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Se fossi un commerciante mi butterei senza esitazione a vendere mutande. Mi guardo intorno e vedo che è una delle merci più in voga: le mutande sono esibite, da uomini e donne, giovani e vecchie, come fossero un elemento distintivo, qualcosa da ostentare, più di ogni altra. Persino delle vecchie, grinzose e spiacevoli, sfoggiano mutande che fuoriescono, composte di filini intrecciati secondo modalità sempre più fantasiose.
Molti giovani, invece di pensare a come divertirsi, gironzolano per le strade portando a spasso i loro indumenti intimi. La mutanda è diventata un segno distintivo, un argomento di discussione, un modo per segnalare una identità; a volte, forse, un tentativo di catturare sguardi, attenzioni, che mancano in famiglia, e nella vita di tutti i giorni. Avviene quello che succede dal 1968 almeno, cioè da quando la moda è divenuta più che mai un modo per costruirsi una identità, almeno esteriore. La prima minigonna è la prima esplosione dell' egocentrismo e della solitudine, due cose che vanno a braccetto. Uomini che perdono il senso, l'idea di cosa sono, il significato del tempo e del rapporto col prossimo, cercano nel vestiario, nell'apparenza, uno sfogo alla loro frustrazione e solitudine interiore. Il variare delle mode non è altro, spesso, che il grafico dell'instabilità psicologica delle generazioni. Metto, smetto, cambio abito… forse un giorno diventerò qualcosa…troverò qualcuno… Così si tenta di segnalare una esistenza, un proprio io, che altrimenti non emerge: magari si ricerca attentamente di apparire trascurati, si finge di non aver alcun interesse per quell'esteriorità che invece è ciò che rimane da mostrare ad un mondo senz'anima, che altro non capisce. E' paradossale: persino i no global hanno le loro boutique, dove comprano indumenti che appaiono stracci, ma che sono, talora, più costosi degli altri. Del resto cosa vuole il mondo? Cosa vogliono la televisione, le riviste patinate, da una donna? L'esaltazione della mutanda, dell'intimo sbattuto dovunque, è l'esito estremo della rivoluzione sessuale: del sesso elevato a elemento di identificazione. Prima il sesso se ne stava nascosto, al suo posto: mediano, come la sua posizione nel corpo, quasi a dire che sopra di esso vi è la testa, lo spirito, e che sotto ci sono i piedi, la terra. Quasi a simboleggiare che il sesso ha un significato se usato secondo la sua natura ed il suo fine. Sono quarant'anni, invece, che il sesso viene "liberato", che si sposta pian piano dal centro sino al cervello, e alla fine ha preso il sopravvento: siamo tutti diventati, in fondo, una semplice parte, la nostra parte genitale. Di lì passano la moda, il divertimento, i nuovi medicinali, persino la possibilità di re-inventarsi una vita, emigrando dalla condizione di esseri naturalmente eterosessuali (cioè complementari), alla condizione di omosessuali o di transessuali (e cioè sterili). La "felicità" dovrebbe essere somma: il basso ha preso il posto dell'alto, il corpo ha guadagnato il dominio sullo spirito, gli istinti animali hanno rovesciato l'autorità tirannica della testa… La rivoluzione è compiuta! Robespierre non lo capiva, quando ghigliottinava Dio, e la testa dei reazionari, che il suo nemico era la ragione.
E Nietzsche non immaginava che "al di la del bene e del male" non c'è il superuomo, ma l'uomo in mutande. Ora siamo qui, in mutande, appunto: ci hanno spogliato di tutto, del destino eterno, dell'anima, dell'amore vero, del rapporto con gli altri, e rimane il sesso, isolato, fine a se stesso, egoistico, sterile.