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Cultura e finanza nell'Italia post Fascista. Il patto tra Dc e poteri forti. II parte
Di Francesco Agnoli - 11/07/2008 - Storia del Novecento - 1280 visite - 0 commenti

...la DC lascia tacitamente il controllo della cultura al PCI, mentre, per quanto riguarda l’economia, il cristiano De Gasperi fa, volente o nolente non è dato saperlo, un “patto con l’alta finanza” italiana (patto De Gasperi-Mattioli), cioè con gli uomini più importanti del capitalismo italiano, tutti legati ad una visione della vita laica, anticlericale e massonica1(vedi I parte).

 Il patto, scellerato o meno, appare necessario a chi ben sa che il potere politico, dato ai cristiani della DC dal popolo italiano, ha bisogno dell’appoggio dei potentati economici. Così l’anticlericale Partito d’azione (Pd'A), debolissimo a livello elettorale, conta tra i suoi membri nientemeno che Ugo La Malfa, il politico prediletto di casa Agnelli e dagli Stati Uniti, Raffaele Mattioli, dominus della Banca commerciale, avverso al "clericume", Enrico Cuccia, futuro padrone di Mediobanca, Carlo Azeglio Ciampi, che diverrà, col tempo, nell’ordine, Governatore della Banca d’Italia, Presidente del Consiglio, ministro del Tesoro e Presidente della Repubblica…; con tale partito tenta l’alleanza, contro ogni logica e idealismo, lo stesso Togliatti, segretario del PCI e quindi, teoricamente, il peggior nemico della grande borghesia italiana. Ma Togliatti non ha i numeri e così l’alta finanza italiana deve rivolgersi, forse con un po’ di mal di stomaco, al segretario del maggior partito italiano, De Gasperi, il quale si impegna a ripagare l’appoggio “garantendo loro il dominio della finanza”.

Così il politico trentino ha bisogno di circondarsi di uomini estranei al suo partito, ad esempio il banchiere liberale piemontese Luigi Einaudi, che diviene superministro dell'economia in un momento strategico, Governatore della Banca d'Italia, e Presidente della Repubblica. Avviene dunque, come racconta un uomo molto addentro alla DC come Ettore Bernabei, che "nel '48 la Dc vinse anche grazie all'accordo con le forze laiche e liberali…(perché) se avessero perso i comunisti, ai cattolici sarebbe andata la guida della politica, ai laici il controllo della finanza, dell'industria, dell' informazione"2.

Ciò è tanto vero che sotto un partito che si proclama cristiano il legame finanza-industria-informazione diventa ancora più forte di quanto già era stato nell'epoca giolittina: la Dc non riuscirà mai a creare neppure un solo grande giornale quotidiano, e questo non solo per la provverbiale ingordigia e tiepidezza, nel campo dei valori, dei suoi esponenti, ma anche perché, anche se può sembrare paradossale, i suoi legami con l'alta finanza sono meno forti di quelli di partiti ben minori. Infatti la Sinistra, dal PCI al PSI, riceve per decenni una valanga di soldi dalla Russia, potendo così organizzare sedi, giornali e attivisti a pagamento in ogni parte d'Italia3; il denaro dei grandi industriali italiani, dal '45 in poi, serve, da una parte a finanziare grandi giornali attenti alle esigenze dei padroni, dall'altra finisce nelle mani delle "destre cosiddette laiche, i repubblicani, i liberali (PRI e PLI) e i circoli finanziari internazionali che li sostengono e che non amano per niente la Chiesa cattolica e il suo scarso interesse per i profitti e per i padroni"4. Benchè infatti i testi divulgativi di storia si soffermino solo sui partiti di massa, quello democristiano e quello comunista, Pd'A, PRI e PLI hanno un ruolo essenziale nella formazione e nella gestione della nuova Italia. Per comprendere come questo avvenga basti pensare alla figura del già citato Ugo La Malfa, che fu a lungo il punto di riferimento degli Agnelli5, e cioè della più importante dinastia del capitalismo italiano: questo giovane palermitano di belle speranze viene assunto nel 1933 da Raffaele Mattioli nella Banca Commerciale italiana, di cui diviene direttore nel 1938.

Entrato nel mondo dorato della finanza si lega alla massoneria, è tra i fondatori del Partito d'Azione per poi entrare nel Partito Repubblicano. La cosa più originale è che, pur appartenendo a schieramenti politici di gran lunga minoritari, tra l'1% e il 3%, ricopre sempre ruoli essenziali, strategici nella politica economica del nostro paese: ottiene infatti, dopo il ministero dei trasporti, l'importantissimo ministero della Ricostruzione, nel governo De Gasperi, poi il ministero per il Commercio con l'estero; è poi ministro col compito di riorganizzare l'industria di Stato, l'IRI, nel 1950, ancora ministro del Commercio estero nel 1951, ministro del Bilancio nel 1962, ministro del Tesoro nel 1973, vicepresidente del governo e ministro del Bilancio nel 1979… (Dopo la sua morte il figlio, Giorgio La Malfa, sarà ministro del Bilancio per ben quattro volte di seguito). Del Partito Repubblicano fanno parte, nel tempo, anche Umberto e Susanna Agnelli, Bruno Visentini, per 20 anni vicepresidente IRI e ministro delle Finanze per tre volte, oltre che Giovanni Spadolini, prima direttore del Corriere della Sera, il più grande giornale italiano, dal 1968 al 1972, e poi varie volte ministro e due volte presidente del Consiglio6.

 Quanto al PLI la sua forza non sta certo nei voti del popolo, ma nel fatto di aver governato l'Italia post-unitaria in nome della grande borghesia, specie di quella industriale del settentrione, escludendo le masse dal diritto di voto, fino al 1912, e il meridione d'Italia dal processo di industrializzazione. I liberali, essendo gli artefici del cosiddetto Risorgimento, ne avevano fatto una proprietà privata, gestendo politica, economia ed informazione. Riguardo a quest'ultima basti ricordare che ai primi del Novecento, prima di passare agli Agnelli, La Stampa, non a caso di Torino, era posseduta e diretta dal senatore liberale e non credente Alfredo Frassati; mentre il Corriere della Sera, anch'esso "organo delle elites borghesi", fu per lunghissimo tempo diretto dal celebre Luigi Albertini, senatore liberale e persona straordinariamente chiusa al mondo cattolico, essenzialmente contadino e piccolo borghese (al quale preferiva i socialisti), fino ad osteggiare il suffragio universale del 1912 e il patto Gentiloni del 1913, perché avrebbero permesso di entrare in Parlamento a deputati cattolici, da lui definiti "sovversivi", "anti-italiani", "umile gente organizzata da cattolici"7.

Lo strapotere degli industriali liberali, favorevoli all'intervento nella I guerra mondiale anche per motivi economici, arrivava al punto che l'Ansaldo di Genova controllava "L'idea nazionale", il "Messaggero" di Roma, il "Corriere mercantile" e il "Secolo XIX" di Genova, mentre contribuiva, insieme ai socialisti francesi, ad Agnelli e alcuni altri, alla fondazione del giornale interventista di Benito Mussolini, il "Popolo d'Italia". Nel secondo dopoguerra il Partito Liberale, erede del pensiero laico-risorgimental-massonico è ridotto, elettoralmente, ai minimi termini, ma può contare, oltre che sul "papa laico" della cultura italiana, Benedetto Croce, su una forte presenza negli "ambienti imprenditoriali del centro nord" e con gli "esponenti del grande capitale agrario meridionale"8. Si crea così, a partire dal dopoguerra, uno scenario che caratterizzerà senza soluzione di continuità la storia d'Italia: il grande capitalismo italiano, vicino alla Dc, secondo osservatori superficiali, ma soprattutto ai suoi alleati PRI e PLI, in politica, perché spaventato dalle dottrine economiche del comunismo del PCI, sostiene invece quest'ultimo, in buon accordo con PRI e PLI, tramite il controllo dei mezzi di informazione, nel campo della riforma dei costumi e nella graduale opera di trasformazione dell'Italia da paese cattolico in paese indifferente, libertario e nichilista.

Si attua così il classico matrimonio tra il materialismo di matrice liberal-capitalista (Pd'A, PRI, PLI, PR) e quello di matrice marxista(PSI, PCI), che rende gradualmente minoritaria in ogni campo, l'opzione cattolica e che si realizza, evidentemente, nella sintesi culturale tra americanismo e marxismo del 1968. Non si spiega altrimenti come le grandi battaglie di riforma morale, per l'introduzione negli anni Settanta del divorzio ( la cui legge istitutiva viene firmata dal repubblicano Oronzo Reale), e dell'aborto, promosso soprattutto dai liberali radicali, con l'appoggio della repubblicana Susanna Agnelli e della sinistra tutta, seppur sostenute e propagandate, inizialmente, da una minoranza, vedano il saldarsi dell' allenza tra il potenziale informativo dei grandi gruppi industriali e la sinistra, nella più completa incapacità del mondo cattolico, per di più spaccato al suo interno, di reagire adeguatamente. continua

 
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