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Ho raccolto alcune frasi significative sull'aborto di intellettuali laici di sinistra e di Emma Bonino.
Sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano - cosa comune a tutti gli uomini - io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell'aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo... L'aborto legalizzato è infatti - su questo non c'è dubbio - una enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito - l'accoppiamento eterosessuale - a cui non ci sarebbero più praticamente ostacoli. Ma questa libertà del coito della "coppia" così com'è concepita dalla maggioranza - questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi - da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso si è impadronito delle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, le ha vanificate, ha cambiato la loro natura... (Pier Paolo Pasolini, intellettuale comunista, Corriere della Sera, 19/1/1975).
Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il "non uccidere". E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere. (Norberto Bobbio, intervistato sull'aborto da Giulio Nascimbeni, Corriere della Sera, 8/5/1981).
Ho parlato perchè in questi anni che ci separano dalla legge sull'aborto, abbiamo imparato alcune cose e sono cose sconvolgenti: dopo 12 settimane il feto entra in comunicazione con la madre, addirittura gioisce e soffre, è una persona. (quella di oggi è) una generazione molto diversa da quella dei Settanta, dove magari incontravi una donna che ti diceva: "fra sei mesi devo finire il mio libro. E perciò ho deciso di abortire". (Giuliano Amato, Panorama, 15/5/1988).
Intervistatrice: "Emma, perché dici di non voler parlare dei fatti tuoi? Tutto quello che sei oggi è cominciato con un tuo outing. Quando, nel 1975, hai detto di aver abortito (e per questo sei stata arrestata)…". Emma Bonino: "Ho raccontato di aver abortito, non quello che ho provato a farlo". "Puoi dirlo adesso". "Solitudine, umiliazione, rabbia e un gran bisogno che tutto finisse subito…." (Emma Bonino, Grazia, 17/3/2005).
"C'è stato un non detto, probabilmente un non pensato, che oggi mi colpisce più di ogni altro. Da quanto so e ricordo, né durante le riunioni di autocoscienza, né nei documenti in circolazione (dei movimenti abortisti, ndr.), si sono affacciati un timore o un'inquietudine per l'eventualità che il feto potesse risentire dell'intervento, neppure quando si trattava di tecniche pesanti o di gravidanza avanzata…E anche oggi, quando si parla dei pericoli dell'amniocentesi si intende pericolo per la buona riuscita del 'prodotto', non per le sue reazioni di fronte all'ago che penetra nel sacco amniotico. Il dolore del feto non rientra tra quelli 'autorizzati' dai codici sociali, medici, linguistici…" (Anna Bravo, femminista storica, riflettendo, molti anni dopo le battaglie per l'aborto, sul dolore del feto, Genesis, 2005).