstizioni del passato’ la valorizzazione della ragione e delle virtù innate dell’uomo”.
Così, nel tentativo di elevare l’uomo, si creò, paradossalmente, il razzismo, e si giustificarono colonialismo, schiavismo, antisemitismo. Il primo fondamento filosofico del razzismo è la negazione del monogenismo biblico, risalente già a Giordano Bruno e poi a David Hume e Voltaire: l’origine degli uomini, per costoro, non può essere la medesima. Adamo ed Eva sarebbero quindi una superstizione biblica, a cui contrapporre il poligenismo, cioè l’origine diversa delle varie famiglie, o razze, umane. Secondo questa idea le donne nere si accoppierebbero talora a degli scimpanzé, “dando vita a creature mostruose fortunatamente sterili”. Nello stesso periodo non mancano gli zoologi e gli scienziati che ritengono l’uomo europeo una scimmia evoluta o che scorgono nei primati e nei negri degli uomini degenerati per i più svariati motivi. La concezione razzista si diffonde così rapidamente che ne possiamo trovare tracce macroscopiche anche in Diderot e Montesquieu. Accanto al poligenismo, un altro concetto gravido di conseguenze in questo senso è “il mito potente della catena dell’essere”, cioè l’idea che debba esistere un “anello mancante” che unisca “l’uomo agli animali in un’interrotta catena della vita”, senza soluzione di continuità. Questa idea di stampo panteista, che non vede nessuna differenza qualitativa tra l’animale e l’animale-uomo, sfocia nella convinzione secondo cui l’animale posto più in alto, cioè la scimmia, è collegato con l’uomo posto più in basso, cioè il negro, costituendo quest’ultimo quel famoso “anello mancante” di cui si è continuato a lungo a favoleggiare. Siamo, si badi bene, ben prima di Darwin, ma l’ idea poligenista e la catena dell’essere vengono abbracciate con grande entusiasmo dai membri delle Accademie delle scienze, da antropologi, zoologi, psicologi, medici…E’ sempre in questa atmosfera dei cosiddetti lumi, che sorgono una quantità di pseudoscienze volte a dare una dignità teorica al razzismo.
Ecco così J. Kasper Lavater, inventore della fisiognomica, per la quale il volto è pieno rivelatore dell’animus del suo possessore. Siamo in un’ottica materialista meccanicista che raggiunge il suo apice con la nascita, negli stessi anni, della frenologia, ad opera di Franz Joseph Gall (1758-1828), convinto che “il carattere di un individuo potesse essere determinato sulla base della configurazione della testa”. Di qui l’appassionato studio dei bernoccoli, delle forme dei crani, della loro ampiezza, e l’idea che il cervello delle persone riveli la loro natura, determinata a priori, di criminali, sacerdoti, filosofi... La ragione umana e la scienza sperimentale, rifiutato Dio e il Mistero, pensano di avere gli strumenti sufficienti per sondare e catalogare l’animo dell’uomo, negandogli la libertà, e cioè la vita spirituale stessa. Prosperano così personaggi come Samuel George Merton (1799-1851) che possiede una collezione di oltre mille crani e che in base alla grandezza del cervello stabilisce le gerarchie razziali. “Morton, scrive Marsilio, si dedicò a riempire i suoi crani con pallini di piombo per effettuare misurazioni accurate” sulla grandezza dei cervelli. “Ne uscirono tre tabelle dove le razze erano gerarchicamente ordinate secondo la grandezza media dei cervelli, tenendo come valido il corollario che l’intelligenza di una razza fosse proporzionale alla grandezza del cervello”.
Se Merton è considerato un grande scienziato in America, in Francia l’esperto craniologo è nientemeno che il fondatore della Società antropologica francese, Paul Broca. Di quest’ultimo, che crede di poter dimostrare che con il progredire della civiltà cresce la massa del cervello, si può ricordare la delusione nell’apprendere che il teschio di Anatole France e quello di Fran Joseph Gall erano più piccoli di quello di un nero! Non ho qui lo spazio per ricordare l’apporto che al razzismo diedero personaggi come James Hunt, fondatore della Società antropologica di Londra - convinto che il primo ostacolo alla conoscenza fosse costituito “dai pregiudizi anti-scientifici e anti-razionali della religione, dei diritti umani e dell’eguaglianza”-, i darwinisti Thomas Huxley e Ernst Haeckel, uno zoologo panteista e razzista che considerava Cristo un semplice uomo, per quanto ariano, e i Vangeli apocrifi i veri Vangeli. Basti, per concludere, ricordare con Mosse che il nazismo avrebbe fuso poligenismo, Lavater, Gall, e compagnia cantante, per provare che “la natura ha scritto sulla nostra faccia il nostro destino e la nostra personalità”. Oggi non è più la faccia, ma sono i geni ad entusiasmare alcuni neoilluministi: la genetocrazia è il nuovo volto del razzismo scientista. (Il Foglio, 18/12/2008)