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Darwin fa rima con razzismo, eugenismo e immoralismo. Nietzsche ci spiega perché
Di Bernardo - 21/05/2008 - Darwinismo - 1735 visite - 0 commenti
Come si sa, Federico Nietzsche non è che capisse molto della vita. E tuttavia, un suo perverso buonsenso ce l’aveva: tanto per cominciare, sapeva trarre dalle premesse le necessarie conseguenze. La logica generalmente non fa difetto ai demoni (come si legge in Inferno XXVII, versetto 123), e nemmeno ai futuri disabili mentali (come si legge in Chesterton): fa difetto, semmai, alle anime belle dei nostri contemporanei, come del resto a quelli del noto aspirante Übermensch ottocentesco. Così, a noi oscurantisti postmoderni può capitare di sfogliare un’operetta poco frequentata del neppure trentenne Nietzsche, il David Strauss del 1873 (ovvero la prima delle quattro, a prima vista inservibili Considerazioni inattuali), e di scoprirvi qualche acuminata freccetta da aggiungere, adeguatamente reindirizzata, al fiero arco dell’antidarwinismo militante. Vediamo come.
     Il filosofo e teologo Davide Federico Strauss era a quel tempo in Germania un famosissimo campione del protestantesimo liberale. Fin dal 1835 si era procurato vasto seguito con una Vita di Gesù adeguatamente demitizzata e riletta alla luce del suo idolo filosofico, che in considerazione dell’epoca altri non poteva essere che Giorgio Guglielmo Federico Hegel. Al simbolico giro di boa del 1859 (anno in cui esce, disgraziatamente, l’Origine delle specie di Carlo Roberto Darwin), le già abbastanza balorde categorie hegeliane vengono un po’ dappertutto soppiantate dagli ancor più dissennati concetti di «lotta per la vita», «selezione naturale», «sopravvivenza del più adatto» e consimili slogan guerrafondai. È infatti Darwin a fornire il paradigma culturale dominante negli ultimi decenni dell’Ottocento, in barba alle manie dialettiche e triadiche dei decenni precedenti. Da buon progressista, Strauss si adegua all’aria che tira e pubblica nel 1872 La vecchia e la nuova fede, increscioso libraccio in cui le consuete stucchevolezze cristiano-umanitarie vanno a braccetto con una visione del mondo ormai scientifico-materialistica e blandamente atea: un mix di evoluzionismo darwiniano e umanitarismo volontaristico, infarcita per giunta di pose da stilista e letterato. Il libro, come spesso càpita alle opere insignificanti, ha un successo enorme, tanto da essere ristampato più volte in pochi mesi.
     A questo punto entra in gioco Guglielmo Riccardo Wagner, che per motivi suoi ha da anni il dente avvelenato con Strauss. Penoso a dirsi, il perfido compositore incarica sottobanco l’allora suo ferventissimo seguace Nietzsche di screditare Strauss con un pamphlet di critica demolitrice a La vecchia e la nuova fede. Nietzsche, personaggio abbastanza patetico e scodinzolante nonostante i baffoni e le incipienti vedute filosofiche, esegue senza farsi pregare, e nell’agosto 1873 ecco comparire presso l’editore Fritzsch di Lipsia il libretto che qui ci interessa, David Strauss. L’uomo di fede e lo scrittore.
     Non starò ad esporre il contenuto del saggio: gli unici spunti passabilmente interessanti, da un punto di vista storico-filosofico generale, sono la denuncia del «filisteismo colto» imperante nel professorame tedesco e il concetto (che in Nietzsche avrà un nefasto seguito) di cultura come «unità di stile artistico in tutte le manifestazioni vitali di un popolo». Quanto al resto, si tratta di una irridente, ma sforzata e meschina stroncatura delle idee e soprattutto dello stile straussiano, condotta senza risparmio di colpi bassi: lo stesso Nietzsche parve affliggersene quando, nemmeno un anno dopo l’uscita del volumetto, il bersaglio dei suoi mots d’esprit abbandonò questa valle di lacrime, probabilmente molto amareggiato a causa dell’attacco subìto.
     Ciò che nessun avversatore del corrente luogocomunismo evoluzionistico dovrebbe farsi sfuggire affiora quasi per caso, spunto polemico tra gli altri, all’altezza del capitolo 7 del David Strauss (pagine 51 e seguenti dell’edizione «Piccola Biblioteca» Adelphi, Milano 1991). È qui che Nietzsche irride, sfoderando la logica affilata di cui dicevamo, «la naturale viltà che è propria del filisteo»; una viltà che si mostrerebbe, soprattutto, nella «mancanza di consequenzialità di quelle proposizioni, che costa coraggio enunciare». Lo Strauss, che ama avvolgersi «con un certo rozzo compiacimento (…) nel villoso manto dei nostri genealogisti della scimmia» e che «esalta Darwin come uno dei più grandi benefattori dell’umanità», non s’avvede che i presupposti naturalistici della biologia darwiniana comportano immediate ed ineludibili ripercussioni etiche. Egli, attacca Nietzsche, mostra la stolida velleità di dare fondazione ad una morale filantropica, umanitaria e solidaristica all’interno di un quadro biologico i cui cardini – ricordiamolo ancora una volta – si chiamano «lotta per la vita», «selezione naturale» e «sopravvivenza del più adatto»; all’interno di una concezione in cui, per giunta, l’uomo non è che un animale al pari degli altri, come gli altri vile prodotto di forze cieche e bassamente materiali. L’essere umano non è, secondo il darwinismo, che una scimmia od una foca, ed ecco che il darwinista Strauss gli ingiunge, contraddicendosi: «Vivi da uomo e non da scimmia o da foca!». «In questo salto», incalza Nietzsche, accade al teologo protestante «di balzare a cuor leggero anche oltre la proposizione fondamentale di Darwin. “Non dimenticare,” dice Strauss “in nessun momento, che sei uomo e non un mero essere naturale, in nessun momento che tutti sono del pari uomini, vale a dire, nonostante ogni diversità individuale, la stessa cosa di te, con gli stessi bisogni e diritti di te – è questo il compendio di ogni morale”». Ma come può l’uomo ritenersi un essere privilegiato, e come può riconoscere delle obbligazioni verso i propri simili «dal momento che egli invece, secondo Darwin, è appunto un essere assolutamente naturale e si è sviluppato fino al livello dell’uomo secondo tutt’altre leggi, proprio per il fatto di aver dimenticato in ogni momento che gli altri esseri simili avevano gli stessi diritti, proprio per il fatto di essersi sentito fra loro come il più forte e di aver a poco a poco causato l’estinzione degli altri esemplari di natura più debole?». L’argomentare di Nietzsche, come si vede, è stringente. La prospettiva darwiniana si rivela come la negazione stessa di ogni possibile filantropismo, umanitarismo e solidarismo; abbracciandola non si può che giungere all’antica morale del kratos, della forza.
     Siamo dunque giunti, grazie a Federico Nietzsche, a riconoscere proprio ciò che gli attuali cerebro-manomessi da scuola dell’obbligo, ivi inclusi molti noti «scienziati», si ostinano a negare: che, cioè, sul piano filosofico – ma anche storico – vi sia un filo diretto tra la strampalata ideologia darwiniana e il razzismo biologico e l’eugenetica anglosassone e nazionalsocialista. Sono infatti queste le correnti di pensiero che hanno «arditamente» dedotto, come il giovane Nietzsche infine auspicava nel David Strauss, «dal bellum omnium contra omnes e dal diritto del più forte, precetti morali per la vita»; sono queste correnti ad avere coerentemente ed inflessibilmente dato luogo ad «un’etica darwinistica genuina e seriamente attuata».
     Sei una scimmia prevaricatrice? Comportati da scimmia prevaricatrice. L’uomo contemporaneo non lo vuole ammettere, ma anch’egli riconosce la logica di questa ingiunzione. Come spiegare altrimenti i soprusi, gli aborti, le manipolazioni genetiche, i mille traffici sessuali e non di un’epoca che non sa di avere Dio per Padre?
 
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