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Venendo al tema della trattazione, il cristianesimo, il cattolicesimo in particolare, rappresentava con l'ebraismo la mira dell'odio proclamato dalla crociata nazionalsocialista: la Chiesa cattolica venne individuata come il frutto più evidente e diffuso dello spirito ebraico. Certo, la lotta frontale con Roma fu comunque possibile solo a sprazzi: si trattava pur sempre del credo religioso di una consistente parte del popolo tedesco. La gerarchia romana, in anticipo sulla storia, quando ancora il nazionalsocialismo non si incarnava in uno Stato, aveva espresso il suo giudizio su Hitler: Pacelli, che prima di ascendere al soglio pontificio col nome di Pio XII era stato Nunzio apostolico in Baviera (dal '17), si era fatto un'opinione pessima di Hitler.
Nei racconti di suor Pascalina Lehnert - che fu accanto a Pacelli dall'epoca della Nunziatura in Baviera sino alla sua morte - il futuro papa inorridiva descrivendo Hitler: un personaggio "completamente invasato; tutto ciò che non gli serve, lo distrugge - sottolineava il prelato - tutto ciò che dice o scrive porta il marchio del suo egocentrismo; quest'uomo è capace di calpestare i cadaveri e di eliminare tutto ciò che gli è di ostacolo." Ebbene il nazismo, dopo il fallito putsch di Monaco nel novembre del '23, riprende via via vigore verso la fine degli anni '20. Dopo la prima pubblicazione del "Mein Kampf", nel '25, e poi nel '30, con il manifesto del nazismo: il "Mito del XX° secolo" di Alfred Rosenberg, diventa sempre più chiara la teorizzazione nazionalsocialista. Antisemita, anticattolica e pervasa da un razzismo misticheggiante, di sapore magico. Durante la Repubblica di Weimar la situazione politica ed economica della Germania appariva particolarmente complessa, storicamente difficile. Il partito cattolico, il Centro, all'epoca si era alleato in molte occasioni con la sinistra moderata: otto governi su quattordici della Repubblica di Weimar erano stati gestiti al vertice da cancellieri del Centro.
La Chiesa Cattolica chiaramente non aveva preso posizione ufficiale sulla convivenza governativa fra cristiani e componenti della sinistra, nonostante fosse noto il dissenso di Roma rispetto a questa linea; in effetti le esplosive condizioni in cui versava il paese non consentivano una riaffermazione intransigente dei principi, mentre d'altro canto la ferocia dei rossi, in travolgente avanzata su tutto il continente europeo, spaventava più di ogni altra prospettiva. Persino quando nel '33 il nazismo giunse al potere, il timore restava quello del bolscevismo; era convinzione di moltissimi osservatori del tempo che, sia pur temuto, il governo del Fuehrer avrebbe avuto una durata effimera. Tenere presente questi fattori aiuta a comprendere l'equilibrata politica condotta dalla gerarchia cattolica di fronte al fenomeno nazista, nonostante spesso Roma venga faziosamente tacciata di indifferenza se non di connivenza nei riguardi del nazionalsocialismo. Altro aspetto di rilievo, essenziale per comprendere in quali angusti passaggi fosse costretta a muoversi la diplomazia cattolica è quello degli equilibri religiosi della Germania: alla fine degli anni Venti, a fronte di una ventina di milioni di cattolici si contrapponevano circa 40 milioni di protestanti, in rotta fra tra di loro, secondo la migliore tradizione dei riformati, ma sufficientemente concordi nel mostrasi, di lì a breve, ossequiosi al potere nazista.
Nel suo studio apologetico sulla Bekennende Kirche, la "chiesa" confessante tedesca, persino Sergio Bologna è costretto, suo malgrado, a riconoscere che mentre la Chiesa cattolica - abituata per tradizione ad opporsi al potere statale - reagì al nazismo, la "chiesa" protestante di contro, tesa per la sua stessa costituzione di "chiesa" nazionale ad identificarsi col potere statale, fu sostanzialmente supina a Hitler, sino al punto di partorire dal proprio seno i famosi Deutsche Christen, i cristiani tedeschi, la punta più avanzata della follia protestante che intendevano fondere il nazionalismo socialista e paganeggiante di governo con il cristianesimo protestante. Nel movimento dei DC si era giunti sino a paragonare Hitler a Cristo: come il secondo era stato Redentore degli uomini così il primo era visto come redentore dei tedeschi. Se spingere alla collisione cattolici e protestanti in quelle circostanze era una operazione che portava con sé - fra gli altri - l’altissimo rischio di destabilizzare la Germania e la stessa Europa, era anche vero che la secolare coerenza cattolica esigeva una proclamazione di verità. Secondo codici di millenaria esperienza, la Chiesa, valutando secondo la misura dello spirito l'effetto dirompente dell'idea sulla realtà, comprese il pericolo: le denunce più pesanti contro il nazismo giunsero proprio dai cattolici della Germania. Di quella Germania martoriata e incapace di gestirsi che, decisa a sfuggire al disastro e convinta più che mai di dover evitare l'abbraccio mortale del comunismo, stava consegnandosi anima e corpo al nazionalsocialismo, gemello bruno del mostro sovietico. I fatti, all'epoca, si evolvono rapidamente.
Nel '30, si alza dapprima la voce di un alto prelato, il vicario generale di Magonza, mons. Mayer, che fa presente come un cattolico che sia realmente ligio all'ideologia nazista non possa essere ammesso ai sacramenti. Segue il Cardinal Bertram, a Breslavia, verso la fine del medesimo anno - l'anno, si diceva, del "Mito del XX° secolo" – che interviene ufficialmente e con vigore contro il nazismo, contro l'idea deteriore della supremazia della razza nordica. Monsignor Bertram è un personaggio di estremo rilievo: sarà a capo delle conferenze episcopali tedesche di Fulda dall'anno '32, via via con cadenza praticamente annuale fino al '40 e poi con cadenza alternata negli anni della guerra: è una pagina di storia dimenticata. Tanto da chi è propenso per deformazione o per mala fede a caricare la Chiesa di colpe che non ha, quanto da chi, in ambienti ristretti, ama tentare un'improbabile conciliazione fra diavolo e acqua santa. Le ostilità proseguono e sul fronte della gerarchia cattolica si contano ripetuti interventi in chiave antinazista; fra gli altri interviene il cardinal Faulhaber, vescovo di Monaco - città chiave del movimento di Hitler -, grande amico di Pacelli e accanito anticomunista. Comprende la necessità di reagire e presiedendo una conferenza di otto vescovi bavaresi, nel febbraio del '31, interviene a sua volta facendo presente un principio che sarà sempre chiaro nella Chiesa Cattolica: si distingue il caso di chi sia un semplice "compagno di strada" del partito da quello dei nazisti consci della propria profonda appartenenza politica: l'amministrazione dei sacramenti è riservata ai "compagni di strada" e va negata ai veri nazionalsocialisti.
Nella pronuncia dei vescovi bavaresi affiora anche il timore di un prossimo futuro in cui il nazismo poterebbe adottare metodi bolscevichi per condurre la propria lotta anticattolica. Nel ’31 le esternazioni episcopali si susseguono e trovano la loro sanzione corale nella conferenza dell'episcopato tedesco, riunitosi a Fulda, dove con circospezione si prospetta una condanna del nazionalismo estremista. La cautela nasce dalla speranza di alcuni prelati, tra cui sorgeranno poi i più feroci oppositori del regime, che nel nazismo prevalga la linea più morbida. Si sa - o per lo meno si crede di sapere - che il nazismo ha due anime: una conservatrice ed una che sotto le spoglie della conservazione intende scalzare dalle fondamenta il cristianesimo in nome di una radice precristiana, sostanzialmente pagana. La posizione dei prelati, peraltro, è equilibrata, una posizione che riconosce l'importanza della patria, che non nega in radice il peso della appartenenza razziale, ma che al contempo rifiuta - in ossequio allo stesso valore etimologico del termine “ cattolico” - che vi possa essere compatibilità fra la "teologia" nazista e quella cattolica.
Con il 1930 la reazione delle organizzazioni cattoliche in chiave anti-nazionalsocialista aveva già preso vigore. Nel '32 i nazisti ottengono circa il 37% dei voti: una crescita imputabile al determinante apporto dei protestanti. La conferenza episcopale di Fulda presieduta dal cardinal Bertram ribadisce che è vietato ogni appoggio al nazionalsocialismo: non possono essere ragioni di carattere meramente economico e politico a indirizzare il voto dei cattolici. Il 30 gennaio del '33 Hitler viene nominato cancelliere della Repubblica, con il fondamentale aiuto di Von Papen. Questo infido personaggio, sedicente cattolico e già membro del partito del Centro, succeduto al cancelliere Bruening nel '32, spiana - anche in altre occasioni si dimostrerà un uomo di regime - la via al nazismo. Con grande sgomento molti cattolici assistono alla vergognosa politica compromissoria dei democristiani del Centro: d’altronde chi si accorda con il socialismo storico non ha ripugnanza ad accordarsi anche con il socialismo nazionalista. Con l'avvento al potere di Hitler parte la prima ondata di repressione all'indirizzo dei cattolici: si aggrediscono principalmente il partito cattolico bavarese, il partito del Centro - che ora diventa solo un ostacolo - e le organizzazioni cattoliche.
Che reagiscono in forze con un documento congiunto, estremamente significativo, quasi una conferma dei timori espressi dai vescovi di Fulda: sostengono che "il bolscevismo può presentarsi anche travestito da movimento patriottico". Le violenze, la limitazione della libertà di esprimersi e riunirsi, il licenziamento dei funzionari statali iscritti ai partiti cattolici, sono tutti segnali di una persecuzione che diventa sempre più chiaramente simile a quella bolscevica. Meno feroce, per ora. Tra non molto Dachau diverrà il “più grande cimitero di preti nel mondo”. In effetti i rapporti di parentela tra nazismo e comunismo hanno radici che affiorano qua e là persino nelle esplicite ammissioni dei vertici nazionalsocialisti: Hitler esprime in più di un'occasione il suo pensiero sul comunismo. Parlando dei combattenti anarco-comunisti della guerra di Spagna, conclude sostenendo che gli "… spagnoli 'rossi' non si considerano affatto 'rossi' nel senso che noi attribuiamo alla parola… Questi lavoratori che si definiscono rivoluzionari, sono veramente encomiabili per il loro zelo… La cosa migliore che potremmo fare sarebbe quindi di tenere in riserva il maggior numero possibile di questi 'rossi'… per l'eventualità di una nuova guerra civile in Spagna."
E ancora, parlando a Rauschning - ex gerarca nazista sfuggito ad Hitler nel ’34, una volta accortosi appieno della inquietante natura magico-esoterica e sanguinaria del movimento - afferma: "Io non sono soltanto il debellatore del marxismo. Se liberiamo questa dottrina della sua dogmatica ebreo-talmudica, per conservarne solo lo scopo ultimo, le intenzioni sane e giuste ch'essa contiene, può bene esser detto che io ne sono il realizzatore…". Incidentalmente va ricordato che la scomoda opera di Rauschning, “Hitler mi ha detto” - oggi di difficile reperibilità - veniva significativamente data alle stampe nel 1939, quando potevano sembrare assurdi ed esagerati alcuni passi rivelatisi invece profetici, in un secondo momento, alla luce del progredire della ricerca sulle radici recondite del nazionalsocialismo. Fra marxismo e nazismo, comunque, si palesano affinità e divergenze. Amore e odio tra figli di sangue che si ritrovano in contrasto anche quando i punti di vista poterebbero essere coincidenti: "Se non fosse stato per il pericolo che il bolscevismo prendesse il sopravvento in Europa - osserva tra il compiaciuto ed il deluso Hitler nei suoi discorsi a tavola - non avrei fatto niente per oppormi alla rivoluzione in Spagna: i preti sarebbero stati sterminati." Parlando a Rauschning - che racconta l'episodio nel suo testo "La rivoluzione del nichilismo" - il dittatore sottolinea: "L'alleanza tra la Germania e la Russia non è altro che il comune estuario di due fiumi, che in defìnitiva vogliono raggiungere lo stesso mare: la rivoluzione su scala mondiale." Le affinità effettivamente emergono di continuo: a livello politico per la pericolosa vicinanza manifestatasi tra nazionalbolscevichi e nazionalsocialisti; sul campo di lotta perché nelle file dei combattenti nazisti, come riconosce Rhoem, il capo delle Sturm Abteilungen, le famose squadre di assalto di Hitler, ci sono "eccellenti soldati…comunisti."
A questa affermazione Goering annuisce, proseguendo: "bolscevichi in camicia bruna… Meritano il nome di Beef-steak Stuerme, brune cioè al di fuori e rosse dentro." Ma Hitler, quando giunge al potere, ha già imparato a mimetizzare le sue mire - nel "Mein Kampf" aveva a suo tempo riconosciuto l'importanza strumentale della religione - e pur essendo ferocemente anticattolico sa che non è opportuno attaccare frontalmente la Chiesa. Sarebbe pericoloso volere spazzar via una istituzione bimillenaria in un sol colpo: dalla Chiesa - si accalora il dittatore - dipendono la sete di sangue, la bassezza e la menzogna di secoli e secoli di storia: "…il regno della menzogna - afferma convinto - deve crollare. Ma… ciò non può avvenire subito." Non che rifiuti le maniere spicce e violente, ma a volte l'eccessiva impazienza degli anticlericali lo stizzisce: "…ho sempre detto a Rosenberg che non si attaccano sottane né di donne né di preti…" Così il 23 marzo 1933 il neo cancelliere esponendo il programma governativo formula un ragionamento piuttosto equilibrato: vuole lanciare un segnale distensivo nei confronti dei cattolici e dei cristiani più in generale; riconosce nel cristianesimo "la base inamovibile della morale e del codice morale della nazione" tedesca e getta un ponte nei confronti dei cattolici per irretirli nelle file del partito nazista.
Fra i prelati si spera - con pochissima convinzione in effetti - che le responsabilità di governo possano almeno in parte riequilibrare le storture del nazionalsocialismo e alla conferenza episcopale di Fulda del marzo '33 si formula un cauto giudizio di apertura sul nazionalsocialismo. Dichiarandosi disposti confidare nelle rassicurazioni che il nuovo cancelliere ha dato riconoscendo la funzione morale del cristianesimo, i vescovi tedeschi ammettono che a queste condizioni il cattolico deve riconoscere la legittimità del nuovo governo. D’altro canto però ribadiscono la condanna del nazismo che dovesse nuovamente manifestarsi nelle forme già in precedenza ripudiate dalla Chiesa. In buona sostanza l'intervento di Fulda è un intervento sub condicione: se Hitler segue la linea enunciata nel discorso del 23 marzo lo si può appoggiare, perché garantendo libertà al cristianesimo garantisce il fondamento stesso della libertà umana. Altrimenti no. Ebbene, qualche mese dopo la conferenza di Fulda arriva la reazione nazista, chiaramente, palesemente anticattolica: giungono i licenziamenti in massa dei funzionari cattolici, vengono chiuse sedi circoscrizionali dei partiti, vengono malmenati e dispersi i cattolici che si riuniscono liberamente in gruppo…
Hitler sarà molto bravo nel giocarsi con "equilibrio" - un equilibrio in realtà dato da somme di squilibri - la partita con i cattolici. Una delle manovre più intelligenti del regime è quella di lasciare aperti spiragli di dialogo dando un minimo di spazio giuridico e politico alle speranze di libertà, così da prolungare l'agonia di una Chiesa che si spera col tempo di estirpare definitivamente. Il nemico messo al muro si dibatte sino alla fine; il nemico a cui invece lasci una speranza di sopravvivenza non si getta di sua spontanea volontà in braccio alla morte. Il concordato tra Chiesa e Stato nazista del 20 luglio 1933 riaccende alcune speranze. Speranze vane: sfruttando abilmente la violenza sul fronte dell’illegalità e i chiaroscuri in fase di interpretazione e di attuazione delle norme giuridiche, il regime contiene la reazione dei cattolici, che con il cappio alla gola non possono reagire se non in stretta misura. Personaggio chiave nel concordato nazista, è il “cattolico” centrista Von Papen. Ebbene Von Papen auspica una depoliticizzazione del clero; senz'ombra di dubbio anche Roma è pronta a propiziare l’uscita dei sacerdoti dal Centro, non ora però: la depoliticizzazione del clero attuata in frangenti tanto drammatici rischia solo di scardinare definitivamente ogni possibilità di reazione politica cattolica, secondo i desiderata di Hitler, che spera così di consolidare la propria egemonia. Von Papen interviene pesantemente in questo senso. Mentre nella impari lotta la Chiesa è costretta cedere, il regime limita il dissenso promettendo una certa libertà di associazione e scuole confessionali: Von Papen si prodiga per aiutare il governo nazista: chiaramente la colpa di non aver mantenuto cadrà su Hitler. Si garantisce, fra l’altro, che le organizzazioni cattoliche potranno esistere nella misura in cui appositi provvedimenti regolamentari andranno poi ad individuarle: tutti provvedimenti che non verranno emanati.
L’erosione anticattolica procede a piccoli passi; uno degli episodi più significativi è quello della costituzione anti-confessionale della gioventù tedesca: Baldur von Schirach, che ne è a capo, nel 1933 specifica che alla Hitler Jugend, la gioventù di Hitler, non si può appartenere qualora si militi al contempo nelle organizzazioni cattoliche. La reazione cattolica è dura: questo - si accusa - vuole essere un sistema per impedire ai cattolici di stare contemporaneamente nello Stato e nelle libere organizzazioni; ma soprattutto si teme un precedente pericoloso perché nel momento in cui l'appartenenza alla Hitler Jugend dovesse divenire obbligatoria, automaticamente scomparirebbero le organizzazioni cattoliche.
Così avviene: nel '36 viene codificato definitivamente il principio secondo cui l'appartenenza alla Hitler Jugend diventa obbligatoria. Lo scopo è quello di sfaldare i residui delle organizzazioni cattoliche ancora in vita. La lotta è incessante: nel '33 il cardinal Faulhaber stigmatizza la barbarie della teoria nazista in cinque omelie durante il periodo di avvento, parlando espressamente del “peccato contro il sangue” propiziato e propugnato dalla teorizzazione nazionalsocialista. Nel '33 le teorie utilitaristiche ed eugenetiche del nazismo iniziano a prendere minacciosamente corpo: diviene esecutiva, nonostante la dura opposizione fatta dalla Chiesa Cattolica, e in particolare dal vescovo von Galen, la legge sulla sterilizzazione obbligatoria. Coloro che hanno malattie ereditarie debbono essere sterilizzati.
Nel giugno del '34 la conferenza di Fulda interviene ancora pesantemente contro le aberrazioni neopagane che continuano a manifestarsi nel nazismo: “non possiamo tacere” affermano i vescovi cattolici. Sarà così a lungo. La Chiesa continua a reagire, durante il regime, con la circospezione giustificata dalle circostanze: tentare di esprimere il proprio dissenso scatena in più occasioni reazioni violente. Così, per la pubblicazione in Germania della famosa enciclica di Pio XI contro il nazismo, la “Mit brennender Sorge” (Con ardente preoccupazione) - alla cui stesura partecipano mons. Faulhaber e mons. Pacelli - viene svolta una fase preparatoria assolutamente clandestina. Il 14 marzo 1937 l’enciclica viene stampata nascostamente e poi consegnata in segreto ai sacerdoti tedeschi che ne daranno lettura il 21 marzo seguente. Il governo risponde in maniera isterica sulla stampa di regime, chiude le tipografie colpevoli delle pubblicazione e inasprisce i suoi pretestuosi processi politici contro il clero cattolico tedesco. Il 1° settembre 1939 inizia un programma di eliminazione di coloro che siano affetti da malattie inguaribili; l’attività, gestita in segretezza dal governo, trapela sempre più chiaramente all’esterno. Iniziano dunque gli interventi della Chiesa Cattolica, dei vescovi tedeschi: parla per primo Bertram, che però evita di dare rilievo pubblico alle proprie esternazioni nei confronti del governo. Analogamente fa monsignor Faulhaber, sempre nel '40, fino a quando un grande prelato, un grande tedesco, monsignor Von Galen, vescovo di Muenster - che sarà poi ribattezzato "il leone di Muenster" - in una predica di fuoco, il 3 agosto del '41, accusa apertamente il regime nazionalsocialista.
Ricorda con orrore, in preda all’ira, come in questi campi di concentramento vengano massacrati gli inabili e coloro che vengono ritenuti malati inguaribili. Al coraggioso prelato verrà giurato odio eterno, in particolare da parte di Rosenberg che nei suoi diari annota: “Dopo la vittoriosa conclusione della guerra, il vescovo von Galen deve essere fucilato”. Analogamente Hitler, conversando coi suoi, si accalora: “… il vescovo von Galen sa benissimo che alla fine della guerra verrà l'ora della resa dei conti.” Le manifestazioni di odio anticattolico nella teorizzazione dei nazionalsocialisti, prima ancora che nei fatti, furono numerosissime e importanti. Odio sulla bocca di Bormann, il successore di Rudolf Hess, il vice capo del partito nazista dopo Hitler; odio di cui era gonfio Himmler, altro personaggio di vertice: Reichsfuehrer delle SS; odio di Heydrich, vice di Himmler e a capo dell’Ufficio per l’emigrazione ebraica, che definiva i preti cattolici “stregoni del cielo”. Bormann ricordava che "il nazionalsocialismo e il cristianesimo sono incompatibili". Himmler in una conversazione con E. von Weizsaecher, ambasciatore tedesco presso la S. Sede, ebbe a dire "Non avremo pace finché non avremo distrutto il cristianesimo". Heydrich nel '34 aveva vietato la confessione in prigione e nei campi di concentramento; poco tempo dopo sarebbero state vietate le funzioni religiose. Goering, che era uno dei più moderati, non voleva assolutamente che nella Luftwaffe venissero nominati dei cappellani. Rosenberg aveva voluto la riforma dell'insegnamento scolastico secondo uno spirito "anticristiano e antiebraico". Gli episodi si sprecano: il ministro degli interni nazista, Frick, evidenziò come il nazionalsocialismo si proponesse l'obiettivo di sconfessionalizzare la vita pubblica.
Nei campi di addestramento del regime si insegnava ai giovani tedeschi l'inconciliabilità fra nazismo e cristianesimo: a Freusburg, nel 1934, il programma di campo dei giovani tedeschi nazisti spiegava: "Il Nazionalsocialismo è una Religione… Ad ogni persona intelligente è chiaro che il Nazionalsocialismo e il Cristianesimo sono nemici mortali… In realtà il Cristianesimo e il Nazionalsocialismo si escludono a priori." Hitler, si notava, fu certamente il più abile della pericolosa congrega: era capace di gestirsi con una certa eleganza. Parlando ai cattolici, a un cattolico, a un confusionario come Leon Degrelle, Hitler espresse una Leitmotiv essoterico, molto semplice, illuminista: la luce delle scienze, la luce della conoscenza e del progresso scientifico faranno dissipare le tenebre della religione, che scomparirà da sola. Tutto qui. Diverso invece il suo parlare in libertà, con i suoi, quando si permetteva accesissimi interventi contro il cattolicesimo. Sino alla fine il dittatore non cambiò opinione: ricordando lo scontro di Poitiers, la battaglia tra i franchi di Carlo Martello e mori nel 732, poco prima della propria fine il dittatore si dispiacque che Carlo Martello avesse vinto quella lotta: meglio sarebbe stato - sostenne - se avessero vinto i musulmani e se l'Europa fosse divenuta musulmana. Il nazismo esoterico.
Ma la simpatia per l’Islam che Hitler dimostrò in più occasioni, rappresenta l’aspetto anticattolico meno misterico delle dottrine nazionalsocialiste: è il simbolo cardine del movimento, lo swastika, a riassumere in sé la valenza più profonda e meno nota del nazionalsocialismo. In una collana di videocassette della Hobby & Work, uno studioso del fenomeno, Marco Dolcetta, ha avvicinato il grande pubblico all’essenza esoterica del nazionalsocialismo, evidenziandone, anche attraverso gli stessi discorsi dei nazisti sopravvissuti alla fine del Terzo Reich, la componente pagana, magica, infera in una sola parola, sottolineata ad abundantiam a livello bibliografico dalle opere di autori come René Alleau, Giorgio Galli, Serge Hutin...
Sintetizzando il tema, per ragioni di economia espositiva, si può attingere alla simbologia nazista per una prima analisi del fenomeno: lo swastika, Hackenkreuz in tedesco, rappresenta il ponte simbolico tra la Thule Gesellschaft ed il Voelkischer Beobachter - inizialmente Muenchener Beobachter - il giornale nazionalsocialista diretto prima da Dietrich Eckart e poi da Alfred Rosenberg, l'uomo in cui Hitler riconosceva "il nostro dogmatico di partito". La società di Thule - che prendeva il proprio nome dalla mitica isola nordica degli iperborei ariani - fu fondata nel 1919 a Monaco sulle ceneri del Germanen Orden, costituito a Lipsia nel 1912, o, secondo un'altra versione, fu creata come sezione bavarese del medesimo Germanen Orden. Questa accolita segreta, strutturata secondo criteri massonici, era improntata ad un culto esoterico e profondo della razza e contrassegnata da una simbologia che sarebbe poi stata trasfusa nel nazionalsocialismo: uno swastika dalle braccia arcuate immerso in un sole raggiante, su cui si staglia una daga. Il noto filosofo, grande iniziato di discipline esoteriche, René Guenon, in “Il simbolismo della Croce” fa risalire lo swastika alla tradizione primordiale: un simbolo diffuso non solo ad oriente, come perlopiù si crede, ma anche ad occidente, il cui significato è connesso alla circolarità che si sviluppa indifferentemente dalla posizione destrogira o levogira delle braccia, circolarità che sta a significare l'azione del Principio sul mondo. Questo antico simbolo, apprezzato negli ambienti esoterici e rivendicato come simbolo massonico nel dizionario massonico del Troisi, era stato adottato nella sua forma destrogira da Helena Petrovna Blavatsky, fondatrice della società teosofica nel 1875. La Blavatsky, dedita a culti satanici, sosteneva nella sua "Dottrina segreta" che lo swastika è il "…più mistico dei simboli dell'India, la 'croce Jaina', come la chiamano ora i massoni …Non brilla forse sulla testa del grande Serpente, di Visnù, sulle mille teste di Shesha- Ananta, negli abissi del Patala, il Naraka o inferno degli Indù?" Ebbene, lo swastika massonico, lo swastika nazista… Von Sebottendorf, a capo della società di Thule e autore di un volumetto sulla antica massoneria turca, si era interessato alla Deutsche Arbeitspartei (DAP) di Anton Drexler, da cui in breve era poi sorto, con l'aggiunta della dicitura Nationalsocialistische, il partito nazista (NSDAP), che avrebbe per l'appunto mutuato dalla Thule il simbolo dello swastika.
La parentela in linea retta tra Thule e nazismo è pacifica, non solo per ragioni di affinità esoteriche profonde, ma anche per connessioni più chiaramente materiali: il Muenchener Beobacheter di Von Sebottendorf, diretto da Dietrich Eckart, membro a sua volta della Thule, era stato acquistato dal partito nazionalsocialista che non aveva cambiato né direttore, né linea intellettuale e polemica, né infine un collaboratore che sarebbe divenuto famoso - anche lui della Thule - di nome Alfred Roseberg. Nella Thule inoltre si era formata inoltre una rilevante parte dello zoccolo duro del nazismo: da Anton Drexler a Hans Frank, da Karl Harrer a Rudolf Hess… La simbologia della Thule venne ripresa dalle SS - propagandate dai nazisti come “Ordine nero” - che fra l’altro adottarono una medaglia al merito raffigurante una daga contraddistinta da uno swastika dalle braccia ricurve inciso sull’elsa.
L'iniziazione esoterica passava ovviamente attraverso una tabula rasa della tradizione: negli istituti nazionali di educazione politica (Nationalpolitische Erziehungsanstalten - NAPOLA) per giovani candidati SS, venne bandito l'insegnamento della religione cristiana, sostituita da riti pagani germanici. Significativamente - ricorda Lumdsen - per sottolineare la differenza fra il Dio del popolo e quello delle SS, la parola Gott (Dio) venne anche trascritta con una sola t, Got: era un altro dio, che nulla aveva a che vedere con quello dei cristiani. La componente occulta del nazismo è oggi nota. Si sa, ad esempio, che ufficialmente il sistema aveva vietato l'astrologia. Dietro le quinte però la realtà era diversa. L'astrologo personale di Hitler si chiamava Hanussen, pseudonimo di Herschel Steinschneider. Ed era - doppia contraddizione - ebreo. Dediti a pratiche occultistiche, magiche, astrologiche, erano anche Goering e soprattutto Himmler: quest'ultimo si avvaleva di un astrologo austriaco, tale Willigud, che aveva contatti con un noto satanista, il mago nero Aleister Crowley. (di Saverio Agnoli)