La magistratura italiana, ha scritto l’Economist qualche settimana addietro, detiene un potere unico in Occidente. Ebbene, mercoledì i nostri giudici - evidentemente non sazi degli stipendi da capogiro - si sono arrogati, nel pronunciarsi sul caso di Eluana Englaro, un’altra facoltà: quella di decidere quando una vita è degna di esser vissuta.
Ai tre giudici della Prima sezione della Corte d’Appello di Milano sono bastate 61 pagine per sciogliere il rompicapo sul quale, da decenni, studiosi di bioetica da ogni parte del mondo profondono le loro energie; 61 pagine che, in larga parte, riprendono la sentenza n. 21748 ( Relatore A. Giusti) che la Corte di Cassazione ha emesso lo scorso 10 Ottobre. Chi avesse letto quella sentenza, che rappresenta una vera e propria svolta per la nostra giurisprudenza, certo ne ricorderà le contraddizioni, incautamente confermate due giorni fa.
Anzitutto, in quella sentenza la Cassazione ha stabilito, in barba a diversi pronunciamenti del Comitato Nazionale di Bioetica, che alimentazione e idratazione non sono, come il buon senso stesso ci suggerisce, sostegni vitali, bensì soluzioni terapeutiche. Non contenti, i giudici si son spinti fino a definire l’irreversibilità di uno stato vegetativo. Straordinario: così facendo, la magistratura è riuscita dove anche la comunità scientifica, al momento, è incapace. Infatti, come ha giustamente ricordato anche Vincenzo Carpino, presidente dell’Aaroi, acronimo che sta per Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani, “non esistono criteri precisi per accertare con sicurezza uno stato vegetativo permanente. Mancano parametri scientifici e quindi protocolli di riferimento” (Corriere della Sera, 17/10/07, p.3). E’comprensibile che i medici, dopo casi come quello di Jan Gbzebsky, svegliatosi dal coma dopo 19 anni, non se la sentano di definire, per lo stato vegetativo permanente, parametri di irreversibilità. Parametri che invece esistono per definire la morte cerebrale totale, quella che purtroppo definisce l’irreversibilità del coma.
La differenza tra morte cerebrale totale e morte corticale, cioè quella che determina gli stati vegetativi come quello di Eluana, è nota da tempo: la stessa Legge sui trapianti vi fa riferimento. Col pronunciamento della Cassazione, però, questa dicotomia, che i medici conoscono bene, è stata giuridicamente distrutta. Sulla base di queste a dir poco strampalate valutazioni, i magistrati hanno poi stabilito che, poiché vi sarebbero testimonianze convergenti che riferirebbero la contrarietà espressa da Eluana ad essere mantenuta in vita qualora si fosse trovata in stato vegetativo, giustizia vuole che queste volontà vengano rispettate.
I nodi critici, già presenti nelle traballanti premesse della sopraccitata sentenza, esplodono qui in tutta la loro gravità: com’è possibile ricostruire, affidandosi a testimonianze risalenti a decenni fa, la volontà di una persona, per giunta su un argomento spinoso quale è lo stato vegetativo che - lo ricordiamo - è cosa altra da coma irreversibile? Ma soprattutto com’è possibile che le volontà - espresse oralmente in circostanze non meglio precisate - di una persona, possano decretarne il destino?
Altro che testamento biologico, qui siamo alla barbarie: d’ora in poi, se l’obbrobrio posto in essere dalla Corte d’Appello di Milano dovesse essere confermato, ciascuna delle 1500 persone che in Italia vivono la stessa condizione di Eluana è da considerarsi in pericolo; basterebbe infatti che un loro congiunto si facesse avanti rammentando - a nome dell’interessato in stato vegetativo - un presunto interesse di quest’ultimo a rifiutare tale condizione, e il malcapitato sarebbe lasciato morire, proprio come toccherà alla povera Eluana, di fame e di sete, in una straziante agonia.
Il paradosso è che quanti vedono in questo infausto pronunciamento della magistratura un successo, hanno pure il coraggio di evocare espressioni strappalacrime come “morte dignitosa”, evidentemente inconsapevoli di quanto atroce possa essere un travaglio quale sarà quello di Eluana qualora il padre, forte del nullaosta della magistratura, decidesse di procedere con la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione.
A intristire, se possibile, ancor più questa dolorosa vicenda, ci si è messa pure la macchina mediatica, sempre pronta a sacrificare il dolore altrui sull’altare della notizia; per giunta, l’informazione di stampa e telegiornali ha tratteggiato la vicenda di Eluana, travisandola, come uno scontro tra la magistratura italiana - quella sì Sacra e Indipendente - e il sempre pugnace “Vaticano”.
Chi lo spiega ai giornalisti che il Vaticano è uno Stato e che non sono solo “le gerarchie ecclesiastiche” a propugnare ragioni - peraltro sostenibilissime sul piano razionale - di indisponibilità della vita umana? La storia della crociata tra laici e cattolici, francamente, ha fatto il suo tempo.
Meglio concentrarsi sulla realtà delle cose e pregare per l’unica vera vittima di questa triste storia, lei che, mentre il mondo si affanna a programmarle il destino, respira immobile in un letto, abbracciata ogni giorno di più dall’Amore del Padre.
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