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Media cattolici e media anticattolici. Intervista al massmediologo Francesco Spada
Di Mattia Tanel - 14/09/2008 - Cultura e società - 1196 visite - 0 commenti
«Un giornalista cattolico che avesse tra le mani un certo fatto di cronaca dovrebbe chiedersi: Quale pezzo stenderebbe Gesù? Come lo tratterebbe Gesù questo fatto?». Il giornalismo come vera e propria vocazione del cristiano nel mondo contemporaneo: è la visione propugnata dal bolognese Francesco Spada [che è stato ospite sabato al Meeting del Movimento per la Vita], a sua volta operante in un gruppo televisivo locale e apprezzato conferenziere. Libertà e Persona lo ha incontrato per i lettori.

Dottor Spada, Don Giacomo Alberione sosteneva che se San Paolo fosse nato nel Ventesimo secolo avrebbe svolto la professione di giornalista…

Infatti. Che piaccia o no, che sia giusto o no, oggi i mezzi di comunicazione di massa sono in qualunque Paese la principale fonte di cultura. Essi formano, o deformano, le coscienze dei nostri giovani, ma anche dei nostri adulti e dei nostri anziani. Sembrerà cinico, ma chi non detiene i mezzi di comunicazione oggi non conta nulla. È assolutamente decisivo che i cristiani agiscano di conseguenza. Occorre scoprire, o riscoprire, una dimensione di autentica militanza ecclesiale all’interno dei grandi organi di comunicazione di massa.

Il mondo dell’informazione, non solo in Italia, è però dominato da gruppi dichiaratamente “laici”: che quindi, sulla carta, rivendicano l’assenza di una visione del mondo globale. Mass-media che si vorrebbero il più possibile neutrali, “imparziali”. Eppure è ben ravvisabile in essi una sorta di filosofia implicita, dotata di precise coordinate a livello di valori e antropologia di riferimento. Qual è, se esiste, la Weltanschauung comune ai media laici?

Le parole “media” e “imparzialità” non vanno assolutamente d’accordo. Un mezzo di comunicazione oggi non è uno strumento neutro, ma un’arma potentissima utilizzata dagli editori (coadiuvati da altre figure, dagli autori in giù, ognuna portatrice di una determinata soggettività, di una formazione, di obbiettivi…) per veicolare ben precisi contenuti. Ed è giusto così: certo, poi tutto dipende appunto dal contenuto, dal messaggio. Il problema è che l’idea di chi sta dietro ai grandi media “laici” è molto chiara: per governare le coscienze delle persone, ottenendo su di loro un potere molto forte, è necessario abbattere tutti quelli che sono i riferimenti, tutto ciò che può rendere le persone libere e responsabili: la famiglia, il mondo scolastico libero (quello che sorge dalla società civile), i valori morali e religiosi… Se ad esempio si agisce nella sfera dell’amore e del sentimento dequalificando il matrimonio, come ogni altro legame stabile e duraturo, i singoli diventano delle banderuole in balia di tutte le correnti, vittime di una sostanziale solitudine esistenziale. A questo punto diventano manipolabili a piacimento dai “padroni del vapore”: ecco l’obbiettivo. Si cerca di smontare tutti i riferimenti certi, perché il telespettatore o l’ascoltatore veda in te, Grande Comunicatore, l’unica guida. Da qui il ruolo e l’appeal quasi da guru di tutti i falsi maestri, opinionisti, divi, presentatori televisivi… La gente guarda la TV nei momenti di svago, senza rendersi conto del fatto che serata dopo serata assorbe messaggi impliciti e ben calibrati che vanno tutti nella medesima direzione.

Alla base di tutto ciò sono presenti e attive le scorie tossiche delle ideologie che si sono susseguite negli ultimi secoli, e il cui fallimento ha generato il dominio dell’utile, la ricerca del puro potere…

Coloro che nel mondo sono installati nei posti chiave dell’informazione sono in stragrande maggioranza formati a una cultura di tipo illuminista o marxista, ultimamente nichilista. Una cultura che certamente non mette al primo posto la persona, perché vede nell’uomo un numero, una merce, un pezzo di materia, un valore economico, una scimmia un po’ più evoluta, eccetera. Chiunque abbia a cuore la persona vuole fornire alla gente gli strumenti necessari per diventare libera e responsabile, per decidere autonomamente e con la propria testa. Perchè la Chiesa viene tanto attaccata? Proprio perchè svolge quest’opera formativa, costruttiva. La Chiesa non viene attaccata tanto per motivi direttamente religiosi, ma perché oggi è rimasta l’unica istituzione, l’unica grande agenzia educativa che spinge l’uomo a porsi le domande importanti, a cercare un senso per la vita che vada oltre l’effimero, il contingente. Da dove vieni? Vieni dal nulla? Se non vieni dal nulla, significa che c’è Qualcuno più grande di te che ti ha pensato, e se ti ha pensato significa che hai un senso, uno scopo, dunque anche un compito. Così l’uomo comprende di essere persona, di avere una libertà, e di doversi assumere di conseguenza anche una responsabilità. Ai grandi magnati della finanza e della comunicazione non dà fastidio una Chiesa che esecra la guerra o la fame nel mondo (sacrosanta esecrazione, peraltro), ma una Chiesa che richiama l’uomo alla sua responsabilità, in definitiva alla sua dignità. Mentre costoro vorrebbero ridurlo a un burattino nelle loro mani, vorrebbero condizionarlo in tutto, dal cosa comprare al come vivere al cosa pensare. La Chiesa vuole forgiare uomini liberi, mentre la logica dei grandi media porta all’esatto contrario.

L’obbiettivo dei grandi finanziatori dell’industria dei media non è dunque il guadagno…

Certo che no. L’obbiettivo non è quello di fare i soldi. Tutti i grandi quotidiani, tutti i grandi networks televisivi lavorano in perdita, in deficit, chi più chi meno. Una semplice occhiata ai bilanci lo dimostrerebbe. Se noti, infatti, di solito si sente parlare di “aumento di fatturato”, quasi mai di “aumento di utile”. Ci sono, è vero, quotidiani “in utile”, ma in utile solo grazie ai contributi a fondo perduto dello Stato... Oppure in attivo in una data annata, ma in perdita sul lungo periodo. Bisogna tenere ben presente che chi investe nei media parte già mettendo in conto una perdita economica di qualche entità. Dunque l’obbiettivo non è affatto il guadagno, ma il potere: il potere di condizionamento che si acquisisce sulle persone. Un potere che è enorme. Io, grande imprenditore dei media, posso dettare la moda, formare le coscienze, fare la cultura. Chiaro che poi, con la pubblicità, inviterò la gente anche ad orientarsi verso l’acquisto di determinati prodotti, ma questo è nulla rispetto alla capacità più ampia di condizionarla in tutti i campi, scientificamente.

Mi sovviene, ascoltandola, un motto latino ben noto agli studiosi di cose massoniche: «solve et coagula». Tradotto: strappa le persone dai legami forti, dalle convinzioni salde e definitive (il sociologo Bauman parla della nostra come di una società «liquida»), e allora potrai reindirizzarle, riamalgamarle a tuo piacimento secondo le forme desiderate... La domanda che sorge naturale è questa: c’è un piano preordinato e globale dietro a tutto ciò? Che peso ha, per l’appunto, l’azione massonica all’interno mass-media?

Guarda, sinceramente non ti so rispondere. Ci sono certamente alcuni dati su cui riflettere… È un fatto, ad esempio, che il 90% dei produttori cinematografici siano ebrei. Il 90% dei kolossals cinematografici prodotti nel mondo sono prodotti da ebrei… Senza fare troppi nomi o troppi titoli, è ovvio che ci si domandi: in che misura la produzione, cioè “chi paga”, influisce sul prodotto finito, sia esso un film, un documentario, un serial televisivo? In campo italiano, prendiamo il caso della Lux Vide, casa di produzione nata dall’esperienza di un grande direttore RAI come Bernabei. Produzioni anche molto grosse, come Jesus o Paolo, sono state realizzate con fondi di grandi magnati internazionali, tutti ebrei. È naturale, e del resto assolutamente legittimo, che questi abbiano in qualche misura esercitato un potere di condizionamento sui contenuti delle produzioni, sui copioni eccetera. Ci inoltriamo però in un discorso delicato. La Massoneria? Non serve addentrarsi in particolari per rimarcare il fatto che da tre secoli essa esiste ed agisce nella ben nota direzione, che certo non collima con i valori cristiani… I media sono per chiunque il mezzo privilegiato per dispiegare un’opera di influenza sulle masse, positiva o negativa che essa sia.

Si ha a volte l’impressione che, a livello mediatico, il pensiero cristiano non riesca ad emergere, che non ci sia una risposta altrettanto forte dei credenti all’offensiva culturale laicista. Perché? C’è forse un’incompatibilità strutturale tra i mezzi di comunicazione di massa e un messaggio di tipo religioso, cattolico?

Paolo VI disse una volta che se la Chiesa non avesse deciso di investire in modo deciso sui mezzi di comunicazione sociale sarebbe stata «colpevole di fronte al suo Signore». Il mondo cattolico ha scontato finora alcune ben precise problematiche. La prima è un grave ritardo: nel momento in cui si sarebbe dovuta finalmente realizzare la televisione in grande, ci si è lasciati bruciare sul tempo da Berlusconi e dai suoi nani e ballerine. Sulla piazza, oltre alla RAI, c’era solo lui. E non è necessario rimarcare il fatto che, sul piano culturale e morale, la TV-spazzatura di Mediaset ha avuto ed ha effetti disastrosi. La Chiesa, in senso lato, ha dunque mancato questo appuntamento, forse il primo per importanza. L’appuntamento della carta stampata ha invece goduto di un tempismo leggermente migliore, con il quotidiano della CEI Avvenire. Resta però, anche qui, un problema: quando un mezzo di comunicazione come Avvenire viene presentato come l’organo più o meno ufficiale della Chiesa italiana, scattano dei meccanismi che ne limitano l’efficacia. È come se ciò che viene detto su Avvenire divenisse scontato. Bisogna scegliere: o si realizza il classico house-organ, che esternamente rischia di apparire come una sorta di bollettino parrocchiale in grande, o si sceglie di competere sullo stesso piano dei grandi organi di stampa laici, di massa, alla pari con loro. C’è poi un aspetto che non va sottovalutato: l’entità dell’impegno economico richiesto dal settore dell’informazione, specialmente dal mezzo televisivo. Vedasi l’esperienza che la CEI ha voluto fare, di recente, con SAT2000, il canale satellitare: un’operazione che costa una follia, mentre è tutto da verificare quanto sia visto, in Italia, il satellite… Nel settore del satellitare, comunque, la Chiesa si è effettivamente inserita senza ritardi. Rimane il problema di cui parlavo con riferimento ad Avvenire: cosa propone SAT2000? Prodotti che possono competere con la normale offerta televisiva o prodotti da house-organ? Così come esiste, per dire, l’house-organ del Milan o della Juventus…

Come affrontare questo problema?

Sono convinto che la vera strada da percorrere sia quella della competizione alla pari, in un’ottica laica e persino commerciale, con i grandi media “generalisti”. Occorre immettere sul mercato nuovi media di questo tipo (o magari rilevarne di già esistenti) per poi svolgere in essi, dietro le quinte, un lavoro giornalistico, informativo, ricreativo che sia, certo, “cristianamente ispirato”, ma che non sia il lavoro scontato dell’house-organ. È importante capire che si può usare la notizia, cioè il fatto di cronaca nudo e crudo, per veicolare un messaggio, “filtrando” la notizia attraverso la propria peculiare ottica… Un piccolo esempio, anche se negativo, è il seguente: avrai notato che sempre più spesso, in caso di incidente stradale, lo speaker fornisce, accanto al numero dei morti “umani”, un ragguaglio sulla sorte degli animali domestici eventualmente presenti nelle vetture. Forzando un po’: il conducente è morto, ma state tranquilli perché il cane è rimasto illeso… Si porta avanti così, in modo surrettizio, l’idea balzana della pari dignità di uomo e animale. E di esempi se ne possono fare mille altri: dobbiamo a questi impercettibili trucchetti dei media laici il fatto che oggi gli esperimenti sugli animali siano certamente più riprovati dalla pubblica opinione di una pratica come l’aborto. Un altro esempio: la terminologia tecnico-giuridica per designare le scuole libere, cioè non di proprietà dello Stato, è «scuola paritaria pubblica non statale». Peccato che nel linguaggio giornalistico esse diventino sistematicamente scuole «private»…

«Private di tutto», dice qualcuno...

Ecco, sarebbe più esatto! Comunque, il concetto è che con questi mezzucci anche linguistici si può condizionare in modo enorme la percezione che il grande pubblico riceve di una data realtà.

Per completare il discorso dei media “cristianamente ispirati”, ma che non siano degli house-organ

Ti faccio l’esempio del gruppo televisivo in cui lavoro, E-Tv, che oggi conta 150 dipendenti ed è attivo in Emilia-Romagna e nelle Marche anche con radio e quotidiani. La nostra realtà fa la sua gara (a livello locale, ma il discorso non cambia) sullo stesso terreno dei suoi competitors laici, cioè sul giornalismo, sulle inchieste, sull’intrattenimento: con alla base un orientamento che rimane cristiano. In questo modo si riesce a catturare ogni fascia di pubblico, senza preclusioni: e la nostra televisione, che è una televisione fatta da cattolici, con un messaggio cattolico, è giunta ad essere la prima realtà televisiva in regione, incontrastata. Per fare invece un esempio relativo alle radio, io credo che sia un bene che una Radio Maria esista: ma proprio perché già esiste (e funziona benissimo) non occorra farne altre. Occorre invece realizzare una radio che possa competere con le varie Radio DeeJay o Radio Capital, che vada sul “loro” terreno e realizzi una forma di intrattenimento e di informazione che, conservando un’ispirazione positiva, sia potenzialmente appetibile da tutti. La grande sfida oggi è questa.

Tra parentesi: Radio DeeJay e Radio Capital appartengono, con Radio m2o, al Gruppo L’Espresso. E non per caso…

C’è ovviamente una strategia ben precisa dietro. Queste tre radio vanno a colpire altrettante fasce di pubblico diverse: tre grandi targets, differenti per età e interessi. Radio DeeJay punta ai giovani, Radio Capital a un pubblico più adulto, eccetera. Ma ad ispirare i contenuti che vengono propinati tra una canzoncina e l’altra c’è la stessa visione di fondo, quella laicista e secolarizzatrice tipica del Gruppo L’Espresso. In effetti, il potere di persuasione delle grandi concentrazioni mediatiche è enorme. Pensiamo a una famiglia in cui il padre tutte le mattine legge Repubblica [Gruppo L’Espresso, ndr], il figlio di diciotto anni ascolta Radio DeeJay in cameretta mentre studia e la madre in automobile ascolta Radio Capital perché manda la musica anni Settanta-Ottanta che lei ascoltava da ragazza: queste tre persone si ritrovano a cena a discutere di notizie provenienti in realtà da un’unica fonte, presentate secondo la medesima ottica. Ma non lo sanno, e il ragionamento diventa: lo dicono tutti, quindi è vero…

All’origine di tutte le notizie che leggiamo o ascoltiamo ci sono le agenzie di stampa, di norma anch’esse facenti capo ai grandi magnati della finanza internazionale. In quale misura l’opera di selezione e ideologizzazione delle notizie avviene già nella fase del lancio di agenzia?

Le agenzie di stampa hanno oggi in pratica lo stesso ruolo che hanno in televisione gli autori dei programmi: sullo schermo vedi il tal famoso anchor-man, ma la maggior parte delle battute gliele ha messo in bocca l’autore del copione, che non appare. Tieni presente che oggi un grande quotidiano italiano come il Corriere della Sera è confezionato al 70% in copia-incolla dalle agenzie di stampa. A volte, se si confrontano i vari quotidiani, persino i titoli coincidono: anch’essi sono presi di peso dai lanci di agenzia! Quindi il potere di influenza di chi lavora all’interno delle agenzie di stampa è enorme. Detto en passant, spesso i contenuti dei quotidiani sono simili anche per via di un certo giro di telefonate che avviene – in serata – tra i direttori delle grandi testate giornalistiche del Paese. La priorità da dare agli eventi è spesso decisa collettivamente da quel potentissimo “cartello” che in Italia è la coppia dei direttori di Repubblica e Corriere…

Tornando a noi. C’è chi solleva un problema di “riconoscibilità” del messaggio che viene diffuso negli organi di informazione cattolici, cartacei e non. A volte leggendo qualche mensile o settimanale, per non dire lo stesso quotidiano della CEI, vien fatto di pensare a una famosa frase dello stesso Paolo VI: «all'interno del cattolicesimo sembra predominare un pensiero di tipo non-cattolico…».

Mah, caso per caso non saprei dire… Certo non sempre i media cattolici pongono al primo posto le famose “questioni non negoziabili”: vita, famiglia, istruzione. Ma il problema è più ampio e non vorrei addentrarmici. Bisogna però specificare che un “medium laico cristianamente ispirato”, a differenza dell’house-organ della CEI, potrà permettersi di ospitare anche un pensiero “altro” da quello cattolico, purché debitamente contestualizzato: un’intervista, un dibattito cui partecipino esponenti di visioni opposte… Un’azione illuminata dei cattolici nel mondo della comunicazione non dovrebbe avere preclusioni “clericali”, ferma restando l’ispirazione di fondo.

L’insignificanza dei media di tipo house-organ emerge forse anche da vicende come la seguente. Per trent’anni i cattolici hanno denunciato la pratica dell’aborto, senza indurre alcuna seria riflessione nel mondo laico; nel 2008 arriva un ex comunista come Ferrara, il quale ripete le stesse (o quasi…) argomentazioni “nostre” su un giornale guasconeggiante letto da 15.000 persone: come d’incanto, l’aborto diventa una delle questioni calde nell’agenda politica del nostro Paese…

Il fatto che hai citato è una dimostrazione di quello che dicevo: i cattolici devono valorizzare i media laici accanto ai media clericali. Il nostro è un Paese governato dall’ideologia e dal pregiudizio. Se certe cose le dice il Cardinale Arcivescovo di Bologna la gente fa spallucce: «è un prete, l’avrà letto nel Vangelo…». Se le stesse cose vengono dette da un “laicone” spregiudicato come Ferrara, invece, molti si fermano ad ascoltare. È un paradosso, ma è così. E la responsabilità è anche un po’ degli stessi cattolici. In una certa fase storica i nostri padri o nonni hanno mandato all’esterno questo messaggio: la fede è un fatto privato, priva di rilevanza nelle scelte pubbliche. È l’idea che incentivò le defezioni clericali in occasione dei referendum sul divorzio e, appunto, sull’aborto: «io non lo farò mai, ma non posso impedire a te di farlo». Così si è fatta passare l’idea che la valorizzazione della vita umana nascente, della famiglia, dell’istruzione libera derivasse da una sorta di fideismo privo di possibile giustificazione razionale: persino a molti credenti, oggi, non è chiaro il fatto che le posizioni della Chiesa circa questi temi sono difendibili e argomentabili sulla base della sola ragione, rettamente intesa, e che quindi devono essere esposte senza cedimenti anche nel dibattito pubblico, politico. È cruciale che si torni a far presente con forza e convinzione che la libertà di aborto, per esempio, non può essere tollerata, in quanto (laicamente e scientificamente parlando) si autorizza in tal modo la soppressione di persone umane innocenti. Questo non lo dice la fede, lo dice la ragione. È ovvio che per affermare queste cose si deve essere poi disposti a fronteggiare l’irrisione e la contestazione del “mondo”: e infatti la scelta intimista e privatista di quei cattolici che una volta si chiamavano “del dissenso” è stata anche, va pur detto, una scelta di comodo, di quieto vivere.

Quali sono le responsabilità della Democrazia Cristiana nel campo dei media? È noto che la DC non riuscì a fondare un solo grande quotidiano, e che sul piano della comunicazione e della cultura risultò assolutamente inadeguata a fronteggiare il gramscismo magistralmente attuato dal PC. Nel 1948, inoltre, con il patto pre-elettorale De Gasperi-Mattioli, si stabilì che «se avessero perso i comunisti, ai cattolici sarebbe andata la guida della politica, mentre ai laici [cioè alle grandi holding bancarie rappresentate da Mattioli, ndr] sarebbe andato il controllo della finanza, dell’industria, dell’informazione»…

Va sempre ricordato che la Democrazia Cristiana ha, in generale, almeno due grandissimi meriti: l’aver letteralmente ricostruito un Paese dopo la guerra e l’aver impedito l’ascesa al potere dei comunisti. Questi sono fatti oggettivi e incontestabili. Ma quello che dici è senz’altro vero: in cinquant’anni di potere economico, politico, gestionale la DC non è riuscita a diffondere un’informazione, una cultura cattolica degna di questo nome. Mentre dall’altra parte c’erano una cultura laica e una cultura marxista che hanno concentrato tesori di intelligenza e di energia sul piano accademico, propagandistico, dell’intrattenimento, eccetera. Ancor oggi quasi tutti coloro che lavorano nei media, siano essi presentatori, opinionisti, comici, sceneggiatori, autori teatrali, risultano formati a una visione che rimonta, lo dicevo prima, al marxismo e all’illuminismo. Non è priva di una sua verità la storiella che si racconta a volte: quando in Italia arrivarono i soldi del Piano Marshall, i preti li usarono per costruire bellissimi teatri e cinema parrocchiali. Ma nel frattempo i comunisti, a differenza dei preti, aprirono scuole di recitazione e formarono dei registi. E fu così che nei teatri e nei cinema cattolici non si ebbe altro da mettere in scena che gli spettacoli dei comunisti…
Va anche precisato, purtroppo, che non solo nell’ambito culturale e mediatico l’azione del partito che si voleva “cristiano” è stata deficitaria: che dire dell’ambito familiare e scolastico? Proprio nei due settori sui quali un Paese si fonda e si regge la DC ci ha lasciati in una situazione disastrosa. Abbiamo una legislazione di tutela e promozione della famiglia che è la più debole al mondo; abbiamo un sistema scolastico completamente in mano allo Stato, in pratica senza controllo possibile sui programmi e sui testi da parte delle famiglie (laddove la Costituzione parla chiaro sul diritto nativo dei genitori di istruire ed educare i figli); abbiamo una legge sull’aborto che porta in calce solo firme democristiane…

Un Papa “all’antica” come Pio XII aveva ben chiara l’importanza della battaglia culturale nel contesto a lui contemporaneo. Padre Riccardo Lombardi, il gesuita suo portavoce che fu noto negli anni Quaranta e Cinquanta con il soprannome di “microfono di Dio”, spronava i cattolici a una «mobilitazione generale», a una diffusa presenza «in ogni luogo di potere, nei partiti, nei sindacati, nei giornali, nella radio, nel cinema, nell'università»... Sembra che questa consapevolezza sia venuta meno, paradossalmente, proprio dopo quel Concilio Vaticano II che si è voluto «pastorale» e «attento alle istanze del mondo moderno».

Sarebbe un discorso lungo e complesso… Ribadisco: il vero problema è quello dell’“unità di vita”. Un cattolico non deve smettere di essere tale quando entra in una redazione o in Parlamento. Negli ultimi decenni ci si è troppo camuffati di fronte al “mondo” e si è persa di vista questa esigenza dell’unità di vita, che è fondamentale.

Come si può, attraverso un medium necessariamente impersonale, annunciare la Persona che è Gesù Cristo? Il laico vuole comunicare un’ideologia, uno schema di pensiero. Il cristiano vuole comunicare un incontro…

Attenzione: attraverso i media non si fa propriamente apostolato, non si mira a “convertire”. La conversione, come hai detto, risulta di norma solo da un incontro personale, concreto. Attraverso i media si realizzerà, più modestamente, quella che Giovanni Paolo II chiamava «inculturazione della fede». Si porterà nella cultura (nel telegiornale, nel talk-show, nel libro, nella canzone…) la visione del mondo cattolica, la dottrina sociale della Chiesa, eccetera. Si introdurranno princìpi, come quello della sussidiarietà o quello della centralità della famiglia nella società, per esporre i quali non è necessario citare la Bibbia. Anche se certamente, in seconda battuta, un lavoro di questo tipo non potrà non propiziare nelle persone un confronto fruttuoso con il vero e proprio evento che è Gesù Cristo.
 
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