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Mostrami le mutande e ti dirò chi sei
Di Giuliano Guzzo - 09/10/2008 - Attualità - 1231 visite - 0 commenti
Strampalate solo in apparenza, le provocazioni di Bernardo e Agnoli sulle mutande possono indignare solamente chi non si è mai posto un problema che oramai è una pubblica emergenza, come prova la sempre più diffusa sfilata di indumenti intimi.
La mutanda esibita, scrive Agnoli, è diventata un tratto distintivo, quasi un biglietto da visita. Aggiungo non senza stupore che si tratta, diversamente di quanto capitato a Bernardo, di un fenomeno trasversale, che non riguarda le sole giovani, ma anche i loro coetanei maschi, sempre più decisi a pubblicizzare colore e griffe del loro intimo.
A determinare questa tendenza, che sarebbe eufemistico definire di cattivo gusto, c’è certamente la spinta perversa di una rivoluzione sessuale cominciata quasi mezzo secolo fa’ e che non cessa – ahinoi – di mostrare i propri frutti. A mio modo di vedere, tuttavia, c’è anche dell’altro; nella sfilata delle mutande possiamo leggere la scorciatoia del conformismo, l’inquietudine puerile di “giocare” sempre e comunque, la genitalizzazione dell’amore, il tabuizzazione del desiderio al quale si antepone una tentazione tanto ammaliante quanto fine a sé stessa. Desiderio e tentazione, due parole così vicine eppure così distanti: un po’ come il bisogno e il capriccio. Ancora, le mutande - che etimologicamente parlano appunto di doveroso mutamento – sono lo specchio di una generazione così preoccupata di cambiare, di correre, di stare sempre e comunque al passo coi tempi e le mode, che fatica, dopotutto, a ricordarsi dove sta andando. O dove vuole andare.
A guardar bene, la sovraesposizione di intimo simboleggia pure l’implosione del pensiero critico: ti mostro come sono perché non posso dimostrarti chi sono. Tatuaggi e piercing rientrano anch’essi in questa patetica decorazione del corpo, tesa a nascondere – ma neanche troppo – abissali voragini valoriali.
Colmo dei colmi, chi critica questa epifania nichilista passa pure per bigotto, segno che quelle mutande, ancorchè griffate, per molti sono l’unica bussola rimasta.
Che fine ha fatto, davanti a tutto questo, la Bellezza? Che fine hanno fatto, soprattutto, l’ideale e l’immaginazione, tanto osannati proprio da coloro i quali, facendo il ’68, hanno spianato la strada all’erotizzazione della vita pubblica?
Il Piccolo Principe, nel capitolo dedicato alla volpe, presentava una frase divenuta celebre: non si vede bene che con il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi.
C’è il fondato sospetto che molti giovani e non solo, di quella pur famosa frase, si siano dimenticati da un pezzo.
 
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