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La punta di diamante nell'opera di trasformazione morale del nostro paese è il Partito Radicale (PR), nato nel 1955 da una scissione all'interno del Partito Liberale: ne fanno parte Ernesto Rossi, Leo Valiani, Mario Pannunzio, direttore de Il Mondo, Marco Pannella, futuro padrone del partito, Stefano Rodotà ed Eugenio Scalfari, per alcuni anni direttore de L'Espresso, e futuro fondatore, nel 1976, del quotidiano della sinistra italiana, il secondo giornale del paese, la Repubblica…
Tra i fiancheggiatori più illustri troviamo i PCI Elio Vittorini e Pierpaolo Pasolini, a conferma di come il Partito Radicale sia, insieme al PRI e al PLI, la dimostrazione più evidente dell'alleanza tra il materialismo liberal-capitalista e quello marxista. Ne è ulteriore riprova la storia politica di Eugenio Scalfari, grande artefice mediatico, attraverso i suoi giornali, dell'introduzione in Italia del divorzio e dell'aborto: dal PLI al PR al PSI. Il PR, definito per anni dai suoi capi partito "socialista libertario", pur rappresentando poco più dell'1% dell'elettorato italiano, ha sempre disposto di incredibili potenzialità comunicative e di una radio finanziata con miliardi e miliardi dallo Stato italiano (nel 1999 i radicali vantavano di aver speso, in campagna elettorale per le elezioni all' Europarlamento, ben 24 miliardi di lire, molto più di partiti enormemente più grandi). Tanti mezzi e tanto denaro hanno permesso nel tempo, a questo movimento, oggi sempre più ultra-liberista e filo-americano, di mutare la cultura italiana all'insegna del libertinismo più esasperato, con il sostegno della sinistra tutta, dal PCI al PSI, dove poi molti fondatori confluirono.
Ai radicali si devono la creazione del Cisa (centro italiano sterilizzazione e aborto), l'introduzione dell'aborto, i meeting anticlericali per lo sbattezzo di Fano, il Centro anticlericale, la pubblicizzazione dell'eutanasia, dell'omosessualità, della legalizzazione delle droghe leggere, della sperimentazione sugli embrioni, le commemorazioni, insieme alla massoneria, del XX settembre 1870…Dai radicali, di cui fu anche il leader, proviene anche il rappresentante unitario del centro-sinistra del nuovo secolo: Francesco Rutelli.
In realtà la stessa DC, tradendo gli ideali dei suoi stessi elettori, nel puro nome del potere e del compromesso, finisce spesso per favorire la sinistra e i partiti laici minori, sia per quanto riguarda l’approvazione del divorzio che quella dell’aborto. È sorprendente constatare come i leader di questo partito giustifichino, in anni diversi, ma con gli stessi ragionamenti, la loro ignavia e la loro indifferenza. Di fronte alla legge sul divorzio, per esempio, il leader DC Aldo Moro, pur essendo personalmente contrario, ha sostanzialmente a fastidio il referendum in difesa dell’indissolubilità matrimoniale perché esso, creando discussioni e contrasti con la sinistra, ritarda il suo disegno politico di un compromesso: “perché compromettere i rapporti a sinistra con un impegno forte in una battaglia perduta in partenza?… Moro era indifferente, aspettava solo che finisse tutto per incominciare a tessere la sua tela. La gerarchia ecclesiastica, anche lei abbastanza defilata…”1 Come ricorda il senatore Guido Gonella, uno dei fondatori della DC, “il divorzio è il capolavoro del Centro-sinistra. Il divorzio appartiene al Centro-sinistra, si addice al Centro-sinistra”.
Diversi anni dopo, nel 1978, sono ben sei democristiani a controfirmare la legge che introduce in Italia l’omicidio legalizzato dei bambini, libero, gratuito, a spese dello Stato. Il presidente del consiglio di allora, Giulio Andreotti, membro della DC, di fronte al dilemma morale se sia giusto o no dare il proprio contributo all’approvazione di questa legge, finisce per ritenere che sia più importante la sua poltrona ed il suo potere che affermare di fronte all’Italia l’iniquità di tale legge. Scrive lui stesso nei suoi Diari 1976-1979 (Rizzoli): “Seduta a Montecitorio per il voto sull’aborto. Passa con 310 a favore e 296 contro. Mi sono posto il problema della controfirma a questa legge ma se mi rifiutassi non solo apriremmo una crisi appena dopo aver cominciato a turare le falle, ma oltre a subire la legge sull’aborto la DC perderebbe anche la presidenza e sarebbe davvero più grave”. (Passa così la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, promossa dai radicali, dai liberali, da tutta la sinistra, da tutta la grande stampa, dall’ignavia dei capi della DC e dall’ipocrita falsità dei cosiddetti cattocomunismi, "cattolici" iscritti al PCI, Gozzini, La Valle, Pratesi, Paolo Brezzi, Angelo Romanò, ecc.)2
Si diceva dunque che l'alleanza tra le destre laiche, PRI, PLI, PR e la sinistra dà vita, in Italia, ad una vera e propria dittatura culturale, al punto che la casa, calda, sicura e ricca, degli intellettuali italiani è quella ad un tempo degli Agnelli, dei De Benedetti, cioè del maggiore capitalismo italiano, e dell'intellighenzia di sinistra: tra la casa editrice di sinistra Einaudi, la Stampa di proprietà di Agnelli, il Corriere della Sera, con sede a Milano, ma controllato a più riprese ancora dagli Agnelli, o ne la Repubblica3 e ne L'Espresso di De Benedetti e del principe Caracciolo, il cognato di Gianni Agnelli4 (con lo zampino della laica Mediobanca, di solito presente con qualcuno dei suoi consiglieri nei Cda), e cioè nei tre più diffusi quotidiani nazionali italiani, nasceranno tutti i "grandi" opinionisti del nostrano tempo odierno: dagli intellettuali del partito d'Azione, Bobbio, Galante Garrone, Mila, Jemolo, a Spadolini, Arrigo Levi, Piero Ottone, Furio Colombo, amministratore della Fiat in USA e oggi direttore de "l'Unità", Paolo Mieli, figlio del senatore comunista Renato, Eugenio Scalfari, Gianni Vattimo, europarlamentare diessino, Barbara Spinelli, Ezio Mauro, Igor Man….
Negli anni '90 il potere economico, che si era limitato fino ad ora ad agire, come abbiamo visto, dietro le quinte, e tramite la grande stampa, fa irruzione anche sulla scena politica, proprio in seguito alla liquidazione della DC e, non a caso contemporaneamente5, dell'industria di Stato, cioè di quell'industria che era rimasta "sottratta" al controllo del grande capitalismo privato. L'IRI viene svenduto dai governi di centro- sinistra, a partire dalla vendita dell'Alfa Romeo da parte di Prodi ad Agnelli, per una manciata di lire pagabili a partire da 5 anni dopo il contratto e dilazionabili nel tempo, per continuare, soprattutto, col governo Amato del 1992, per finire con la sua messa in liquidazione nel 2000, col governo di centro sinistra dell'Ulivo. In questi anni, si diceva, compariranno al governo un banchiere di provenienza repubblicana come Maccanico, presidente privatizzatore di Mediobanca, sponsorizzato da Cuccia e Agnelli, Dini del Fondo Monetario Internazionale e della Banca d'Italia, Ciampi, governatore della Banca d'Italia, Romano Prodi, ex presidente dell’IRI, il colosso dell’industria di Stato, uomini Fiat come Susanna Agnelli e Renato Ruggiero … tutti legati al centro-sinistra.
Il caso di quest'ultimo può essere considerato emblematico dell'ingerenza del potere economico in ambito politico: membro del Consiglio di Amministrazione della Fiat, coordinatore degli Affari Internazionali della stessa, presidente del WTO, l'organismo della globalizzazione economica dal 1997, uomo dunque strettissimamente legato agli Agnelli e ai loro affari esteri, è stato ministro al Commercio estero per ben tre volte in governi di centro sinistra, senza che nessuno sollevasse obiezioni su eventuali conflitti di interesse. Nel 2001, con un governo di centrodestra, piuttosto avverso e avversato dagli Agnelli, viene sostanzialmente imposto, pur non essendosi neppure presentato alle elezioni, come ministro degli Esteri dalla pressione congiunta di Gianni Agnelli ed Henry Kissinger, salvo poi entrare in rotta con il governo e dimettersi.6 L’entrata in politica nel 1994 di un ricco imprenditore, Silvio Berlusconi, che ha fatto fortuna nelle televisioni con l'appoggio del PSI di Craxi e Amato, e cioè ancora una volta dell'onnivoro mondo laico di sinistra, e la ha mantenuta grazie ad una legge ad hoc, proposta, guarda caso, dal repubblicano Mammì, è dunque uno scandalo solo per gli ipocriti, gli ignoranti e le “anime belle” degli ingenui: in realtà il peccato originale dell'imprenditore milanese, per tanti anni funzionale, con le sue televisioni, ai governi di centro-sinistra e all'opera di scristianizzazione del paese, è quello di disturbare, come uno scomodo homo novus, i progetti di Agnelli7, Cuccia, De Benedetti8 e di altri colossi dell’economia italiana abituati fino ad ora a gestire le cose tra loro e a mangiarsi, da soli, il patrimonio statale dell'IRI9; è uno scandalo anche perché, costretto a ritagliarsi uno spazio nell'elettorato italiano, cerca da subito un'alleanza con forze solo in parte compatibili con la sua identità, ma escluse comunque, almeno in parte, finora, dai salotti dell'industria, della borghesia capitalista e dell'informazione.
Basti pensare al fatto che imbarca nella sua coalizione, oltre a vecchi marpioni della politica e laici di ferro come Martino, Boniver, De Michelis ed altri (provenienza PLI, PSI e addirittura PCI, come Adornato, Bondi e Ferrara), anche uomini"nuovi", mai stati al potere, e talora veramente dediti al bene comune e a politiche attente ai valori. Ecco però che la grande stampa lo attacca ferocemente, indicandolo agli elettori come l'uomo forte dell'economia italiana, come un padrone galattico, un'imperatore dispotico, quando invece la sua azienda si colloca , nello stesso 1994, al decimo posto in Italia per numero di dipendenti (ben dietro all'IFI degli Agnelli e alla Cofide di De Benedetti, suoi avversari politici) e settima quanto a fatturato, ancora dietro gli Agnelli e alla pari con De Benedetti10.
Il fatto è che Silvio Berlusconi, che pure proviene dallo stesso mondo di molti suoi avversari, pur fortissimo nel campo della televisione, rimane un nano nel campo della potenzialità comunicativa dei quotidiani, gli unici capaci di creare opinione politica, di consacrare scrittori e politologi di grido. La situazione all'inizio del 2003 è infatti questa: 1)Corriere della Sera, tiratura 8/900.000 copie (il primo azionista è la famiglia Agnelli col 22%, seguita da Mediobanca col 20% e da Gemina dell'ex Fiat Romiti, col 20%…più altri piccoli azionisti; possiede tre supplementi; politicamente abbastanza equidistante, con preferenza a sinistra, come buona parte degli azionisti, e come il direttore uscente Ferruccio De Bortoli ha dimostrato chiaramente nel suo editoriale di addio; l'attuale direttore, Stefano Folli, è di provenienza repubblicana, e cioè "agnelliana"; il giornale fa parte del gruppo RCS, che controlla anche, almeno in parte, il quotidiano Il mattino di Bolzano, Oggi ecc. ed ha come presidente Guido Roberto Vitale, banchiere, e come vice Paolo Mieli, intellettuale di sinistra11);
2)La Repubblica, tiratura 9/1.000.000 copie. Schierato a sinistra, con ben otto supplementi settimanali(proprietà di Caracciolo, cognato di Gianni Agnelli, e De Benedetti, ex compagno di banco di Umberto Agnelli, per qualche tempo alla guida della Fiat, fratello di Franco, senatore DS. Caracciolo e De Benedetti esercitano un vero e proprio predominio nel campo della stampa possedendo anche grandi quotidiani locali: La sentinella, Gazzetta di Mantova, La provincia pavese, Il mattino di Padova, La nuova Venezia, La tribuna di Treviso, Il piccolo di Trieste, Messaggero veneto, Gazzetta di Modena, Gazzetta di Reggio, Libertà, Il Tirreno, Il centro, La nuova Sardegna, Il corriere delle Alpi, Alto Adige, Trentino; lo stesso gruppo controlla anche riviste d'opinione importanti come Micromega, Limes, L'Espresso…). Il consigliere delegato de la Repubblica è Marco Benedetto, già capo ufficio stampa della Fiat, mentre tra i consiglieri troviamo ad esempio Vittorio Ripa di Meana, consigliere nel CDA di Mediobanca;
3)La Stampa, tiratura 500.000 copie (proprietà famiglia Agnelli; schierato a sinistra);
4)La Gazzetta dello Sport, 4/500.000 copie (controllata dal Corriere della Sera);
5)Il Messaggero, 315.000 copie (famiglia Caltagirone, imprenditori edili, proprietari anche di Leggo; i Caltagirone sono rutelliani; l'attuale direttore, Paolo Gambescia è uomo di sinistra, ex direttore de l'Unità);
6)Il Giornale, 310.000 copie (controllato dalla famiglia Berlusconi, che controlla anche la rivista Panorama ed Epoca; schierato a destra);
7)L'Unità, 139.000 copie (vari azionisti; organo della sinistra dei DS, diretto da Furio Colombo, ex dipendente di Agnelli come amministratore della Fiat negli USA);
8)…giornali minori ( A sinistra: Il Manifesto, Liberazione, Il Riformista, Europa, Avanti; a destra: Libero, Il Foglio, Il secolo d'Italia, La Padania.).
L'unico quotidiano cattolico, senza gruppi industriali alle spalle pronti a ripianare, ad ogni fine anno, i debiti, è Avvenire, con una tiratura di sole 130.000 copie. Di fronte a questa situazione il presidente della Fieg (Federazione italiana editori giornali) Luca Cordero di Montezemolo afferma che la stampa "deve essere autonoma ed indipendente" (Avvenire 18/7/2003), facendo capire che, effettivamente, lo è. Chi abbia letto attentamente lo schema sopra riportato non capisce dove sia l'autonomia e l'indipendenza, quando i primi quattro quotidiani italiani sono sostanzialmente nelle stesse mani, e cioè in quelle tre di ricchissimi imprenditori (Agnelli, De Benedetti, Caracciolo) variamente collegati tra loro e di banchieri a loro affini (Mediobanca), e come tutto il resto della stampa sia di proprietà di altri imprenditori (Berlusconi, Caltagirone) o, le briciole, di partiti politici. Tutto si chiarisce osservando la provenienza del discorso: Luca Cordero di Montezemolo è presidente della Ferrari (Proprietà Agnelli e Mediobanca) e amministratore de la Stampa, sempre di Agnelli! Finisce un secolo, il Novecento, e ne inizia un altro, ma rimane vero, ancora più vero, quanto scriveva Papini all’inizio di quello appena trascorso: “I diffusi giornali, cioè quelli che veramente contano, sono in mano dei grossi banchieri o industriali i quali dirigono così, nelle questioni essenziali, dove c’entra il denaro, l’opinione pubblica. Codesti tipi portafogliuti hanno in mano anche i deputati più influenti… Cinquanta o cento pezzi grossi della finanza che dispongono della stampa e del parlamento, fanno proteggere le loro industrie e i loro affari, impongono allo stato ordinazioni, premi, dazi, forniture e fanno sapere o non sapere ai lettori dei giornali ciò che loro accomoda” (Lacerba, 1913). E il cattolico Giuliotti gli faceva eco: “Il giornalista è in fondo la parodia della potenza, il servitore vestito da padrone, il feto dell’intelligenza che non si sviluppa né muore. Quando questo falso dominatore si vanta di tirare i fili a una infinità di burattini e di divertirsi al giuoco, è bugiardo. Vi sono dei burattinai ai quali serve, ai quali si inchina, ai quali lecca i piedi…La borghesia plutocratica e tutti i suoi istrioni mettono in moto come vogliono l’istrione giornalista…” (L’ora di Barabba).