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Governo dell'autonomia e deriva verso un'antropologia debole
Di Gianburrasca - 18/10/2008 - Politica Trentina - 1449 visite - 0 commenti

Qualche anno fa, forse due o tre, un quotidiano locale – aveva deciso di pubblicare un mio intervento, nel quale argomentavo alcune mie convinzioni di fondo. In sintesi ciò che andavo sostenendo era quanto segue.

Di fronte agli attacchi più o meno sistematici all'autonomia dell'istituzione provinciale mi sembrava perlomeno ridicolo replicare, da parte dei suoi principali protagonisti politici e istituzionale - richiamandosi a prerogative storico culturali francamente prive di consistenza.

Gli è infatti che - se si ha un minimo di onestà intellettuale per riconoscerlo - il governo dell'autonomia da almeno un ventennio ha reiterato un modello assistenzialista della politica, talmente pervasivo da non escludere alcun ambito della vita pubblica, dalla scuola all'economia, dal welfare alla cultura.

Ciò aveva spinto l'ex parlamentare trentino Azzolini a parlare pubblicamente di "sovietizzazione" del Trentino E' nei fatti che il presidio di tale orientamento annichilente della vitalità di ogni comunità (gli esempi li mostra la storia, nel nostro Paese ma anche all'estero) è stato "garantito" da tutti i governi che si sono succeduti: un ordine di pensiero in qualche modo "bipartisan".

Non devono infatti ingannare gli indicatori di vitalità e qualità della vita che di tanto in tanto vengono sbandierati dalle leadership politiche del momento: lo stesso atlante della competitività delle province e delle regioni (http://www.unioncamere.it/Atlante/) è al riguardo sufficientemente esplicito da non lasciare scampo a semplificazioni o assunti sul profilo del Trentino. Ciò che è vero è che potremmo essere effettivamente un paradigma a cui riferirsi e invece generiamo popolazioni antropologicamente deboli.

Che l'assiologia di riferimento delle formazioni politiche che hanno responsabilità di governo e, ancor più, le implicazioni sulla politica ordinaria, siano fortemente correlate non credo sia soggetto a dubbio.

Se le generazioni degli attuali trentenni, quarantenni, cinquantenni hanno avuto e hanno come ideale del proprio percorso umano anzitutto l'impiego nell'ente pubblico o nel sistema delle casse rurali, significa che il gene stesso dell'imprenditività è stato alterato.

E qui non si tratta di proporre un'inutile retorica sull'imprenditorialità che non c'è: occorre altresì prendere atto di una deriva ormai consolidata di appiattimento delle forze vitali della società locale sugli stereotipi di un edonismo che ha annichilito ogni capacità di reazione.

Ebbene: cosa c'è di nuovo in Trentino da vent'anni a questa parte? La stessa Università - che ha ingigantito la sua presenza sul territorio - quali reali ricadute ha avuto sui giovani, sulle imprese, sulle comunità?

Per non parlare dell'ingombrante immobilismo delle varie mostruosità istituzionali: le varie agenzie e società a partecipazione pubblica che occupano settori inverosimilmente ampi, dal turismo all'informatica, dalla cooperazione alla ricerca, dalla cultura all'agricoltura.

L'esito di questo modello, che procede anzitutto da una cultura e un'antropologia deboli, è un malessere sociale che reclama - quando ne mantiene la forza di farlo, risollevandosi da una situazione anestetica o di vero e proprio disempowerment - un'aria nuova, che dia impulso alla voglia di fare e costruire, smantellando un sistema che fa dell'autoreferenzialità il suo verbo, indulgendo tra l'altro nello specchiarsi nel (presunto) complesso di superiorità del Trentino.

Ben venga quindi la revoca delle prerogative dell'autonomia provinciale: forse, dovendo rimboccarsi le maniche, anche il Trentino comincerà a riconoscere che oltre Borghetto, c'è "un mondo intorno". Un'ultima notazione. Grave è la responsabilità della classe politica che sin qui ha avuto in mano il pallino.

Non è tanto l'eclatanza della tangentopoli provinciale di questa stagione a disarmare: è piuttosto l'endemica mediocrità della classe politica, che ha esibito l'intero spettro di un'incapacità di trainare una terra verso un modello di sviluppo sfidante e affascinante. Fanno veramente sorridere, anzi piangere, le schermaglie tra le fazioni che si stanno affrontando per la tornata elettorale del prossimo 26 ottobre: come se il problema fosse il rischio nazifascista da una parte, e la "magnadora" dall'altra.

Ma non scherziamo! Qui c'è di mezzo il futuro di generazioni che potrebbero essere considerate come risorse anziché come potenziali sudditi da controllare. Ma forse è proprio quello che cerca il potere.

Maurizio Pangrazzi - mauriziopangrazzi@yahoo.it

 

 
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